Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, sezione n. 5, sentenza n. 1289 depositata il 9 aprile 2020
Processo Tributario – Dichiarazione dei Redditi – Errore – Emendabilità in sede contenziosa – Compete.
Con sentenza n. 26004/2/2017, depositata in data 30.11.2017, la CTP di Roma rigettava il ricorso avanzato da L. S. contro la cartella di pagamento n. 97 2016 00043522 59, notificatagli in data 20.04.2016, con la quale Agenzia delle Entrate aveva richiesto il pagamento di euro 29.781,34 per omessa o carente versamento IRES ed IVA più addizionali, sanzioni ed interessi, riferiti all’anno di imposta 2012.
In particolare il Giudice di primo grado aveva rigettato le doglianze avanzate dal contribuente riguardanti il mancato ricevimento, preliminarmente alla notifica della cartella di pagamento, dei cd. avviso bonario, previsto dal V comma dell’art. 6 dello Statuto del Contribuente, nonché la circostanza, fatta valere nel ricorso, di non avere tenuto in debita considerazione che il contribuente medesimo aveva subito nel 2012 una ritenuta di acconto pari ad euro 6.292,78, da parte della ditta XXXXX SPA delia quale egli era monomandatario nell’attività di vendita di orologi: ciò che era stato per mero errore omesso nella dichiarazione dei redditi per quell’anno di imposta, salvo portarne a conoscenza l’Ufficio con una dichiarazione integrativa spedita in data 20.05.2016.
In data 26.06.2018 il contribuente proponeva appello chiedendo di riformare in toto la sentenza o quantomeno, in via subordinata, riformarla procedendo a ricalcolo delle imposte dovute in conseguenza dello storno, dalla totale somma originaria, della ritenuta di acconto operata dalla ditta XXXXX SPA quale sostituto di imposta.
in particolare l’appellante affidava a due motivi di impugnazione le proprie doglianze.
innanzitutto la mancata osservanza del V comma dell’art. 6 dello Statuto del Contribuente, che stabilisce:
“Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi peri quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma.”
Sosteneva il contribuente come la disposizione in oggetto si attagliasse perfettamente alla fattispecie concreta atteso che la dimostrata conoscenza da parte dell’Ufficio della ritenuta di acconto, seppure non indicata in modo specifico nella dichiarazione dei redditi originaria, avrebbe dovuto necessariamente indurlo a previamente trasmettere al contribuente medesimo l’invito “bonario” previsto dalla norma, al fine di fornire chiarimenti o produrre eventuali documenti mancanti.
Veniva poi riproposta la questione riguardante la lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 53 della Costituzione, conseguente alla circostanza della doppia imposizione del medesimo tributo, già anticipato con la ritenuta di acconto dalla società mandante e poi nuovamente corrisposto in egual misura dal contribuente.
In data 25.07.2017 sì costituiva in giudizio Agenzia delle Entrate che, con proprio atto di controdeduzioni chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
All’esito dell’odierna udienza la causa veniva trattenuta per la decisione.
L’appello risulta fondato e va accolto nei limiti della seguente motivazione.
Secondo un orientamento che prescinde dalla controversa applicabilità retroattiva della novella legislativa apportata dal d.l. n. 193 del 2016 all’articolo 2, comma 8 bis del DPR n. 322 del 1998, espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia 30 giugno 2016, n. 13378, in caso di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione integrativa ii contribuente può sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.
Le Sezioni Unite hanno quindi riconosciuto la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione dei redditi ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine di cui all’art 2, comma 8 bis, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 cit.
Tale principio di diritto, d’altra parte, come precisato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, è coerente con i principi dell’ordinamento, quali: la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza; il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost; l’art. 10, dello Statuto del contribuente, secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede.
La dichiarazione, invero, in linea generale, salvo casi particolari o parti specifiche di essa, è un atto di scienza e quindi sempre emendabile, dì talché il contribuente può fare valere eventuali vizi commessi nella redazione della stessa, che attengano al merito della pretesa tributaria, anche in sede contenziosa indipendentemente dal rispetto dei termini per la presentazione della emenda (Cass. civ. Sez. V, 30/01/2018, n. 2220).
Pertanto, il giudice deve valutare le prove prodotte al fine di attestare la legittimità dell’atto alla luce dei principi di capacità contributiva (Cassazione, sentenza n. 6665/15).
Sebbene ci si opponga a una pretesa fondata su dati (errati) forniti dal contribuente, l’oggetto del contenzioso non è la «dichiarazione integrativa» bensì la fondatezza delia pretesa tributaria, alla luce degli elementi prodotti dalle parti.
Pertanto, va riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggior pretesa, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella determinazione dell’imposta dovuta.
Il contribuente può contestare la debenza del tributo, frutto di errore nella dichiarazione presentata, anche in sede d’impugnazione della cartella di pagamento, nonostante la scadenza del termine di cui all’art. 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322/98, atteso che le dichiarazioni dei redditi sono, in linea di principio, sempre emendabili, anche in sede processuale, ove per effetto dell’errore commesso derivi, in contrasto con l’art. 53 Cost., l’assoggettamento del dichiarante ad un tributo più gravoso di quello previsto dalla legge.
Alla luce di tali argomentazioni dunque risulta indispensabile riformare la sentenza appellata dovendosi procedere a ricalcolo delle imposte dovute in conseguenza dello storno, dalla totale somma originaria, della ritenuta di acconto operata dalla ditta XXXXX SPA quale sostituto di imposta, risultando infondata la richiesta principale dì riformare totalmente la sentenza medesima, in quanto ciò implicherebbe l’annullamento dell’intera cartella che invece conserva la sua validità, peraltro non contestata dal contribuente, per la parte non riguardante la ritenuta di acconto già versata dai sostituto di imposta.
In ordine alle spese di lite occorre tenere conto della connotazione parziale della riforma della sentenza appellata e di conseguenza dichiarare la compensazione tra le parti.
La Commissione:
- In riforma parziale della sentenza impugnata, accoglie l’appello ai sensi di cui in motivazione;
- dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio.
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