Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sezione XI sentenza n. 4331 depositata il 16 luglio 2019
Contenzioso – Riassunzione – Erede – Prova della qualità di erede – Necessità
FATTO E DIRITTO
Con atto depositato il 31 gennaio 2019 i Sigg. V.S., D.M. e D.A., dichiarandosi eredi di D.M. hanno inteso riassumere il processo, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 546/1992, a seguito dell’annullamento con rinvio della sentenza n. 3055/2010 del 18 maggio 2010, pronunciata nei riguardi del medesimo dalla Commissione Tributaria Centrale, disposto con sentenza n. 16530/2018 della Corte di cassazione (depositata il 22 giugno 2018).
La pronuncia della Commissione Tributaria Centrale annullata con rinvio aveva ritenuto pienamente legittimo l’avviso di accertamento n. (omissis)/1981, relativo a rettifica del reddito di D.M. per l’anno di imposta 1975, per il quale vi era stata declaratoria di estinzione della materia del contendere da parte della C.T. di primo grado di Roma (con sentenza del 25 ottobre 1989), confermata dalla C.T. di secondo grado di Roma (con sentenza n. (omissis) del 13 ottobre 1992). Avverso la menzionata sentenza della Commissione Tributaria Centrale il sunnominato proponeva ricorso per cassazione, che è stato accolto con la sentenza n. 16530/2018, pronunciata nei suoi confronti dai Supremi Giudici, non essendone stato segnalato, nel corso del giudizio di legittimità, il decesso avvenuto l’11 febbraio 2016.
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Roma non si è costituita, pur essendole stato notificato l’atto di riassunzione a mezzo del servizio postale con plico raccomandato spedito il 17 gennaio 2019 e ricevuto il 22 gennaio 2019, come risulta dall’originale dell’avviso di ricevimento prodotto dagli instanti.
Il processo è stato fissato all’odierna udienza camerale per la decisione.
Con memoria depositata il 22 maggio 2019 la difesa dei sunnominati ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nell’atto di riassunzione.
La Commissione rileva che l’atto di riassunzione è inammissibile.
Invero, gli instanti si sono limitati a dichiarare di essere eredi di D.M., il cui ricorso avverso la suindicata sentenza della Commissione Tributaria Centrale è stato accolto da parte della Corte di cassazione, ma non hanno in alcun modo provato l’addotta loro qualità.
Tale mancanza di prova determina l’inammissibilità del ricorso in riassunzione, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, che ha reiteratamente affermato che «[…] colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima» (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 11276 del 10/05/2018, in C.e.d. Cass., rv. 648916-01; conf. Cass., Sez. U, sent. n. 12065 del 29/05/2014, in C.e.d. Cass., rv. 630997-01).
Va soggiunto che nessun dubbio si pone in ordine alla rilevabilità d’ufficio del suindicato deficit probatorio, trattandosi di profilo attinente alla regolare costituzione del contraddittorio (in tal senso Cass., Sez. 2, sent. n. 21093/2012; conf. Cass., Sez. 2, sent. n. 15352 del 25/06/2010, in C.e.d. Cass., rv. 613693-01; Cass. n. 1943/2011; Cass., Sez. Un., sent. n. 4468 del 25/02/2009, in C.e.d. Cass., rv. 607130-01).
Né, si deve osservare da ultimo, vi sono state produzioni documentali dei ricorrenti suscettibili di costituire un inizio di prova sulla relazione familiare con il de cuius e sulla loro qualità di eredi tale da poter determinare la richiesta, da parte di questo giudice, di eventuali chiarimenti in applicazione del disposto dell’art. 183, quarto comma, cod. proc. civ. Sul punto è pacifico il principio secondo il quale in situazioni come quella che ci occupa non ricorrono le condizioni per disporre l’integrazione della prova della qualità di eredi, trattandosi della dimostrazione della legittimazione a proporre la domanda, che è un fondamentale e preliminare presupposto della stessa. La Corte di cassazione ha specificamente chiarito, infatti, che tale potere di integrazione da parte del giudice non può essere esercitato per supplire all’onere probatorio della parte (Cass., Sez. 6-2, sent. n. 4412 del 04/03/2015, in C.e.d. Cass., rv. 634450-01; conf. Cass., Sez. 6-2, sent. n. 868/2017).
Per le esposte ragioni, dunque, il ricorso in riassunzione deve essere dichiarato inammissibile.
Non occorre provvedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio, non essendosi la controparte costituita.
P.Q.M.
la Commissione dichiara inammissibile il ricorso in riassunzione. Nulla sulle spese.
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