Commissione Tributaria Regionale per la Campania sezione 23 sentenza n. 7265 depositata il 5 settembre 2017
Accertamento, liquidazione e controlli – Atti e Attività – Raddoppio dei termini ex art. 43 DPR 600/73 – Necessaria contestazione entro il termine di decadenza ordinario – Non sussiste.
Massima:
Il raddoppio dei termini di decadenza per la notifica degli atti di accertamento ai sensi dell’art. 43 co. 3 D.P.R. 600/1973 (“in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’ articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 , i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione“) opera anche dopo la scadenza del termine decadenziale ordinario; il raddoppio, infatti, non integra un meccanismo di proroga dei termini, ma opera quale modifica originaria del termine in rapporto a fattispecie che assumono connotati diversi qualora ricorra astrattamente un’ipotesi di reato che comporta il predetto obbligo di denuncia.
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L’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale di Caserta ha impugnato la sentenza n.1542/2016, emessa in data 28.6.2013 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta in relazione all’ avviso di accertamento n. TF501AE03531 per l’anno di imposta 2007.
La sentenza ha accolto il ricorso annullando l’avviso di accertamento per illegittimità dell’atto, per mancato rispetto del termine di cui all’art. 12 comma 7 Statuto del contribuente, ritenendo che non sussistessero presupposti per il raddoppio dei termini ai sensi dell’art. 43 DPR 600/73 .
L’appellante Ufficio censura la sentenza di prime cure perché avrebbe ritenuto che il raddoppio dei termini di cui all’art. 12 comma 7 legge 212/2000nella formulazione dell’art. 43 dpr 600/73 vigente ratio ne
temporis avrebbe dovuto condurre a ritenere rispettato il termine in questione. Ha rivendicato la validità degli avvisi di accertamento sottoscritti in base alla delega di firma del Direttore dell’Ufficio, la legittimità della motivazione per relationem, insistendo per la riforma della sentenza col favore delle spese.
L’appellato ha depositato controdeduzioni.
L’appello è fondato e va accolto.
SOTTOSCRIZIONE DEGLI AVVISI DI ACCERTAMENTO
In limine si osserva che l’avviso di accertamento de quo è sottoscritto dai delegati del direttore provinciale Mattia Barricelli, dirigente di ruolo dal 1999 , il capo team A. G. e il funzionario M. P., capo area e impiegato di carriera direttiva.
La questione della nullità per carenza di potere del delegante o di chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento, in difetto della qualifica dirigenziale, è infondata.
La problematica va esaminata alla luce della recentissima sentenza 37/2015 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato: a) la illegittimità costituzionale dell’art. 8 -comma 24 – del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento) convertito, con modificazioni, dall’art. 1 -comma 1- della legge 26 aprile 2012, n. 44; b) la illegittimità costituzionale dell’art. 1 -comma 14- del decreto legge 30 dicembre 2013, n. 150 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative) convertito, con modifiche, dall’art. 1 -comma 1- della legge 27 febbraio 2014, n. 15; c) l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 -comma 8- del decreto legge 31 dicembre 2014, n. 192 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative)
La prima disposizione ha consentito alle Agenzie Fiscali di espletare (entro termini via via prorogati fino al 30.06.2015) procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti; nelle more, ha consentito l’attribuzione (con procedura selettiva ex art. 19 -comma 1 bis- D.Lgs. 165/2001) di incarichi dirigenziali a propri funzionari, con contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale è stata emessa a seguito di rinvio da parte del Consiglio di Stato nell’ambito di ricorso amministrativo proposto da DIRPUBBLICA, che lamentava principalmente che la norma impugnata consentisse a funzionari privi della relativa qualifica di essere destinatari -senza aver superato pubblico concorso-, di incarichi dirigenziali, e quindi di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e di una qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito della P.A.
La Corte Costituzionale in estrema sintesi ha ritenuto: a) che gli incarichi dirigenziali debbano avvenire previo espletamento di pubblico concorso, anche in caso di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (punto 4.1 della sentenza); b) che la normativa in questione abbia consentito l’aggiramento della predetta regola anche grazie alle reiterate proroghe, che hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti (punto 4.2 della sentenza).
Di qui l’appellato assume, nella presente lite, che i provvedimenti sottoscritti dal funzionario con incarico dirigenziale sono conseguentemente da dichiarare inesistenti o nulli.
L’assunto attoreo che si vuol trarre dalla pronuncia della Consulta fonda sull’errata tesi che per la valida sottoscrizione dell’avviso di accertamento sia necessaria la qualifica dirigenziale. Si osserva al riguardo che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, si limita a prevedere che gli avvisi, con cui sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio, sono sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere che financo il capo dell’ufficio debba rivestire la qualifica dirigenziale. Il dato testuale della disposizione individua invece nel capo dell’ufficio (per il solo fatto di essere stato nominato tale) o altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato il soggetto idoneo a manifestare la volontà dell’amministrazione negli atti a rilevanza esterna e di produrre gli effetti giuridici imputabili alla determinazione della sua volontà nella sfera giuridica dei contribuenti. Pertanto, spetta al titolare dell’ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali (ovvero a un impiegato della carriera direttiva da lui stesso delegato), il compito di firmare gli avvisi, mediante i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti. Ciò avviene dunque a prescindere dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza produce effetti solo nell’ambito del rapporto di servizio con l’amministrazione preponente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 959 del 2015, 18515/2010). Tale assunto è confortato anche dalla -condivisibile- portata della citata sentenza 37/2015 (punto 4.2 sesto capoverso): considerata la giurisprudenza di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’Ufficio e sulla idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (Cass. 959/2015, 220/2014, 17044/2013, 18515/2010, 17400/2012), e considerate le regole organizzative interne della Ad.E. e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari della carriera direttiva, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale, “si deve ritenere che la funzionalità delle Agenzie Fiscali non sia condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata in sede amministrativa”.
Poiché non è neppure contestato che il capo team G. A. e il funzionario M. P., firmatari degli avvisi, fossero titolari di delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento deve concludersi che costoro, indipendentemente dalla qualifica dirigenziale, era inquadrato nella carriera a suo tempo definita “direttiva”, poi descritta e ridefinita come “III area” nella tabella “B” allegata al C.C.N.L. Ministeri all’epoca vigente. Tale circostanza non è contestata.
Pertanto essi avevano titolarità a sottoscrivere l’avviso di accertamento in quanto “Capo Area ” e in quanto funzionario direttivo titolare di delega in virtù del posto occupato mentre, il fatto che -per esigenze di organizzazione interna all’Amministrazione- fosse stata attribuita la qualifica dirigenziale è del tutto irrilevante ai fini dell’odierna controversia.
RADDOPPIO TERMINE
Quanto al rispetto del termine raddoppiato va riportata la disposizione vigente ratione temporis.
L’art. 43 “Termine per l’accertamento” dispone: Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del Titolo I l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (5) (6).
In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi del!’ articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 , i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione (7).
Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e ,gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza de/i’ ufficio delle imposte.
Nel caso in esame il termine per l’avviso di accertamento per l’anno 2007 andava a scadere il 31.12.2012.
Senonchè le condotte rilevate dai militari della Guardia di Finanza che hanno condotto le indagini poi trasfuse nel p.v.c. del 3.6.2014 sono state inviate direttamente alla Procura di Nola ravvisandosi reati per cui ricorre l’obbligo di denuncia.
Il giudice di prime cure ha ritenuto che il raddoppio contemplato dal ridetto art. 43 comma 3 potesse operare soltanto se non fosse decorso il termine decadenziale.
L’esegesi è fallace.
Secondo il consolidato orientamento del giudice di legittimità ” ….. il cd. raddoppio dei termini di accertamento non integra una proroga dei termini ordinari, ma – come sottolineato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 247111 – “attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge ( .. ).
Sotto questo aspetto non può parlarsi di “riapertura o proroga di termini scaduti” nè di “reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti”, perchè i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento” (Cass. sez. 5, 1611212016 n. 26037). (così Cassazione civile, sez. VI, 26/04/2017, n. 10345).
Ora, poiché è pacifica la contestazione di una violazione (D.Lgs. n. 4 del 2000, art. 2 utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti) che comporta obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p., non assumendo rilievo che la denuncia sia stata presentata ed eventualmente quando, deve ritenersi operante il raddoppio dei termini in base alla previsione di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 37 al comma 24, che ha modificato l’art. 43 D.P.R. n. 600 del 1973.
Come insegna Cassazione civile, sez. VI, 08/05/2017, n. 11207 ” … rileva l’astratta corifìgurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 997412015; Cass. 20043 2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016).
Non essendosi attenuta ai principi fin qui rammentati, la decisione di primo grado è errata e va integralmente riformata.
MOTIVAZIONE
L’eccezione di carenza di motivazione è completamente destituita di fondamento avendo il contribuente avuto piena contezza dei rilievi operati dalla GdF per il tramite del proprio consulente fiscale , dott. Lucio Petrella, cui fu consegnata copia del pvc, le cui risultanze salienti sono peraltro riportate nell’avviso di accertamento.
MERITO
Il contribuente non ha eccepito alcunchè nel merito sicchè in mancanza di contestazione (115 c.p.c.) i fatti sono da ritenersi provati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
pqm
Accoglie l’appello e condanna l’appellato alla rifusione delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 3500.00.
Napoli lì 6 giugno 2017
Depositato in segreteria il 5 settembre 2017
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