Commissione Tributaria Regionale per il Veneto sezione 7 sentenza n. 970 depositata il 2 ottobre 2017
FATTO
G. G. C. propone appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, sez. I, n. 951/2015, pronunciata in data 8 giugno 2015 e depositata in data 21 dicembre 2015.
Si costituisce in giudizio l’Agenzia delle Entrate, eccependo l’infondatezza dell’impugnazione avversaria, di cui chiede il rigetto.
L’Agenzia delle Entrate propone, altresì, appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza appellata nella parte in cui ha accolto il ricorso di primo grado, proposto dal contribuente.
Le parti producono memorie e documenti.
All’udienza pubblica del 7 marzo 2017, previa audizione delle parti, la causa viene trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) Con la sentenza appellata, la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia accoglieva solo parzialmente il ricorso presentato da G. G. C. avverso gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008 emessi dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Venezia, recanti la determinazione, in via sintetica, dei redditi imponibili del ricorrente – di professione commercialista ed amministratore di condomini -in applicazione di coefficienti di redditività, ex art. 38 dpr 1973 n. 600 e DD.MM. 10/09/1992 e 10/1171992, accertando un reddito di euro 132.934,00 per l’anno 2006, di euro 171.230,00 per l’anno 2007 e di euro 159.623,00 per l’anno 2008.
In particolare, il ricorrente aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi in relazione agli anni suindicati e l’assenza di redditi veniva ritenuta incompatibile con il sostenimento di spese sia per consumi e utenze, sia per la manutenzione di immobili a sua disposizione, sia di veicoli, oltre che in ragione di particolari incrementi patrimoniali.
La sentenza in esame respingeva i motivi di impugnazione diretti a contestare, rispettivamente: a) la violazione del principio del contraddittorio in sede procedimentale; b) l’insussistenza degli indici concreti di capacità contributiva posti a fondamento dell’accertamento sintetico e, comunque, la loro inidoneità ad integrare un quadro indiziario significativo; c) la violazione dell’art. 42 del d.p.r. 1973 n. 600, per mancanza di sottoscrizione degli avvisi di accertamento, in quanto apposta da un soggetto non munito di una delega valida.
Per contro, la sentenza riteneva fondato il motivo diretto a contestare la mancata considerazione, da parte dell’amministrazione finanziaria, della disponibilità finanziaria conseguita da G. G. C. in ragione della vendita di un terreno e, di conseguenza, accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando il reddito accertato e quantificandolo in euro 132.934,00 per l’anno 2006, in euro 56.230,00 per l’anno 2007 e in euro zero per l’anno 2008.
Venivano compensate le spese del primo grado di giudizio.
2) Con l’appello principale, G. G. C. ripropone, come motivi di impugnazione, le censure già sollevate in primo grado e non accolte, contestando, nello stesso tempo, le argomentazioni sviluppate dalla decisione di primo grado, sottese al rigetto delle censure stesse, chiedendo la riforma della sentenza e l’annullamento degli avvisi di accertamento in contestazione.
Con l’appello incidentale, l’Agenzia delle Entrate chiede la riforma della sentenza appellata, nella parte in cui ha ritenuto rilevante, ai fini della rideterminazione della base imponibile, la disponibilità finanziaria conseguita dal contribuente in ragione della vendita di un terreno.
Deve essere esaminato per primo il ricorso principale, in quanto recante censure connotate da precedenza logica e giuridica, perché dirette a contestare in radice gli avvisi di accertamento gravati e la cui fondatezza renderebbe inammissibile, per carenza di interesse, l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
3) E’ fondato e presenta carattere assorbente, perché tale da travolgere integralmente ed ab origine gli avvisi di accertamento contestati, il motivo di appello con il quale il ricorrente principale deduce che la sentenza di primo grado è incorsa in un errore di giudizio, laddove ha ritenuto che gli avvisi di accertamento fossero legittimamente sottoscritti da un funzionario munito di valida delega.
Come è noto, l’art. 42 del d.p.r. 1973 n. 600 prescrive che gli accertamenti sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante “la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriere direttiva da lui delegato”, con la precisazione, al comma 3, che “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione .di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma”.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato, con un orientamento recente. ma consolidato, condiviso dalla Commissione, i presupposti necessari per ritenere valida la delega rilasciata dal capo dell’ufficio al funzionario che appone la sottoscrizione, con la precisazione che, laddove la delega sia illegittima, la sottoscrizione deve ritenersi non validamente apposta, con conseguente nullità dell’avviso di accertamento.
In relazione a quest’ultimo profilo, occorre chiarire, per completezza di esposizione, che alla previsione di nullità testuale posta dall’art. 42, comma 3, cit. -così come alle altre disposizioni che delineano analoghe ipotesi di nullità degli atti tributari nelle diverse discipline d’imposta – non è direttamente applicabile il regime normativa di diritto sostanziale e processuale dei vizi di nullità dell’atto amministrativo, vizi che hanno trovato riconoscimento positivo nella L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e disciplina processuale nel D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 31, comma 4, (recante il codice del processo amministrativo) nell’autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta a termine di decadenza e nella attribuzione del potere di rilevazione ex officio da parte del Giudice amministrativo.
Invero, l’ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di species ad genus, potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario, che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando alla generale estensione del regime normativa di diritto amministrativo, la scelta operata dal Legislatore, nella sua piena discrezionalità politica, di ricomprende nella categoria unitaria della “nullità tributaria” indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità.
Si tratta di un assetto sostanziale e processuale reso palese dalla circostanza che i vizi che determinano la nullità devono essere tempestivamente dedotti dal contribuente, mediante impugnazione da proporre con ricorso, entro il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, con la precisazione che in caso di inutile decorso del termine perentorio di impugnazione il provvedimento tributario – pure se affetto da vizio “nullità” – si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta (sul punto si consideri, tra le altre, Cassazione civile, sez. trib., 09 novembre 2015, n. 22803).
Quanto ai requisiti di validità della delega, la Cassazione ha precisato che essa deve essere rilasciata dal capo dell’ufficio e può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché vengano indicate: 1) le ragioni della delega, ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, o altro; 2) il termine di validità della delega; 3) il nominativo del soggetto specificamente delegato, sicché “non è sufficiente sia in caso di delega di firma, sia in caso di delega di funzione l’indicazione della sola qualifica professionale del destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alle generalità di chi effettivamente rivesta la qualifica richiesta. Sono perciò illegittime le deleghe impersonali, anche “ratione officii” prive di indicazione nominativa del soggetto delegato. E tale illegittimità si riflette sulla nullità dell’atto impositivo” (cfr. ex multis Cassazione civile, sez. trib., 09 novembre 2015, n. 22803; Cassazione civile, sez. trib, 11 dicembre 2015, n. 25017; Cassazione civile, sez. trib., 14 ottobre 2015, n. 20628).
Non solo, la giurisprudenza precisa che i requisiti di validità. della delega ora richiamati devono essere riferiti sia alla delega di funzioni, sia alla delega di firma, atteso che, nonostante la differente natura dei due istituti, l’art. 42 del d.p.r. 1973 n. 600 non consente di distinguere la prima dalla seconda, quanto ai presupposti necessari ai fini della validità della sottoscrizione.
Sul punto, va precisato che ben diverso è, infatti, l’istituto di diritto pubblico della “delegazione amministrativa” di competenze (che, deve essere prevista dalla legge, e prevede, mediante adozione di un formale atto di delega, l’attribuzione ad un diverso ufficio od ente di poteri in deroga alla disciplina normativa delle competenze amministrative) dalla c.d. “delega di firma”, che attua un mero decentramento burocratico e trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (art. 11, comma 1, lett. c) e d), Statuto Ag. Entrate – approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6; art. 14, comma 2, reg. amm. n. 4 del 2000) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio: il “delegato alla firma” non esercita, infatti, in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri inerenti alle competenze amministrative riservate al delegante, ma agisce semplicemente come “longa manus” – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza.
Se l’atto di “delegazione della competenza” ha, pertanto, rilevanza esterna, in quanto deve trovare necessariamente la sua fonte diretta nella legge, al contrario la “delega di firma” è espressione di atti interni di organizzazione (venendo a risolversi in una modalità di distribuzione del lavoro tra i dipendenti appartenenti al medesimo ufficio) e non è suscettibile di alterare, quindi, il regime della imputazione dell’atto, materialmente sottoscritto dal “delegato” con la formula “per il titolare dell’ufficio”, il quale ultimo rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno.
Nondimeno, ai fini della validità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, la giurisprudenza ribadisce che non vi sono elementi per distinguere la delega di funzioni dalla delega di firma, sicché, in entrambe le tipologie di delega “non è sufficiente l’indicazione della sola qualifica professionale del dirigente destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alla generalità di chi effettivamente rivesta tale qualifica”, fermo restando che è necessaria l’indicazione, unitamente alle ragioni della delega, anche del termine della sua validità (in particolare Cassazione civile, sez. trib., 09 novembre 2015, n. 22803; Cassazione civile, sez. trib., 14 ottobre 2015, n. 20628) Nel caso di specie i principi ora richiamati non sono stati rispettati.
Invero, l’avviso di accertamento relativo all’anno 2006 – oggetto del ricorso di primo grado – è sottoscritto dal “Capo Area persone fisiche e d enti non commerciali Giuseppe La Croce”, con l’espressa indicazione “firma su delega del Direttore Provinciale Egon Sanin”; parimenti, “gli avvisi di accertamento relativi agli anni 2007, 2008 – sempre oggetto del ricorso di primo grado – risultano sottoscritti dal “Capo Ufficio Controlli Anna Boneschi”, con l’espressa indicazione “firma su delega del Direttore Provinciale Egon Sanin”.
Nondimeno, il potere di firma da parte dei soggetti suindicati dovrebbe risultare, secondo la prospettazione difensiva dell’amministrazione, dal coordinamento tra l’atto n. 2/2010 del 13 settembre 2010, prot. n. 298/2010, concernente la delega di firma e l’atto dispositivo n. 3/2010 del 24 settembre 2010, prot. n. 299/2010 recante l’organizzazione dell’ufficio.
Ora, il primo atto, rubricato “delega di firma”, non contiene l’indicazione nominativa dei soggetti delegati, ma rinvia al profilo funzionale da essi ricoperto, riferendosi genericamente “al Capo ufficio controlli, ai capi area, ai capi team, ai coordinatori e al personale dell’ufficio controlli di Venezia”.
Sul piano motivazionale, l’atto si limita ad evidenziare che “dal 5 agosto 2010 è stata disposta l’attivazione della Direzione Provinciale di Venezia”, sicché “considerata la nuova organizzazione, il Direttore provinciale attribuisce le nuove deleghe di firma per gli atti, coerentemente con l’attuale assetto organizzativo, al fine di assicurare piena operatività degli uffici della Direzione Provinciale”.
Viceversa, l’atto n. 3/2010 del 24 settembre 2010, prot. n. 299/2010, recante l’organizzazione dell’ufficio, si limita ad indicare le aree cui appartengono i diversi funzionari, con la specificazione di coloro che sono posti, di volta in volta, a capo dell’area, del team o che hanno funzioni di coordinamento.
I due atti, separatamente considerati, non soddisfano 1 parametri di validità della delega già esaminati.
Difatti, il primo, pur denominato delega di fuma, non contiene alcuna indicazione nominativa dei delegati, oltre a non indicare la durata della delega e a fondarsi su una motivazione connotata da particolare genericità, che non consente di comprendere la consistenza delle esigenze organizzative sottese alla delega.
Il secondo degli atti indicati si sostanzia in un mero ordine di servizio, che individua la composizione personale degli uffici e i funzionari ad essi preposti, sicché non presenta strutturalmente i caratteri di una delega, né di firma, né di funzioni.
Neppure la congiunta considerazione dei due atti esprime una valida,delega di firma, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione resistente, perché non risultano soddisfatti i criteri fissati dalla giurisprudenza già citata.
In primo luogo, va osservato che i due atti non sono formalmente in correlazione tra loro, attesa l’assenza del rinvio dell’uno all’altro e, del resto, non sono stati adottati nello stesso tempo, sicché non vi sono elementi per ritenere che essi siano strutturalmente e funzionalmente connessi.
In ogni caso, se anche si assume che il primo atto – formalmente diretto ad attribuire una delega di fuma – contenga una delega per relationem, in ragione del coor~amento meramente materiale assunto dall’amministrazione con il secondo atto, resta fermo che si tratta di una delega riferita ad un soggetto incerto e, pertanto, invalida.
Ciò emerge dalla considerazione che i capi uffici o capi team indicati nominativamente nell’atto del 24 settembre 201 O ben possono essere stati tali al momento della delega, ma non rivestire più una posizione apicale al momento della sottoscrizione degli at# impositivi (per trasferimento, pensionamento etc), fermo restando che costoro non potrebbero essere sostituiti dei soggetti eventualmente subentranti, neppure individuabili al momento del conferimento della delega, alla quale non può riconoscersi ultrattività con riferimento a possibili mutamenti di qualifica di soggetti individuati, rispetto al momento del conferimento della delega e in virtù del mero riferimento all’incarico ricoperto (così testualmente in relazione ad una caso del tutto analogo Cassazione civile, sez. trib., 09 novembre 2015, n. 22803).
In definitiva, l’amministrazione resistente non ha prodotto in giudizio un atto di delega di firma in senso proprio, coerente con i presupposti di validità della delega enucleati dalla giurisprudenza, limitandosi a produrre una delega di firma non nominativa, priva di termine di efficacia, oltre che accompagnata da un corredo motivazionale del tutto generico ed apodittico.
Non solo, l’ipotizzato coordinamento tra la delega di firma e l’atto recante la distribuzione del personale tra i diversi uffici, oltre a non colmare la lacuna relativa alla mancata indicazione del termine e alla carenza motivazionale, non determina alcuna certezza in ordine all’effettiva esistenza del potere di delega in capo al funzionario sottoscrittore, con riferimento al tempo della sottoscrizione.
Ne deriva la fondatezza del motivo impugnato, che travolge integralmente gli avvisi di accertamento impugnati in primo grado e presenta, pertanto, una portata pienamente satisfattiva per il ricorrente, sicché restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione.
4) La fondatezza del ricorso principale, nei limiti ora evidenziati, esclude l’attualità dell’interesse dell’amministrazione resistente all’esame dell’appello incidentale, che è diretto a contestare la sentenza appellata in relazione ad un profilo attinente alla quantificazione dell’imponibile.
Invero, una volta travolti gli avvisi di accertamento in ragione di un vizio, quale il difetto di sottoscrizione, che precede sul piano logico e cronologico il profùo contestato dall’amministrazione resistente, resta precluso l’esame della coerenza o meno dei parametri in base ai quali gli avvisi impugnati hanno rideterminato la base imponibile.
Ne deriva l’improcedibilità dell’appello incidentale.
5) In definitiva, l’appello principale è fondato e deve essere accolto, nei limiti dianzi esposti, mentre l’appello incidentale deve essere dichiarato improcedibile.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, accoglie l’appello principale e per l’effetto riforma la sentenza appellata e annulla gli avvisi di accertamento impugnati.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite, liquidandole in euro 5.000,00 (cinquemila) oltre accessori di legge.
Venezia, 7 Marzo 2017
Depositato in cancelleria il 2 ottobre 2017.
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