Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sezione XI sentenza n. 4336 depositata il 16 luglio 2019
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Redditi da fabbricato in locazione – Soggetto non proprietario – Calcolo ai fini IRPEF – Esclusione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza n. 20106/2017 pronunciata il 6 giugno 2017 (depositata il 20 settembre 2017), la Sezione n. 43 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso presentato da C.M.L. avverso l’avviso di accertamento n. (omissis) con il quale l’Agenzia delle Entrate le aveva intimato il pagamento di euro 4.916,65, relativamente a un maggior reddito non dichiarato per l’anno 2009, pari a euro 2.267,00 oltre sanzioni ed interessi, determinato ai sensi dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600/73 derivante dalla locazione di un immobile sito nel Comune (omissis) al canone annuo di euro 6.000, come accertato nel p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza il 18.12.2013.
La C.T.P. osservava in motivazione quanto segue:
– l’Agenzia delle Entrate sul presupposto della proprietà in capo alla contribuente dell’immobile risultato locato dagli accertamenti della Guardia di Finanza, ha richiesto il pagamento delle imposte sui canoni percepiti per l’annualità 2009;
– la ricorrente ha evidenzia la propria estraneità ai fatti contestati, deducendo la mancata disponibilità dell’immobile, detenuto dall’ex marito, dal quale è separata dal 1987;
– dalla lettura del verbale redatto dalla Guardia di Finanza l’interessata risulta del tutto estranea rispetto alla presunta locazione dell’immobile effettuata dall’ex marito, come si evince dalla stessa dichiarazione del conduttore, il quale ha riferito che il rapporto è intercorso con il sig. S.R. ivi compreso il pagamento del corrispettivo;
– rispetto all’annualità 2009 non viene fornita alcuna prova dell’esistenza di un regolare contratto di locazione, della sua titolarità da parte della ricorrente e della effettiva percezione dei canoni, per cui l’ipotesi nascente dal processo verbale di contestazione deve ritenersi sorretta da presunzioni non aventi le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza, per cui non possono legittimare la pretesa fiscale.
Da qui l’accoglimento del ricorso.
Avverso la decisione ha interposto appello l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale III di Roma, la quale ha articolato i seguenti motivi di gravame:
– sulla questione dell’esistenza, nel caso di specie, del contratto di locazione, si evidenzia la contraddizione in termini in cui incorrono i primi giudici i quali dopo aver affermato che “dalla stessa dichiarazione fatta dal conduttore si evince che il rapporto è intercorso tra il sig. S.R. con il quale sono state concordale le clausole della locazione ivi compreso il pagamento del corrispettivo”, stabiliscono che “rispetto all’annualità 2009 non viene fornita alcuna prova dell’esistenza di un regolare contratto di locazione”;
– nulla esclude che il sig. S. abbia agito nella qualità di rappresentante della consorte;
– l’avviso di accertamento in oggetto è stato emesso in applicazione del disposto di cui all’art. 1, comma 342, terzo capoverso, della legge 30.12.2004, n. 311, che prevede che in caso di omessa registrazione del contratto di locazione di immobili si presume, salva documentata prova contraria, l’esistenza del rapporto di locazione anche per i quattro periodi di imposta antecedenti a quello nel corso del quale è accertato il rapporto stesso;
– nel caso di specie, dunque, opera una presunzione di esistenza del contratto, che può essere superata solamente da documentata prova contraria, la quale non può di certo essere rappresentata da mere dichiarazioni della contribuente circa l’indisponibilità dell’immobile;
– posta, quindi, l’esistenza del contratto di locazione, il problema si sposta sulla diversa questione della imputabilità soggettiva del reddito locatizio, in ordine alla quale l’art. 26 del d.P.R. n. 917/1986 stabilisce che i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito indipendentemente dalla loro effettiva percezione, con conseguente obbligo di dichiararli per il proprietario, enfiteuta, usufruttuario o titolare di altro diritto reale, prescindendo dal verificarsi del reddito e dal momento di effettiva percezione del canone (Cass. n. 651/2012);
– stante il chiaro dettato legislativo, l’imputazione del reddito locatizio deve avvenire in capo al proprietario dell’immobile e non in capo all’eventuale detentore dello stesso;
– peraltro, è circostanza alquanto anomala il fatto che, nonostante l’asserita separazione coniugale, la disponibilità dell’immobile de quo, di proprietà della contribuente, sia rimasta in capo all’ex marito, il quale, peraltro, risulta essere residente allo stesso indirizzo della contribuente (Roma, Via omissis);
– in ragione di quanto sopra è possibile sostenere che il sig. S. abbia concluso il contratto di locazione a nome e nell’interesse della contribuente, nei confronti della quale il contratto ha prodotto i suoi effetti diretti (artt. 1387 e ss. cod. civ.);
– in relazione all’anno di imposta 2010, per analogo accertamento, la C.T.P. di Roma, con sentenza n. 17944/07/17, depositata il 20/7/2017, ha respinto il ricorso della contribuente.
Per i motivi esposti, l’appellante ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, sia dichiarata la legittimità dell’avviso di accertamento in epigrafe, con vittoria di spese del presente grado di giudizio.
Si è costituita la contribuente, la quale ha formulato le seguenti controdeduzioni:
– i primi giudici hanno correttamente ritenuto non sussistenti presunzioni chiare precise e concordanti tali da far ritenere che la contribuente nell’anno 2009 abbia percepito canoni in ragione della locazione del proprio immobile, atteso che gli unici elementi concreti, contenuti nel processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza, riguardavano un presunto rapporto locatizio al quale ella era rimasta estranea e risalente ad un periodo (2005-2007) ben antecedente l’anno d’imposta in oggetto (2009);
– l’Ufficio, in sede di appello invoca l’applicazione dell’art. 1, comma 342, terzo capoverso, della legge n. 311/2004, riguardante la presunzione di esistenza del rapporto locatizio, non registrato, per i quattro anni antecedenti rispetto alla prova della sua esistenza e non, quindi, gli anni successivi;
– se di prova del contratto si può parlare questa risalirebbe agli anni 2005-2007 in ragione della presenza di alcune quietanze di pagamento, peraltro non allegate al p.v. di contestazione e a firma del sig. S.R., soggetto estraneo al giudizio;
– l’Agenzia delle Entrate, degradando le eccezioni sollevate dall’appellata vorrebbe di fatto fondare il proprio accertamento unicamente sulle mere dichiarazioni del sig. N.P. presunto conduttore;
– come rilevato dai Giudici di primo grado, però, in atti non esistono prove, eccetto tali dichiarazioni del sig. N.P. circa l’esistenza il fatto che il presunto rapporto locatizio tra quest’ultimo ed il sig. S. seppur esistito negli anni 2005-2007, si sia protratto nell’anno 2009, oggetto di causa.
Per tali ragioni l’appellata ha chiesto il rigetto dell’appello, con vittoria di spese, da liquidarsi in favore del procuratore antistatario.
All’odierna udienza il rappresentante dell’Ufficio ha insistito per l’accoglimento dell’appello, mentre la difesa dell’appellata ne ha chiesto il rigetto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’appello dell’Agenzia delle Entrate è fondato e deve essere accolto per le ragioni di seguito indicate.
1.1 In primo luogo va rilevato che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici e dall’appellata, la prova indiziaria della sussistenza dei rapporto locativo che costituisce il presupposto dell’accertamento di cui si discute può essere tratta anche dalle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza dall’inquilino. In tal senso è chiaro l’insegnamento dei giudici di legittimità, i quali hanno affermato, in un caso analogo, che le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfuse nel processo verbale di constatazione hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice (Cass., Sez. 5, sent. n. 16223/2014).
1.2 Conseguentemente, risulta non condivisibile la mancata valutazione, da parte dei primi giudici, della forte portata indiziaria delle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza dall’inquilino N.P., il quale ha fornito dettagli senz’altro idonei a comprovare la sussistenza del rapporto locativo, rappresentando, tra l’altro, che non era stato stipulato alcun contratto scritto e che il Sig. S.R., a seguito del mancato pagamento di alcuni canoni, gli aveva precluso l’accesso all’alloggio dal 17 settembre 2013. A tale dichiarazione si aggiunge, ad incremento della sua già consistente caratura, l’ulteriore risultanza documentale menzionata nel p.v.c. e costituita da alcune quietanze relative a pagamenti di utenze domestiche e canoni per detto alloggio, relative agli anni 2005-2007 prodotte dal N.
1.3 Va soggiunto che, come si evince ancora dal p.v.c., l’inquilino, in una dichiarazione del 20.04.2009 resa alla G. di F. aveva originariamente accreditato la versione dello S. circa la sussistenza di un contratto di comodato, così vanificando gli accertamenti circa la mancata registrazione del contratto, e che, successivamente, rivoltosi ai Carabinieri nell’ottobre 2013 per denunciare la perdita della disponibilità dell’alloggio, aveva ammesso la sussistenza del rapporto locativo, producendo dette quietanze.
1.4 Da quanto sopra risulta priva di pregio l’obiezione dell’appellata circa l’assenza prova del rapporto locativo per l’anno 2009, posto che la dichiarazione dell’inquilino è dell’ottobre 2013 e, dunque, è del tutto fondato l’assunto dell’Ufficio in ordine alla presunzione della sussistenza della locazione ai sensi del disposto dell’art. 41-ter del d.P.R. n. 600/1973, introdotto dall’art. 1, comma 342, della legge 30.12.2004, n. 311.
2. Una volta ritenuta provata, sulla base di indizi connotati da gravità precisione e concordanza, la sussistenza del rapporto locativo avente ad oggetto l’immobile de quo, consegue ineludibilmente la fondatezza della pretesa erariale nei confronti dell’appellata, che ne è proprietaria, in ordine ai relativi proventi non dichiarati.
2.1 Infatti, come correttamente obiettato dall’Agenzia delle Entrate, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che l’art. 23 del d.P.R. n. 917/1986 lega il concetto di reddito fondiario alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile censito in catasto, a cui, per effetto di tale censimento, vengono attribuiti redditi presuntivi soggetti all’imposizione diretta, indipendentemente dalla loro effettiva percezione (in tal senso, da ultimo, Cass., Sez. 5, sent. n. 26447 del 08/11/2017,in C.e.d. Cass., rv. 646164-01).
Peraltro, la fattispecie oggetto della pronunzia ora richiamata era esattamente speculare a quella che ci occupa, giacché la Suprema Corte, nell’occasione, ha cassato la sentenza di merito che, sulla base della stipulazione di contratti di locazione immobiliare da parte del contribuente, aveva dedotto l’apparenza del possesso uti dominus, atto a qualificare come reddito fondiario la percezione dei relativi canoni, senza adeguata valutazione della titolarità di un diritto reale sull’immobile (“sul punto, conf. Cass., Sez. 5, sent. n. 19166 del 15/12/2003, in C.e.d. Cass., rv. 568915-01 :«[…] In tema di imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), non va compreso fra i redditi da fabbricato quello derivante dalla locazione di un immobile stipulata da persona non proprietaria né titolare di altro diritto reale sul bene in questione. Infatti, l’art. 32 del d.P.R. n. 597 del 1973, la cui disposizione è stata sostanzialmente riprodotta dall’art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986, lega – con previsione insuscettibile di interpretazione estensiva – il concetto di reddito fondiario alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile censito in catasto, a cui, per effetto di tale censimento, vengono attribuiti redditi presuntivi soggetti all’imposizione diretta, indipendentemente dalla loro effettiva percezione.»). In proposito va rilevato, da ultimo, che la contribuente non è stata in grado di smentire in modo pertinente ed efficace l’attribuibilità a lei, nella sua qualità di intestataria dell’immobile, del reddito riveniente dall’accertata locazione dell’immobile, essendosi limitata a mere dichiarazioni, prive di qualsivoglia supporto, la cui illogicità è stata giustamente sottolineata dall’appellante. Infatti, risulta ben poco credibile che, ella possa essersi totalmente disinteressata dell’immobile di sua proprietà – peraltro di rilevante consistenza, come si evince dal certificato catastale riportato nel p.v.c. in atti -, lasciandone la totale disponibilità al coniuge separato, ivi compresa la possibilità di trarne reddito da locazione.
3. Per le esposte ragioni l’appello dell’Agenzia delle Entrate deve essere accolto, con conseguente integrale riforma della sentenza impugnata.
4. Alla soccombenza consegue la condanna dell’appellata al rimborso all’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale III di Roma delle spese del presente grado di giudizio, che – avuto riguardo ai criteri direttivi di cui agli artt. 4 e ss. del d.m. 55/2014 e alle tabelle ad esso allegate, tenuto conto del valore della lite, della complessità della materia e dell’attività svolta, nonché praticata la riduzione prevista dal comma 2-sexies dell’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 e applicato l’aumento del 15% per spese forfettarie di cui all’art. 2 del citato d.m. 55/2014 -, vengono liquidate nella misura complessiva di euro 2.600,00 (duemilaseicento/00), di cui euro 867,00 (ottocentosessantasette/00) a titolo di maggiorazione ex art. 15, comma 2-septies, del d.lgs. n. 546/1992).
P.Q.M.
accoglie l’appello; condanna l’appellata al rimborso all’Agenzia delle Entrale – Direzione Provinciale III di Roma delle spese del presente grado di giudizio, che vengono liquidate nella misura complessiva di euro 2.600,00 (duemilaseicento/00), di cui euro 867,00 (ottocentosessantasette/00) a titolo di maggiorazione ex art. 15, comma 2-septies, del d.lgs. n. 546/1992).
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