Commissione Tributaria Regionale per la Calabria, sezione 3, sentenza n. 50 depositata il 9 gennaio 2020
Il giudice tributario può porre a fondamento delle proprie decisioni, senza bisogno di prova, anche il c. d. “fatto notorio”, come inteso nell’interpretazione dei giudici di legittimità
Svolgimento del processo
con ricorso in appello depositato il 26/5/2016, l’Agenzia delle entrate, ha proposto appello avverso la sentenza n.421/01/15 dell’ 11 /11/2015, resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Crotone la quale ha accolto il ricorso proposto dal sig. , avverso l’avviso di accertamento n. , relativo ad Iva ed Irap del 2008. Lamenta l’appellante la violazione dell’art.115, comma 2 c.p.c., degli articoli 39, comma 1 del D.P.R. n.600/1973 e 54, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972, il difetto di motivazione delle sentenza per errata ricostruzione dei fatti; chiede l’accoglimento del gravame con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio.
Si è costituito il contribuente depositando controdeduzioni in data 19/9/2018 chiedendo il rigetto dell’appello in quanto infondato in fatto ed in diritto e rilevando come le verifiche siano state effettuate sulla base di una serie di presunzioni; deduce poi vizi propri dell’atto impositivo, riprendendoli dal ricorso di primo grado, chiedendo il rigetto del gravame.
All’udienza del 1° ottobre 2018 le parti hanno richiesto concordemente un rinvio della decisione, pendenti trattative di componimento; alla successiva udienza del 20 dicembre 2018 la decisione della causa è stata riservata.
motivi della decisione
1. Con il primo motivo di appello viene lamentata la violazione dell’art.115 c.p.c. in quanto la C.T.P. avrebbe posto a fondamento della propria decisione un fatto notorio – costituito dalla considerazione che il compenso erogato ai geometri nella Provincia di Crotone, sarebbe sempre al di sotto del dovuto – assolutamente incerto e contraddittorio e non rappresentante un fatto oggettivo.
Sul punto, conformemente all’indirizzo della S.C., va precisato che per fatto notorio si intende un fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo (Cass., Sez. V, 3 marzo 2017, n.5438), mentre il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), ex art. 115, comma 2, c.p.c., deve essere riferito ad eventi di carattere generale ed obiettivo che, proprio perché tali (come, ad esempio, la svalutazione monetaria, oppure un evento bellico), non hanno bisogno di essere provati nella loro specificità; sicché, ai fini probatori previsti da detta norma, non è consentito generalizzare situazioni particolari e se, in taluni casi, la considerazione della notorietà può essere limitata ad una cerchia sociale o territoriale ristretta, quale un insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi, così da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto, giammai tale comunità ristretta può essere individuata sulla base di un mero carattere territoriale (Cass., Sez. II, 6 marzo 2017, ord.5530). La considerazione che i pagamenti in favore dei professionisti nelle aree depresse e povere del Paese, quali la Calabria e la Provincia di Crotone, siano inferiori, anche in percentuale significativa, alla tariffa professionale, può quindi ben dirsi fatto notorio, posto che tale fatto risalta dalle ricerche Istat, da studi sociologici, da una serie di elementi di comune accesso che non possono essere disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria. In conclusione il relativo motivo di appello non può essere accolto, non segnalandosi una violazione dell’art.115 c.p.c., almeno nel senso prospettato dall’appellante e non essendo la sentenza della C.T.P. di Crotone, unicamente fondata sul suddetto fatto notorio.
*
2. Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli articoli 39, comma 1 del D.P.R. n.600/1973 e 54, comma 2 del D.P.R. n.633/1972 Il motivo appare fondato ed assorbente rispetto al successivo.
Le motivazioni della sentenza di primo grado appaiono oltremodo generiche, non riferibili alle motivazioni di diritto poste a base delle difese dell’Amministrazione finanziaria e del tutto inidonee a scalfire il contenuto dell’avviso di accertamento, che appare motivato in maniera completa e sufficiente.
L’accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, primo comma, lett. d, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, si da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Cass., Sez. V, 20 febbraio 2015, n.3415; 13 luglio 2016, n.14288).
Va osservato, al riguardo, che in tema di onere prova in accertamenti induttivi o analitico induttivi, l’ufficio può fondare il proprio onere su presunzioni semplici e spetta al contribuente la prova contraria (da ultimo, tra le altre, Sez. VI-5, n. 14237 del 2017). In questo senso non possono essere accolte le difese del contribuente secondo cui dette presunzioni dovrebbero ritenersi inattendibili già alla luce delle difese spiegate nella fase amministrativa.
In merito al concetto di presunzione semplice, ci si può riferire a Sez. V, n. 18021 del 2009, secondo cui: “le “presunzioni” (anche semplici, ovverosia de nomine, purché aventi i caratteri della gravita, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. , comma 1) costituiscono esse stesse prova del fatto da accertare atteso che, per l’art. 2727 c.c. , si definiscono ”presunzioni” le “conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”.
Il procedimento valutativo della prova per presunzioni, poi, come chiarito dalla stessa sentenza sopra della S.C. “si articola in due indefettibili momenti” per i quali il giudice del merito deve, innanzi tutto, “valutare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari (1) per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e (2) per conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravita, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria” e, di poi, ”procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi” (sentenza 16 maggio 2007 n. 11206 da cui gli excepta, che richiama “Cass. 1, 13 ottobre 2005 n. 19894; id, trib., 18 settembre 2003 n. 13819”). Gli elementi assunti a fonte di prova, inoltre (Cass. i”, 11 settembre; 2007 n. 19088), non debbono essere necessariamente più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purché grave e preciso, dovendosi il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi; non occorre, peraltro (Cass. ] 1″, I”‘ agosto 2007 n. 16993), che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, essendo cioè sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza.” (Cass., Sez. V, 9 febbraio 2018, ord.5735).
Nel caso di specie l’analisi dell’avviso di accertamento evidenzia l’esistenza di una serie di indici concordanti ed univoci che depongono per una maggiore capacità contributiva dell’appellato, quali, in primis, il numero di pratiche attribuite allo stesso in raffronto al reddito dichiarato, la presunzione della mancata fatturazione in toto delle prestazioni di servizi di natura catastale, la sottofatturazione rispetto ai valori medi di tariffa professionale. Tutti tali elementi non appaiono correttamente e sufficientemente valutati dalla C.T.P., la quale ha fondato il proprio convincimento su alcuni elementi, quali la intervenuta riforma del sistema tariffario, od il fatto che la competenza dei geometri risulterebbe limitata, i quali non hanno alcun rilievo nella fattispecie e che non compulsano il contenuto dell’accertamento. Le stesse difese del contribuente in sede di appello, peraltro, mirano più a colpire il merito dell’atto impositivo che a sostenere gli aspetti motivazionali della sentenza appellata, fornendo a questo Giudice di appello aspetti nemmeno valutati dalla C.T.P.
L’appello va quindi accolto e la sentenza di primo grado riformata.
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3. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale per la Calabria, Terza Sezione, accoglie l’appello ed in riforma della sentenza di primo grado, dichiara la legittimità dell’avviso di accertamento.
Condanna parte appellata, alle spese e competenze di giudizio, liquidate in favore dell’Agenzia delle entrate, per il primo graçlo, in euro 2.000,00, oltre spese generali 15% per euro 300,00 e, per il secondo grado, in euro 2.500,00, oltre spese generali 15% per euro 375,00.
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