Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte, sezione n. 2, sentenza n. 241 depositata il 21 febbraio 2020
Canone RAI RADIODIFFUSIONI – Corretta applicazione degli artt. 3, 5, 6, 7 e 10 L. 212/2000 – Diritto Comunitario e aiuti di Stato – Ricorso alla Corte di Giustizia Europea – Aiuti di Stato – Parte tributaria nella bolletta di energia elettrica – Servizio reso dal pagamento del canone RAI
Massima:
Non sono violati gli artt. 3, 5, 6, 7 e 10 della L.212/2000, ovvero l’Amministrazione non abdica al suo dovere di informare i contribuenti anche con opportuna modulistica. Anche a voler ignorare la pubblicità implicita (ed esplicita) delle disposizioni normative (che non prevedono la loro inefficacia in caso di mancata conoscenza delle persone interessate) e delle notizie comunemente rilevabili nella stampa e nei media in generale, il fatto che l’Erario si avvalga di soggetti privati per le imposizioni fiscali di cui si è resa responsabile è nella normale conoscenza dei contribuenti (si pensi alle ritenute alla fonte, a Equitalia) e attiene a criteri di praticità ed efficienza che rispondono alla legittima aspettativa dei soggetti passivi che non sono costretti a procedere a periodiche dichiarazioni, senza peraltro rinunciare a tutelare e far valere i propri diritti indipendentemente dall’Ente interposto tra loro e l’Amministrazione. La modalità di pagamento, così come definita, risponde pienamente ai principi costituzionali e in particolare a quanto disposto dall’art. 97. Ovviamente il fatto che la pretesa così espressa comporti anche il dovere di versare quanto dovuto ed esplicitato nei documenti (bollette) non incide minimamente sui diritti propri dei contribuenti. Non si vede, quindi, quali violazioni possano essere riferite allo Statuto dei Diritti del Contribuente stanti le garanzie e le semplificazioni che una simile metodologia di riscossione ha introdotto. Metodologia che, fra l’altro, ha visto il parere favorevole del Consiglio di Stato in relazione alle innovazioni introdotte con la L. 218/2015. A ciò si aggiunga, per chiarezza, la maggior tutela dei contribuenti che possono in qualsiasi momento comunicare la non applicabilità del tributo o svolgere qualsiasi altra azione rientri nelle disposizioni tributarie (impugnazione o istanza di rimborso).E’ infondata l’eccezione connessa alla sostenuta violazione dei principi del Diritto comunitario in punto illegittimità degli aiuti di Stato (art. 107 TFUE). Nelle disposizioni di cui all’art. 7 DM 94/2016 non si rileva alcuna forma discriminatoria nei confronti delle aziende produttrici e/o fornitrici di energia elettrica. Attualmente nel paese operano quattordici diversi fornitori che accederanno a breve al mercato libero, quindi Enti che opereranno, se già non lo fanno, con la metodologia di riscossione delle bollette. Per gli stessi non è previsto alcun vincolo di nazionalità (tra questi opera anche una conosciuta Società che ha una consociata attiva nel mercato inglese) e quindi non si comprende ove sussista un aiuto di Stato, indipendentemente dal compenso previsto per la gestione del canone in bolletta.Il ricorso alla Corte di Giustizia Europea non può basarsi su una doglianza generica in quanto, proprio nel rispetto dell’autorevolezza dell’organo giudicante comunitario, la domanda ad esso sottoposta deve essere corredata da elementi di fatto e di diritto idonei a garantire una soluzione utile. In tema di aiuti di Stato il contribuente deve produrre una valutazione concreta e precisa sull’incidenza negli scambi tra gli Stati Membri dei vantaggi insiti e idonei a minacciare o falsare la libera concorrenza.La componente della bolletta sul consumo dell’energia elettrica non ha alcun collegamento con la parte tributaria e non incide quindi in alcun modo sulla capacità contrattuale delle parti per lo specifico settore merceologico.Il canone RAI, costituzionalmente legittimato, è tra i più bassi in Europa e il servizio, ormai consolidato nel Paese, si basa su una presunzione legale che può essere opposta dal cittadino (direttamente o tramite interposti, né più, né meno, di quanto effettuato con la dichiarazione dei redditi) e, al pari di altri servizi di pubblica utilità (si pensi alla raccolta rifiuti), è ragionevole dal punto di vista economico e di libero accesso.
Svolgimento del Giudizio
Si premette che la signora (CF) ed altre 64 persone compiutamente indicate negli atti di causa (pag. 1-5 dell’atto di appello) ricorrevano con due atti distinti rubricati come RGR 307/2017 e RGR 655/2017 avverso l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale I di Torino per la pretesa indicata nelle fatture di energia elettrica per la componente attinente l’addebito del canone di abbonamento alla televisione.
In particolare i ricorrenti ritenevano illegittimo l’addebito riportato sulla bolletta emessa dalla ditte fornitrici come previsto dall’art. 1 co 153 e 154 L 208/2015 e dal successivo DM 94/2016 nonché dai Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate riguardanti le modalità di dichiarazione di possesso di apparecchio televisivo.
Nelle impugnazioni sollevavano più motivi di illegittimità, in sintesi:
1) Per violazione di parte delle norme degli artt. 2, 3, 23, 53, 97 della Costituzione e degli artt. 3, 5 e 6 della L 21272000.
2) Violazione dell’art. 107 e successivi del TFUE.
3) Violazione dei principi generali di autonomia privata e contrattuale (artt. 1321 e successivi cc, att. 1321 e ss, 1372 cc e art. 1346 cc).
Chiedevano, in via preliminare, di riconoscere la competenza della causa del Giudice Tributario e con varie e gradate domande il riconoscimento diretto o mediato dalla Corte Costituzionale dell’illegittimità delle pretese. In ogni caso con favore delle spese e relativa distrazione in favore del difensore antistatario.
A tutti i ricorsi si opponeva l’Amministrazione (Ufficio Canone TV) con atti separati controdeducendo sui motivi espressi. In particolare, richiamando le fasi evolutive delle norme, rilevava la non impugnabilità degli atti in esame in quanto non rientranti nelle previsioni dell’art. 19 D.Lgs 546/1992.
Chiedeva la dichiarazione del difetto di giurisdizione della Commissione adita e inammissibili i ricorsi. Con vittoria delle spese.
Seguivano memorie di replica di parte ricorrente.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino sezione VIII, con sentenza n. 1064/8/2018 osservava in punto di illegittimità costituzionale che l’eccezione doveva risultare da una rilevazione precisa di eccesso di potere, evento non ravvisabile nella fattispecie trattata; richiamava analoga conclusione a cui era giunto il TAR riguardante richieste espresse sulla legittimità del canone RAI.
Dichiarava inammissibili i ricorsi riuniti, condannando in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite liquidate in ? 1.000,00 oltre accessori, se dovuti.
Appella parte contribuente con atto spedito il 13/06/2019. Nel richiamare i fatti a origine della vertenza e nel censurare la decisione di primo grado propone i motivi di seguito sinteticamente riportati:
1) Ammissibilità del ricorso in relazione alla competenza giurisdizionale del Giudice Tributario rilevando nella componente della bolletta del consumo di energia elettrica la valenza impositiva del canone televisivo. Sul punto elencazione degli atti impugnabili richiama la valutazione estensiva svolta dalla Suprema Corte (per tutte la n. 21045/2007). In altre parole rileva l’autonoma impugnazione del gravame in relazione alle disposizioni che la riguardano.
2) Illegittimità della pretesa tributaria e della dichiarazione di possesso dello strumento televisivo in relazione ai principi espressi dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.
3) Illegittimità dell’addebito per violazione degli artt. 107 e successivi del TFUE in quanto incompatibili con i principi comunitari.
4) Violazione dei principi di autonomia contrattuale dei soggetti privati espressi dal cc.
5) Ulteriori profili di illegittimità costituzionale delle norme di riferimento all’introduzione in bolletta del canone, in considerazione della loro rilevanza e dell’irragionevolezza della pretesa.
Chiede, in riforma della sentenza impugnata, di dichiarare la giurisdizione del giudice tributario e per l’effetto rimettere la causa alla Commissione Tributaria Provinciale al fine di:
1) Rimettere la causa alla Corte Costituzionale.
2) Dichiarare l’illegittimità dell’addebito del canone in bolletta elettrica per i motivi esposti.
3) Rilevare il contrasto dell’art. 1 co. 152 e 153 DM 94/2016 con l’art. 107 e seguenti del trattato di Funzionamento della Unione Europea (TFUE).
4) Dichiarare la pretesa in esame illegittima per violazione dei principi generali e per l’effetto dichiarare la medesima non dovuta.
In ogni caso con vittoria delle spese di giudizio di entrambi i gradi da distrarsi in favore del difensore antistatario.
Con atto presentato prot. n. 2995/C si costituisce l’Ufficio ribadendo puntualmente i motivi di opposizione alle eccezioni sollevate da controparte. In particolare, in relazione all’autonoma impugnabilità delle bollette della luce, rileva la diversa natura della fattura non corrispondendo alla tipicità degli atti impositivi ove prevalgono effetti giuridicamente lesivi. Richiama le precisazioni espresse dal Consiglio di Stato sulla L 208/2015 e rileva ulteriori motivi di infondatezza della contestazione alla pretesa in esame.
Chiede il rigetto dell’appello, con vittoria delle spese di lite.
Motivi della Decisione
Osserva questa Commissione che l’appello di parte contribuente non merita accoglimento.
La controversia, in considerazione della complessità delle motivazioni addotte e delle implicazioni ad esse correlate, richiede la sua collocazione nell’ambito della componente tributaria, ignorando pertanto le questioni socio politiche che regolano e hanno regolato nel tempo le vicissitudini del servizio radiotelevisivo pubblico, questioni che non possono rientrare nella giurisdizione qui invocata.
I primi giudici, correttamente, hanno ritenuto che non è compito delle Commissioni Tributarie valutare la costituzionalità degli atti amministrativi ove si sovrappongono questioni di congruità e ragionevolezza con finalità sociali e politiche, la cui competenza va ricercata nella funzionalità del sistema Paese e non certo nella componente tributaria assolutamente irrilevante a fronte delle diverse responsabilità attribuibili ad altri poteri dello Stato legittimamente esercitati. Comunque, in considerazione della valenza tributaria della pretesa in esame, ancorché veicolata attraverso atti di non stretta collocazione erariale in quanto emessi da enti estranei alla Pubblica Amministrazione, occorre rilevare la competenza dell’attuale Collegio per la valenza erariale del tributo contestato, superando pertanto la rigida disposizione dell’art. 19 D .Lgs 546/ 1992 nella definizione degli atti impositivi autonomamente impugnabili e ciò in adesione all’orientamento della Suprema Corte (per tutte la n. 21045/2007).
In tale contesto la sentenza della CTP impugnata va quindi riformata, senza però che tale soluzione determini il rinvio alla stessa delle domande non affrontate nel ricorso introduttivo in ragione della infondatezza delle doglianze espresse dai ricorrenti, di cui si tratterà in seguito, e della natura sostanziale del processo tributario ove si privilegia l’economia di giudizio alla puntigliosa trattazione delle motivazioni addotte.
Ciò premesso, superato il primo motivo di appello, la controversia deve procedere con la trattazione dei seguenti motivi di impugnazione:
a) Illegittimità della pretesa tributaria così come sostanziata nella bolletta riguardante la fornitura dell’energia elettrica.
b) Violazione dell’art. 107 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e del diritto comunitario in generale.
c) Violazione dell’autonomia contrattuale delle parti coinvolte.
d) Illegittimità costituzionale delle norme di riferimento alla pretesa erariale in esame.
A ulteriore chiarimento delle osservazioni che seguiranno occorre evidenziare le caratteristiche della tassa qui contestata e del servizio ad essa sotteso.
Il tributo si basa sul possesso di un apparecchio idoneo alla ricezione di canali televisivi, il presupposto deriva però dalla presenza di un contatore di misura dell’energia elettrica; corrisponde alla disponibilità di un servizio pubblico regolato dal Contratto di Servizio che prevede: garanzia di pluralismo e di obbiettività (nella più ampia eccezione del significato dei termini indicati); un tetto alla componente pubblicitaria (12%) inferiore a quello previsto per le reti televisive commerciali;
un livello qualitativo, informativo e formativo compatibile con le esigenze del Paese; garantire una gamma equilibrata di programmazione televisiva; la diffusione a livello nazionale indipendentemente dalla densità abitativa. Insieme di obblighi garantiti dal controllo esercitato dal Parlamento tramite la Commissione Parlamentare che nomina sette membri del Consiglio di Amministrazione (trattandosi di una SPA che opera con concessione governativa) mentre due sono nominati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (che possiede il 99,56% delle azioni e il rimanente è della SIAE). Inoltre il servizio in esame svolge un ruolo nella comunicazione dei residenti all’estero e aderisce alla Euronews, ovvero un consorzio di emettenti pubbliche europee.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, risultando incontestata la ragionevolezza del tributo e la valenza di servizio pubblico gratuito di utilizzo spontaneo (nessuno è costretto a utilizzarlo al pari del Servizio Sanitario Nazionale che comunque grava economicamente sui cittadini), la prima questione riproposta dall’appellante attiene alla legittimità (non del tributo) ma della modalità con la quale è riscosso così come disposto dall’art. 1 co. 153 e successivi L 218/2015.
Sulla questione parte appellante ritiene che la pretesa così sostanziata sia in violazione degli artt. 3, 5, 6, 7 e 10 della L 212/2000, ovvero che l’Amministrazione abdichi al suo dovere di informare i contribuenti anche con opportuna modulistica.
La tesi è priva di fondamento. Anche a voler ignorare la pubblicità implicita (ed esplicita) delle disposizioni normative (che non prevedono la loro inefficacia in caso di mancata conoscenza delle persone interessate) e delle notizie comunemente rilevabili nella stampa e nei media in generale, il fatto che l’Erario si avvalga di soggetti privati per le imposizioni fiscali di cui è e resta responsabile è nella normale conoscenza dei contribuenti (si pensi alle ritenute alla fonte, a Equitalia) e attiene a criteri di praticità ed efficienza che rispondono alla legittima aspettativa dei soggetti passivi che non sono costretti a procedere a periodiche dichiarazioni, senza peraltro rinunciare, come nel caso attuale, a tutelare e far valere i propri diritti indipendentemente dall’ente interposto tra loro e l’Amministrazione. La modalità di pagamento, così come definita, risponde pienamente ai principi costituzionali e in particolare a quanto disposto dall’articolo 97. Ovviamente il fatto che la pretesa così espressa comporti anche il dovere di versare quanto dovuto ed esplicitato nei documenti (bollette) non incide minimamente nei diritti propri dei contribuenti.
Tutto ciò chiarito, non si vede quali violazioni possano essere riferite allo Statuto dei Diritti del Contribuente stante le garanzie e le semplificazioni che una simile metodologia di riscossione abbia introdotto. Metodologia che, fra l’altro, ha visto il parere favorevole del Consiglio di Stato in relazione alle innovazioni introdotte con la Legge 218/2015.
A ciò si aggiunga, per chiarezza, la maggior tutela dei contribuenti che possono in qualsiasi momento comunicare la non applicabilità del tributo o svolgere qualsiasi altra azione rientri nelle disposizioni tributarie (impugnazione o istanza di rimborso).
Altrettanto infondata risulta l’eccezione connessa alla sostenuta violazione dei principi del Diritto comunitario in punto illegittimità degli aiuti di stato (art. 107 TFUE). Ignorando la carenza documentale delle tesi sostenute dagli appellanti (in particolare sulla determinazione della somma ceduta alle imprese private), di cui tratteremo in seguito, nelle disposizioni di cui all’art. 7 DM 94/2016 non si rileva alcuna forma discriminatoria nei confronti delle aziende produttrici e/o fornitrici di energia elettrica. Attualmente nel Paese operano quattordici diversi fornitori che accederanno a breve al mercato libero, quindi enti che opereranno, se già non lo fanno, con la metodologa di riscossione delle bollette. Per gli stessi non è previsto alcun vincolo di nazionalità (per conoscenza si ricorda che tra questi opera anche la G.N.E.L.G. che ha una consociata attiva nel mercato inglese) e quindi non si comprende ove sussista un aiuto di stato, indipendentemente dal compenso previsto per la gestione del tributo in esame.
Sul tema, a fronte della domanda di parte contribuente di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia Europea, la Commissione osserva che il ricorso alla stessa non può basarsi su una doglianza generica in quanto, proprio in rispetto dell’autorevolezza dell’organo giudicante comunitario, la domanda prospettata deve essere corredata di elementi di fatto e di diritto idonei a garantire una soluzione utile. Ma non solo, in tema di aiuti di stato il ricorrente, oltre a prospettare una componente discriminatoria, deve produrre una valutazione concreta e precisa sull’incidenza negli scambi tra gli Stati Membri dei vantaggi insiti e idonei a minacciare o falsare la libera concorrenza.
In tale contesto la proposta dell’appellante risulta priva di qualsiasi requisito e, indipendentemente dalla conclusione a cui è giunto questo Organo giudicante che la ritiene infondata, è da ritenersi inammissibile.
Analogamente illogica appare la quarta doglianza. Sul punto, oltre a richiamare quanto già motivato, si rileva come la componente della bolletta sul consumo dell’energia elettrica non abbia alcun collegamento con la parte tributaria e non incida quindi in alcun modo sulla capacità contrattuale delle parti per lo specifico settore merceologico.
Sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale del quinto motivo di impugnazione basti rilevare che il canone versato alla RAI è tra i più bassi in Europa, che il servizio è ormai di uso consolidato nel Paese, che si basa su una presunzione legale che può essere opposta dal cittadino (direttamente o tramite interposti, né più né meno di quanto effettuato con la dichiarazione dei redditi) e che a pari di altri servizi di pubblica utilità (si pensi alla raccolta rifiuti) è ragionevole dal punto di vista economico e di libero accesso.
In conclusione il Collegio, in riforma della sentenza di primo grado, dichiara ammissibile il ricorso; nel merito della vertenza rigetta l’appello e conferma la piena legittimità del tributo e della sua gestione.
Inoltre, in applicazione dell’art. 15 D.Lgs 546/1992, condanna parte contribuente alle spese del grado, mitigate dal contrasto intervenuto con la decisione di primo grado, che liquida in complessivi ? 1.500,00 (millecinquecento,00), donde il dispositivo.
PQM
Rigetta l’appello e condanna parte contribuente alle spese di lite del grado che liquida in euro 1.500,00.
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