Commissione Tributaria Regionale per la Campania, sezione 18, sentenza n. 2195 depositata il 5 marzo 2020
In virtù del principio europeo secondo il quale nell’eventualità di versamenti di acconti sul prezzo, l’IVA è immediatamente esigibile soltanto nel caso in cui le future cessioni o prestazioni siano già conosciute e, dunque, esclusivamente quando i beni e servizi siano già specificatamente individuati
Svolgimento del processo.
Con la sentenza meglio enumerata nel frontespizio la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, compensando interamente fra le parti le spese del giudizio di primo grado, accoglieva due ricorsi riuniti della “L. srl” con sede a Napoli: il primo contro un avviso di accertamento di euro 582.841,00 (più sanzioni interessi e spese) per iva non versata su di un imponibile anno 2012 di euro 2.775.435,00; il secondo contro un avviso di accertamento di euro 279.916,00 (più sanzioni, interessi e spese) periva non versata su di un imponibile anno 2012 di euro 1.332.993,00.
La vicenda scaturisce da un processo verbale di costatazione della Guardia di Finanza (che però non fa alcun rilievo in materia di iva), cui segue il primo avviso di accertamento iva del l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Napoli; nel corso delle successive acquisizioni documentali (in particolare i registri degli acconti e delle fatture) si rileva che la base imponibile iva 2012 non era di euro 2.775.435,00 ma di euro 4.108.368,00; ragion per cui scatta un secondo avviso di accertamento iva per la residua base imponibile di euro 1.332.993,00.
I Giudici di prime cure, recependo i motivi della società ricorrente ed invece disattendendo gli argomenti del costituitosi ufficio finanziario, accoglievano i due ricorsi, motivando che: ai sensi dell’art. 21 d.p.r. n. 633/1972 l’obbligo dell’iva nasce con l’emissione di fattura all’atto della consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione della merce; nondimeno l’art. 6 precisa che, in caso di anteriori acconti sul prezzo, l’operazione si considera effettuata alla data di fattura o di pagamento, limitatamente all’importo versato; tale disciplina, che è anche conforme all’art. 10 n. 1) e 2) della VI direttiva comunitaria in materia di iva, deve però tenere conto anche della nota sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea n. 419/02 dello 11/02/2006; tale sentenza ha infatti sancito che, in caso di versamento di acconto sul prezzo, l’iva è subito esigibile soltanto se la futura cessione o prestazione siano già conosciute e dunque se i beni e servizi siano già specificamente individuati.
Prosegue la sentenza di primo grado: la “L. srl” svolgeva l’attività di fabbricazione di calzature per conto della “S.M. srl” in base ad un contratto di produzione e fornitura datato 01/02/2011 (come da timbro postale); il contratto prevedeva l’obbligo di commissionare una quantità minima stagionale di scarpe a corrispettivi variabili a seconda della peculiarità e complessità dei modelli; il contratto prevedeva pure che la fornitrice aveva la facoltà di richiedere acconti sulle lavorazioni da effettuare ed anticipazioni nei periodi di fermo produttivo; la certezza che agli acconti o alle anticipazioni introitati nel 2012 non corrispondesse alcuna specifica produzione o fornitura, è data dal fatto che ad essi non seguivano in quello anno ordinativi o inoltri di merce correlata; ed invero la “L. srl” si giustificava che gli acconti riscontrati nel 2012 erano stati subito fatturati e non sottoposti ad iva (in considerazione della natura indeterminata della merce) ma erano stati ascritti correttamente ad effettive operazioni del 2013 (e per questo motivo sottoposte ad iva in quell’anno di imposta).
Conclude la sentenza di primo grado: in ogni caso l’ufficio accertatore non ha fornito alcuna prova che gli acconti ricevuti nel 2012 potessero essere ancorati a specifici ordinativi di merce, cosicché esso è venuto meno ad un suo preciso onere probatorio; tale dovere di prova, ricavabile da varie massime della Cassazione, era nel caso in specie ancor più necessario, considerando che la G.d.F. nel suo p.v.c. non aveva operato rilievi iva per l’anno 2012; competeva pertanto all’amministrazione finanziaria la dimostrazione che gli acconti dovessero essere sottoposti ad iva nel 2012, perché già in quell’anno la prestazione e la cessione erano conosciute ed i servizi ed i beni erano individuati specificamente; non è a tal proposito sufficiente la sola allegazione dell’ufficio accertatore di un ordinativo del 2014 relativo ad una produzione richiesta dalla C.R., giacché tale fornitura non ha nulla che vedere con l’anno 2012 e con il contratto con la “L. srl”.
Contro la predetta sentenza di primo grado proponeva appello l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Napoli, chiedendone l’accoglimento con vittoria di spese del grado per i seguenti motivi: l’amministrazione finanziaria non è riuscita a riconciliare gli acconti introitati nel 2012 con specifici ordinativi di merce, perché la società verificata, sebbene abbia esibito n. 94 D.D.T. inerenti il periodo dal 2/1/2012 al 20/12/2012, non ha invece messo a disposizione i D.D.T. (documenti obbligatori di trasporto merci) efferenti le fatture n. 12 del 2/10/2013 e n. 11 del 30/9/2014 che si asserisce siano state saldate con gli acconti in questione; non essendo stata esibita tale documentazione, legittimamente l’ufficio accertatore ha proceduto ex art. 54 co. 5° d.p.r. n. 633/1972 al recupero dell’iva per l’anno d’imposta 2012 calcolata sul saldo della scheda contabile per acconti clienti; la C.T.P. non ha tenuto conto che, sebbene il saldo degli acconti in argomento sia stato contabilizzato al 31/12/2012 come ‘fatture da emettere’, la società non ha prodotto alcun documento di consegna merci con riferimento alle predette fatture n. 12/2013 e n. 11/2014 che risultano saldate computando gli anticipi; sussistono insomma indizi gravi, precisi e concordanti che la società ha spostato il momento del l’esigibilità dell’iva dovuta per l’anno d’imposta 2012, come previsto dall’art. 6 co. 4° d.p.r. n. 633/1972, ad un altro anno fiscale di sua scelta secondo ragioni di indebita opportunità e convenienza.
Prosegue la dichiarazione di appello: neppure è vero che il contratto esibito dalla “L. srl” concerna solo lavorazioni e consegne generiche, perché in esso risultano ben specificati sia il quantitativo stagionale che la tipologia della merce, cosicché tale contratto si pone fuori dell’area di protezione offerta dalla sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea n. 419/02 dell’ll/2/2006; ed invero, ad ulteriore riprova di quanto sopra affermato, l’ufficio finanziario richiama a titolo esemplificativo l’ordine n. 72243 del 16/6/2014, relativo alla produzione richiesta da C.R. alla “S.M. srl”, a sua volta consegnato per la produzione alla “L. srl”; del resto la predetta sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea non è neppure attinente al caso in esame, perché essa riguarda due società facenti parte del medesimo gruppo ed operanti nel comparto sanitario, ma non in regime legale di liquidazione di iva di gruppo, che avevano un contingente interesse a conservare un credito iva già maturato ed a poterlo successivamente utilizzare; il contratto esaminato dalla C.G.C.E. era insomma profondamente diverso dal contratto stipulato fra la “S.M. srl” e la “L. srl”, nel quale le prestazioni ed i beni sono ben dettagliati negli ordini inviati dalla committente alla fornitrice ed anche i singoli prodotti sono identificati dai codici item; la medesima questione degli acconti non fatturati è stata analizzata da altro p.v.c. della G.d.F. ed in altre cause della C.T.P. di Napoli a carico della “S.M. srl”, laddove, proprio con riferimento agli acconti pagati alla “L. srl”, gli esiti per gli anni 2012 e 2011 sono stati favorevoli all’Agenzia delle Entrate.
Con controdeduzioni depositate il 10/09/2019 si costituiva la “L. srl” che resisteva all’appello, chiedendone il rigetto con vittoria di spese ed onorari per i seguenti motivi: gli acconti introitati nel 2012 sono stati tempestivamente fatturati e sono stati regolarmente sottoposti ad iva per l’anno d’imposta 2013; ed invero solo in tale anno sono avvenute le consegne dei prodotti, che nel contratto a data certa dell’1/02/2011 con la “S.M. srl” erano solo genericamente quantificati ed individuati; la contribuente ha infatti correttamente applicato la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea n. 419/02 dell’11/02/2006 ed ha quindi attribuito gli acconti avuti nel 2012, scorporandone l’iva in essa inclusa, a forniture eseguite nel 2013, come documentato con ben 9 D.D.T. di trasporti merci eseguiti tutti nel mese di gennaio 2013.
Proseguono le controdeduzioni: l’amministrazione finanziaria, nel sostenere che l’iva doveva invece essere pagata con riferimento all’anno d’imposta 2012, non ha sul punto fornito alcuna prova di sua competenza ex art. 2697 cod. civ.; l’ufficio appellante si è limitato ad affermare che il contratto di fornitura non recherebbe una data certa, che tale contratto non avrebbe ad oggetto produzioni generiche e che la società verificata non avrebbe esibito i D.D.T. dei trasporti merci eseguiti nel 2013; si è limitato ad affermare che la sentenza della Corte di Giustizia Europea non varrebbe nella presente fattispecie, che altra sentenza della C.T.P. di Napoli avrebbe rigettato il ricorso della “S.M. srl” e che la “L. srl” avrebbe avuto la convenienza a spostare l’imposizione iva dall’anno 2012 ad altro anno di sua scelta; tali argomenti sono invece tutti smentiti dai fatti e dai documenti.
Concludono le controdeduzioni: in ogni caso si ripropongono due eccezioni già sollevate nell’iniziale ricorso in primo grado e però ritenute assorbite dall’impugnata sentenza della C.T.P. di Napoli; vi è stata violazione del preventivo contraddittorio, perché il p.v.c. della G.d.F. non ha operato alcun rilievo in materia di iva, la società contribuente è stata invitata a fornire giustificazioni e documentazioni in relazione all’omessa contabilizzazione di componenti positivi del reddito d’impresa ed ha invece ricevuto un avviso di accertamento in materia di iva; non è stato rispettato il termine libero di almeno 60 giorni rispetto all’ultimo accesso del 6/12/2017 prima di procedere alla notifica dell’avviso di accertamento in data 31/1/2018, cosicché secondo la giurisprudenza di legittimità tale avviso di accertamento deve essere considerato nullo.
All’odierna udienza del 25/02/2020 innanzi a questa 18^ Sezione C.T.R. Napoli comparivano entrambe le parti costituite, che illustravano le reciproche posizioni e si riportavano alle contrapposte conclusioni già in atti, chiedendone l’accoglimento con vittoria di spese.
Motivi della decisione
L’appello è infondato e deve essere rigettato per i seguenti motivi, da ritenersi pregiudiziali ed assorbenti di ogni altra questione sollevata dalle parti.
1) Occorre innanzitutto premettere che, secondo un preciso orientamento della Corte di Cassazione (Sent. 19/5/2010 n. 12249; Sent. del 4/5/2016 n. 8855), nella decisione delle cause in materia di iva non sono vincolanti le sentenze di altri giudici tributari, anche se passate in giudicato, che siano inerenti ad anni d’imposta diversi o a contribuenti differenti. Questo perché le controversie in materia di iva sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può di regola essere ostacolata dal giudicato nazionale. Il diritto euro-unitario osta quindi alla applicazione dell’art. 2909 cod. civ. nelle cause in materia di iva, in quanto il vincolo del giudicato esterno potrebbe portare ad una violazione del principio di effettività delle norme comunitarie (vedi da ultima Cass. n. 29542 del 20/6/2018). Per tale ragione questa C.T.R. ritiene di non dover prendere in considerazione le altre pronunce della C.T.P. di Napoli, peraltro neppure passate in giudicato, che l’ufficio accertatore allega come favorevoli alle sue argomentazioni ma con riferimento alla “S.M. srl” ed all’anno d’imposta 2011.
2) E’ pacifico che la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea n. 419/02 dell’11/2/2006 ha sancito che, nell’eventualità di versamenti di acconti sul prezzo, l’iva è immediatamente esigibile soltanto nel caso in cui la futura cessione o prestazione siano già conosciute e dunque esclusivamente quando i beni e servizi siano già specificamente individuati. Tale principio giuridico di diritto euro-unitario ha portata certamente generale non può essere assolutamente disatteso dai giudizi nazionali. Peraltro del tutto inconvincente è il ragionamento dell’ufficio appellante, secondo cui la regola della predetta sentenza riguarderebbe solo casi particolari e comunque non sia attaglierebbe alla presente vicenda. Se ciò fosse stato vero, sarebbe stata la stessa Corte di Giustizia della Comunità Europea a circoscrivere la portata della sua decisione, cosa che invece non si ricava né dalla motivazione né dall’applicazione che quotidianamente si fa della sentenza in questione.
3) E’ inoltre documentato che il contratto fra la “S.M. srl” e la “L. srl” fu stipulato in data certa dell’1/2/2011, perché vi è un timbro postale che lo certifica. Tale contratto prevedeva l’obbligo di commissionare una quantità minima stagionale di scarpe a corrispettivi variabili a seconda della peculiarità e complessità dei modelli e che la fornitrice aveva la facoltà di richiedere acconti sulle lavorazioni da effettuare ed anticipazioni nei periodi di fermo produttivo. E’ allora turi di dubbio che nel caso in specie, al momento del versamento degli acconti, le future cessioni o prestazioni non erano già conosciute perché i beni e servizi non erano già specificamente individuati. Pertanto ricorrevano pienamente le condizioni di non immediata sottoposizione all’iva e di rinvio dell’imposizione all’anno fiscale di effettiva esecuzione delle operazioni, così come sancito dalla più volte menzionata sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea.
4) E’ altresì documentato che correttamente la “L. srl” fatturò subito gli acconti ricevuti nel 2012 ma non li sottopose ad iva in quell’anno, poiché tali somme, scorporandone l’iva in essa inclusa, furono attribuite a forniture eseguite nel 2013 e furono sottoposte ad imposizione iva in quell’anno. La circostanza che le forniture dei prodotti avvennero nel 2013 è documentato con ben 9 D.D.T. di trasporti merci eseguiti tutti nel mese di gennaio dell’anno 2013 (allegato 3 delle controdeduzioni delle parte appellata). Non è dunque esatta l’affermazione dell’ufficio accertatore che la società verificata non disporrebbe dei D.D.T. di consegna merci con riferimento alle predette fatture n. 12/2013 e n. 11/2014 che risultano saldate computando gli anticipi. E’ invece provato il contrario e cioè che le forniture avvennero realmente nel primo mese dell’anno 2013.
5) L’amministrazione finanziaria è quindi venuta meno all’onere della prova che incombe a suo carico ex art. 2697 cod. civ (sul punto vedi Cass. n. 955/2016, Cass. 1946/2012, Cass. 13665/2001 e Cass. 29990/1079, citate nella sentenza di primo grado) di dimostrare quelli che non sono certo dei gravi indizi ma sono invece dei meri sospetti. Allo stato degli atti, invero, appare soltanto una mera illazione che la società verificata avrebbe spostato il momento dell’esigibilità dell’iva dovuta per l’anno d’imposta 2012, come previsto dall’art. 6 co. 4° d.p.r. n. 633/1972, ad un altro anno fiscale di sua scelta secondo ragioni di indebita opportunità e convenienza.
Peraltro l’ufficio accertatore, che non ha mai messo in dubbio la veridicità delle forniture, avrebbe dovuto a questo punto spiegare per quale oscuro vantaggio la “L. srl” avrebbe comunque pagato l’iva dovuta ma avrebbe architettato un piano diabolico per farlo nell’anno fiscale del 2013 piuttosto che in quello del 2012.
A questa domanda non risponde certo l’ordine n. 72243 del 16/6/2014, relativo alla produzione richiesta da C.R. alla “S.M. srl”, peraltro afferente ad un’annualità completamente diversa dalla nostra.
6) Non si può infine sottacere, ad ulteriore riprova di quanto finora motivato, che la Guardia di Finanza in sede di processo verbale di costatazione non sollevò alcuna rilevo ai fini iva e che l’accertamento dell’omesso versamento iva avvenne praticamente d’ufficio da parte dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Napoli. Pure non volendo assolutamente discutere sulla legittima possibilità che la amministrazione finanziaria contesti infrazioni tributarie sfuggite alla G.d.F., resta però valida anche un’ulteriore doglianza della società contribuente. Fu senz’altro commessa una violazione del preventivo contraddittorio, obbligatorio a pena di nullità in materia di iva (sul punto Cass S.U. n. 19667/2014). La società contribuente fu invitata a fornire giustificazioni e documentazioni ex art. 85 d.p.r. n. 917 /1986 in relazione all’omessa contabilizzazione di componenti positivi del reddito d’impresa ed alla fine fu invece destinataria di due avvisi di accertamento iva ex art. 54 d.p.r. n. 633/1972. Il contradditorio fu insomma fatto sulle imposte dirette e non sull’iva.
A causa della complessità del caso e del contrasto della presente sentenza con altre pronunce di diverso segno, sussistono le ragioni gravi ed eccezionali previste dall’art. 15 del d.lgs. 546/1992 e dall’art. 92 co. 2 cod. proc. civ. per compensare anche le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale della Campania – Sezione 18″, definitivamente decidendo, così delibera: rigetta l’appello e compensa le spese.
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