Commissione Tributaria Regionale per la Campania, sezione 22, sentenza n. 86 depositata il 7 gennaio 2020

Tutti i soggetti che esercitano l’attività di gestione delle scommesse sono obbligati al pagamento dell’imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse, incluso il bookmaker privo di concessione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M. F. ha proposto appello avverso la sentenza pronunciata il 2/l 0/2017 e depositata il 30/l 0/2017 con la quale la CTP di Napoli ha rigettato il ricorso dalla stessa proposto nei confronti di nr.l avviso di accertamento, meglio in epigrafe indicato, emesso dall’Ufficio dei Monopoli per la Campania, notificato in data 11/11/2016 in materia di imposta unica sulla raccolta delle scommesse sportive per l’anno di imposta 2013 per un ammontare di euro 4.775,01 oltre sanzioni ed interessi per un totale di euro 11.037,85.

Nella motivazione della impugnata sentenza i giudici di prime cure hanno respinto tutte le eccezioni proposte dalla ricorrente. In particolare essi hanno ritenuto infondate le eccezioni di prescrizione e decadenza proposte dalla contribuente, in quanto generiche , ritenendo comunque tempestivo l’avviso di accertamento notificato entro i termini previsti dall’art. 24 c.9 del d.l. n. 98/2011.

Hanno altresì ritenuto infondata l’eccezione di legittimazione passiva avanzata dalla contribuente secondo la quale obbligata al pagamento sarebbe stata la sola società Stanleybet, essendosi lei limitata solo a ricevere per conto della predetta società le scommesse nella sua qualità di titolare dell’esercizio commerciale denominato il bancolotto. Sul punto i primi giudici hanno rilevato come la normativa applicabile (Dlgs n. 504/1998) precisi che sono tenuti al pagamento della imposta unica tutti coloro che, anche in concessione esercitano l’attività di gestione delle scommesse: pertanto anche il mero ricevitore di scommesse è assoggettato al pagamento della imposta unica, indipendentemente dalla circostanza che sia titolare o meno di concessione o licenze, apparendo indubbio che anche le semplici ricevitorie svolgono un’opera essenziale che concorre alla raccolta delle scommesse, nonché al pagamento delle vincite..

Nell’atto di appello la società impugnante ha sostanzialmente riproposto come motivi di gravame le stesse eccezioni già enunciate nel ricorso introduttivo, asserendo che i giudici di primo grado avrebbero omesso qualsiasi motivazione in ordine alla circostanza che in sede di giudizio amministrativo il TAR Campania aveva annullato gli atti presupposti dell’avviso di accertamento (ordine di accesso e verifica da parte della AAMS, nonché il relativo verbale). Nel merito rilevava come i calcoli effettuati dalla AAMS fossero errati e fondati su presunzioni prive delle caratteristiche della gravità, precisione e concordanza. Ancora i giudici del primo grado non si sarebbero pronunciati sulla eccezione relativa alla c.d. doppia imposizione cui sarebbe sottoposta l’attività di raccolta delle scommesse, per la quale la imposta incriminata si pagherebbe due volte, ” a valle e a monte della raccolta”.

Lamentava ancora la illegittimità della sentenza impugnata per non aver preso in considerazione le doglianze relative alla infondatezza dell’accertamento, in quanto l’importo dell’imposta evasa era stato calcolato con criteri assolutamente illogici ed incostituzionali; lamentava infine l’illegittimità della sentenza impugnata per non avere i giudici di prime cure accolte le doglianze della ricorrente sulla inapplicabilità delle sanzioni per l’incertezza interpretativa delle norme da applicare. Concludeva chiedendo la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, la declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento, l’annullamento della pretesa erariale, con conseguente riforma della sentenza impugnata e vittoria di spese con attribuzione al procuratore antistatario

Si è ritualmente costituita l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la Campania che nelle sue controdeduzioni ha preliminarmente eccepito la inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 53 del Dlgs n. 546/1992, essendosi la società appellante limitata a riproporre tutte le questioni ed eccezioni già proposte in primo grado senza alcuna reale critica alla sentenza impugnata, risultando così carente di specifici motivi di gravame. Si è quindi opposta alla remissione del giudizio alla Corte Costituzionale, non sussistendo alcun carattere discriminatorio dell’imposta Unica sulle scommesse, questione già in varie occasioni esaminata da questa stessa CTR e da altre Commissioni tributarie e dalla Corte di Giustizia, nonchè dalla Corte Costituzionale. A tal tìne riproponeva un ampio exscursus della giurisprudenza comunitaria in materia di scommesse e ricostruiva l’evoluzione della normativa nazionale; in particolare citava la sentenza n. 27 del 2018 che ha confermato l’assoggettamento all’imposta unica sulle scommesse sia del ricevitore che del bookmaker privo di concessione. Di qui la piena ed incontestabile legittimità della pretesa tributaria azionata e la sua coerenza con la normativa comunitaria. Concludeva perché in via preliminare venisse dichiarata l’inammissibilità dell’appello e nel merito perché questo venisse rigettato con conferma della sentenza impugnata e vittoria di spese con il riconoscimento della legittimità degli atti impugnati.

Alla udienza del 7 ottobre 2019, udita la discussione delle parti presenti, questa CTR riservava la propria decisione.

Successivamente, a seguito della richiesta del procuratore della parte appellante che aveva manifestato la volontà di aderire all’astensione per l’udienza indicata, la causa veniva rimessa sul ruolo e nuovamente discussa all’odierna udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente rigettata l’eccezione proposta dall’ente appellato circa la genericità dei motivi di appello che si sarebbero limitati a riprodurre le eccezioni già esposte in primo grado. Al riguardo si osserva come, invece, l’atto di appello contenga una sostanziale critica delle motivazioni della sentenza dì primo grado, non foss’altro quanto alla lamentata omessa valutazione di alcune delle eccezioni già proposte in primo grado. Pertanto l’appello va dichiarato ammissibile sotto questo profilo.

Va ancora preliminarmente rilevato che con L. n. 288 del 1998, veniva concessa al Governo la delega ad emanare uno o più decreti legislativi «in materia di imposizione su spettacoli, sport, giochi ed intrattenimenti» intesi all’abrogazione (salvo predeterminate eccezioni) dell’imposta sugli spettacoli prevista dal D.P.R. n. 640 del 1972 (art.I , comma l) e al «riordino dell’imposta unica prevista dalla legge 22 dicembre 1951, n. 1379». In attuazione della delega veniva emanato, per quanto qui interessa, il D.Lgs. n.504 del 1998 per il «riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse», con il quale si stabiliva che la «tassa di lotteria» prevista dall’art.6, D.Lgs. n. 496 del 1948 assumeva la denominazione di «imposta unica», «dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero» (art. l) da coloro i quali «gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse» e che è sostitutiva «di ogni imposta e tributo erariale e locale relativi all’esercizio dei concorsi pronostici ad esclusione dell’imposta di bollo sulle cambiali, sugli atti giudiziari e sugli avvisi al pubblico» (art. 7).

Dal delineato quadro normativa emerge con chiarezza che oggetto (o pre­supposto) dell’imposta di cui si discute – la quale, nel corso del tempo, ha assunto varie denominazioni («tassa di lotteria», «imposta unica sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici», «imposta sugli spettacoli», di nuovo «imposta unica») – è sempre stata l’attività consistente nella organizzazione ed esercizio di giuochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in denaro (per utilizzare le parole impiegate dal legislatore nel D.Lgs. n. 496 del 1948): conseguenza evidente è che soggetto all’imposta è chiunque svolga tale attività.

Come sottolineato nell’ampio exscursus giurisprudenziale depositato dall’ente appellato della questione della compatibilità della normativa in questione con le direttive comunitarie, e con la nostra Costituzione nonché sulla natura, fondamento ed applicabilità della normativa in esame si sono pronunciate le Commissioni Tributarie provinciali e regionali di numerose regioni e provincie italiane, nonché, in particolare questa stessa CTR che nel rimarcare le peculiarità della imposta, ne hanno correttamente colto la differenza con l’imposta sul valore aggiunto e la sua specialità, certamente non paragonabile come ha fatto l’appellante alle altre ipotesi di esenzione dall’IVA, quelle si ispirate da esigenze di tutela sociale, laddove nella fattispecie in esame una delle motivazioni del vigente regime fiscale attiene proprio alla particolare pericolosità dell’attività svolta che, anche prescindendosi dalla sua liceità intrinseca, implica una elevata probabilità di generare gravi patologie (ludopatie) e di qui il disfavore fiscale lamentato, del tutto legittimo e coerente con la normativa comunitaria.

Né può farsi a meno di osservare come la sede estera scelta dalla soc. Stanleybet impedisca una completa verifica del regime di tassazione a cui è assoggettata nel paese di residenza (Malta ), come già osservato dai giudici di prime cure, le cui conclusioni sul punto questa CTR condivide.

Riportandosi, pertanto alla motivazione espressa dai giudici di primo grado che qui si condivide, nonché alle varie enunciazioni della giurisprudenza di questa CTR, ritiene questa Commissione che tutte le eccezioni finalizzate alla sospensione del presente giudizio e a far valere la incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria vadano rigettate in toto.

Ancora la contestazione circa i valori accertati induttivamente e i criteri di calcolo appare del tutto generica e tale da non consentire una ricostruzione alternativa a quella operata dagli accertatori.

Quanto infine al calcolo delle sanzioni, questo appare corretto e dagli atti impugnati è agevole ricavare i criteri in base ai quali esse sono state determinate, pertanto anche tale eccezione va rigettata.

Pertanto l ‘appello va rigettato e la sentenza impugnata va confermata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo indicato m dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta l’appello.

Condanna l ‘appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.