Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sezione XI sentenza n. 4274 depositata il 15 luglio 2019
Processo tributario – Impugnazione – Mancata costituzione appellato – Effetto – Delibazione questioni di merito assorbite in primo grado – Preclusione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza n. 17108/2017 pronunciata l’8 marzo 2017 (depositata il 12 luglio 2017), la Sezione n. X della Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso presentato da V.G. avverso l’Avviso di accertamento n. (omissis) emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale III di Roma e relativo a IRPEF e Addizionali, IRAP e IVA per l’anno di imposta 2008.
I primi giudici rilevavano in sentenza che l’accertamento derivava dall’applicazione degli studi di settore relativi all’attività esercitata dal ricorrente, che aveva consentito di riscontrare una notevole differenza tra i ricavi dichiarati (euro 2.327,00) e quelli desumibili da detta applicazione (euro 43.041,00), riscontrandosi, quindi, un comportamento antieconomico del ricorrente, che continuava a esercitare l’attività pur perdendo, o comunque ricavando poco in un lasso di tempo di quattro anni, e tenuto conto, altresì, di spese comprovate e non giustificabili sulla base del reddito dichiarato, in particolare le rate di un mutuo di euro 60.000,00 e l’acquisto di due autovetture negli anni 2011 e 2012.
La C.T.P. soggiungeva che, secondo quanto dedotto nel ricorso, il contribuente versava in gravi condizioni di salute e l’attività di impresa esercitata era molto negativa, anche in considerazione di tale situazione di salute e del fatto che pochi mesi dopo l’avvio dell’esercizio si era verificata l’apertura di una ditta concorrente di grande distribuzione, che aveva aggravato le capacità reddituali della impresa. Quanto alle due autovetture erano state trasferite al medesimo dopo il decesso del padre e che le rate mensili del mutuo erano pagate grazie all’aiuto caritatevole di parenti e amici.
I giudici di prime pervenivano all’accoglimento del ricorso avendo ritenuto che la parte resistente non aveva dato prova documentale di avere regolarmente inviato l’invito al contraddittorio n. (omissis), che il ricorrente negava di aver ricevuto.
Avverso la decisione ha interposto appello l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale III di Roma, articolando i seguenti motivi di gravame:
– la sentenza di primo grado non può essere condivisa e va confermato quanto già rilevato in primo grado in ordine al mancato riscontro da parte del contribuente al rituale invito al contraddittorio, notificato dall’Ufficio preliminarmente all’emissione del contestato avviso di accertamento;
– l’Ufficio notificò al contribuente invito al contraddittorio per studi di settore relativamente all’anno di imposta 2008, al fine di permettergli di esporre i fatti e le circostanze eventualmente idonei a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli determinati sulla base degli Studi di Settore e/o l’eventuale presenza di discordanze tra i dati utilizzati per il calcolo e quelli contenuti nella copia della dichiarazione Mod. Unico in suo possesso;
– come si evince dall’allegata documentazione, l’invito (omissis) venne notificato in data 25 settembre 2013 tramite raccomandata n. (omissis) inviata all’indirizzo di residenza, luogo peraltro corrispondente a quello indicato dallo stesso contribuente nel ricorso, ovvero Via (omissis) – Roma;
– a seguito della mancanza temporanea del destinatario venne immesso avviso di deposito nella cassetta della corrispondenza e venne inviata in data 2 ottobre 2013 la comunicazione di avviso deposito (C.A.D.) con raccomandata n. (omissis);
– pertanto, il provvedimento risultava perfettamente notificato decorsi dieci giorni dall’invio della seconda raccomandata; successivamente, allo stesso e identico indirizzo, venne poi notificato l’avviso di accertamento oggetto del ricorso;
– nonostante l’invito, il contribuente non ritenne necessario porre all’attenzione dell’Amministrazione Finanziaria alcuna motivazione di carattere contabile, extracontabile e/o motivazione personale che giustificasse la sua posizione e non si è mai presentato al contraddittorio;
– la circostanza della mancata presentazione del contribuente, imputabile unicamente alla sua inerzia, impedì all’Ufficio di svolgere il dovuto contraddittorio, con conseguente deficit probatorio, peraltro non colmato neppure dalle successive allegazioni giudiziali, essendosi la parte limitata, anche in sede processuale, ad affermazioni generiche e indimostrate;
– conseguentemente, in assenza di giustificazioni e allegazioni documentali, sulla base della istruttoria svolta non poteva che essere confermata la pretesa tributaria;
– dalle motivazioni dell’atto di accertamento impugnato emergevano chiaramente le incongruenze tra quanto dichiarato e quanto desumibile dall’applicazione dello studio di settore relativo all’attività svolta dal ricorrente, il tutto confortato dal fatto che, come chiarito da più Circolari dell’Amministrazione finanziaria, la motivazione degli atti di accertamento basati sugli studi di settore era da ricercare all’interno dello stesso procedimento di approvazione dei singoli studi;
– nella fattispecie le risultanze dello studio di settore risultavano corroborate da altri elementi che ne hanno confermato l’attendibilità; il contribuente non ha prodotto alcun documento contabile o extra-contabile utile a giustificare la sua posizione e utile a disconoscere la presunzione e a fornire la prova contraria, avendo affidato le proprie obiezioni solamente all’enunciazione del proprio precario stato di salute, relativamente al quale esibiva più che altro certificati medici rilasciati da struttura privata;
– nessuna particolare argomentazione veniva ex adverso formulata in ordine alla gestione del tutto antieconomica dell’impresa, in considerazione anche del fatto che il contribuente aveva due figli, oltre al coniuge, e che dal 2006 al 2009 aveva dichiarato dai 1.000,00 ai 3.000 euro di perdita ogni anno;
– non può tacersi che tale condotta fosse per logica del tutto anomala, e come tale necessitante di chiarimenti improntati a un certo rigore, considerando che anche la coniuge del contribuente dichiarava redditi bassissimi e che nel 2005 vi era stata una perdita di quasi 3.000 euro;
– anche la situazione sanitaria cui lo stesso dichiarava di essere soggetto avrebbe dovuto, tra le altre cose, imporre il sostenimento di ingenti spese mediche, di cui, però, non vi era traccia nelle dichiarazioni dei redditi;
– alla luce delle considerazioni svolte appare evidente che l’Ufficio ha fatto corretta applicazione del metodo accertativo e che il contribuente non ha prodotto prove cui poter ancorare la presunta invalidità dell’atto impositivo, venendo meno all’onere di cui all’art. 2697 cod. civ.
Per gli esposti motivi l’appellante Ufficio ha chiesto la riforma dell’impugnata sentenza, ivi compreso il capo relativo alla condanna alle spese di giudizio, e l’affermazione della piena legittimità del suo operato, con vittoria di spese ed onorari di giudizio.
L’appellato non si è costituito.
All’odierna udienza il rappresentante dell’Ufficio ha chiesto l’accoglimento dell’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello deve essere accolto. Invero, come risulta dalla documentazione allegata all’atto di impugnazione, l’Ufficio ha inviato l’invito a comparire n. (omissis) all’indirizzo di residenza del contribuente (Via (omissis), Roma, corrispondente a quello indicato nel ricorso introduttivo), tramite raccomandata n. (omissis) del (omissis)/2013.
Relativamente a tale notificazione è stata, altresì, prodotta copia dell’avviso di ricevimento, dal quale risulta l’invio della comunicazione di avviso di deposito (C.A.D.) con raccomandata n. (omissis) del (omissis)/2013. Dunque, la procedura di notificazione fu ritualmente effettuata e l’avviso risulta notificato per “compiuta giacenza” decorsi dieci giorni dall’invio della seconda raccomandata, ai sensi dell’art. 8 della legge 890/1992 (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2638 del 30/01/2019, in C.e.d. Cass., rv. 652274-01).
D’altra parte, nessuna contestazione è stata in proposito mossa dall’appellato, il quale non ha ritenuto di costituirsi.
Per quanto sopra, risulta venuta meno l’unica ragione sulla quale si è incentrata la sentenza di primo grado, che va, dunque, integralmente riformata.
La mancata costituzione dell’appellato preclude, secondo il disposto dell’art. 56 del d.lgs. n. 546/1992, la delibazione delle questioni di merito rimaste assorbite nella pronuncia di primo grado (Cass., Sez. 5, sent. n. 14534 del 06/06/2018, in C.e.d., Cass., rv. 649002-01; conf. Sez. 6-5, Ordinanza n. 30444 del 19/12/2017, ivi, rv. 646990-01).
Le spese di entrambi i gradi di giudizio devono essere compensate, avendo l’Agenzia delle Entrate comprovato l’avvenuto rituale invio dell’invito a comparire al contribuente soltanto con le allegazioni documentali all’appello.
P.Q.M.
la Commissione accoglie l’appello; compensa totalmente tra le parti le spese del primo e del secondo grado di giudizio.
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