Commissione Tributaria Regionale per la Campania sezione 6 sentenza n. 2358 depositata il 3 novembre 2017
Svolgimento del processo
……… riceveva in data 15.3.2016 notifica di intimazione di pagamento ………. da parte di Equitalia per un importo complessivo di 600.387 euro, in ragione del suo ruolo di obbligato solidale in quanto socia (nei periodi di imposta 2000/2004) della s.n.c. ………., quest’ultima obbligata principale verso l’erario, rimasta inadempiente al pagamento ed incapiente nella procedura esecutiva all’uopo attivata.
Avverso tale atto, l’intimata proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Prato che, con sentenza 222/01/16, pronunciata il 7.11.2016 e depositata il 12.12.2016, parzialmente lo accoglieva rigettandolo nel resto.
Avverso tale sentenza ………. proponeva tempestivo ricorso in appello articolando i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 24 Cost. ed erronea applicazione dell’art. 2292 c.c. e 19 comma 3 D.L.vo 564/1992, lamentando il mancato riconoscimento giudiziale della lesione del diritto di difesa eccepito in primo grado, allorquando aveva dedotto che all’epoca della notifica dell’intimazione di pagamento non rivestiva più da anni (e segnatamente dal 25.6.2004) la qualità di socio della contribuente s.n.c. ………(nel frattempo estinta), mai le erano stati notificati gli avvisi di accertamento e le conseguenti cartelle di pagamento emesse nei confronti dell’obbligata principale, ricevuta l’intimazione di pagamento si era attivata senza successo per ottenere copie di tali atti al fine di preparare le proprie difese, nel breve termine previsto per proporre ricorso in primo grado non aveva potuto oggettivamente contestare la legittimità dell’atto impositivo a monte e degli atti esecutivi a valle nei confronti della società obbligata principale;
2) violazione dell’art. 2948 c.c. non avendo il giudice di primo grado applicato la prescrizione quinquennale agli interessi calcolati sulla somma/capitale nelle cartelle impugnate;
3) omessa statuizione circa l’eccepita decadenza ex art. 25 DPR 602/1973 con riguardo alla cartella ……. che avrebbe dovuto essere notificata il 31.12.2005 mentre era stata notificata il 4.4.2006;
4) non debenza della somme oggetto delle cartelle impugnate ex art. 1 comma 258 legge 228/2012.
Chiedeva la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e, nel merito, la riforma – previa discussione in pubblica udienza – della sentenza di primo grado nella parte a sé sfavorevole.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Prato proponendo anche appello incidentale. Spiegava che l’azione di recupero riguardava imposte dichiarate dalla stessa società e non versate, e deduceva che:
1. nessuna violazione del diritto di difesa era eccepibile a fronte della regolare procedura di accertamento e di esecuzione non essendo previsto dalla normativa l’obbligo di notifica al debitore solidale né dell’atto di accertamento divenuto definitivo né delle cartelle emesse nei confronti del debitore principale;
2. l’eccezione di prescrizione quinquennale del diritto a riscuotere interessi e spese era inammissibile perché costituiva motivo nuovo non proposto in primo grado;
3. l’eccezione di decadenza ex art. 25 DPR 602/1973 con riguardo alla cartella ……… (che secondo la contribuente avrebbe dovuto essere notificata il 31.12.2005 mentre era stata notificata il 4.4.2006) era infondata in quanto la Legge 106/2005 aveva esteso a quattro anni il termine di notifica delle cartelle di pagamento relative a dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003;
4. l’eccezione relativa alla non debenza della somme oggetto delle cartelle impugnate ex art. 1 comma 258 legge 228/2012, era inammissibile perché proposta per la prima volta nel giudizio di appello.
Chiedeva pertanto il rigetto dell’appello principale e si opponeva all’accoglimento della istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.
In sede di appello incidentale, poi, censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva erroneamente ritenuto prescritto il diritto erariale con riguardo alla cartella ………. senza valutare l’atto interruttivo notificato alla …………. in data 24.1.2004.
All’udienza del 17.10.2017 la causa veniva pubblicamente discussa e trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Preliminare, ed assorbente su tutte le altre, è la questione relativa alla violazione del diritto di difesa dell’obbligato solidale, escusso dall’amministrazione erariale a notevole distanza di tempo dal periodo di imposta cui si riferisce il proprio credito (nel caso di specie, 12/16 anni) e a notevole distanza di tempo dalla data dell’accertamento, dalla data di cessazione del rapporto societario (nel caso di specie, 12 anni), dalla data di estinzione della stessa società.
Nella giurisprudenza di legittimità, sul tema relativo al diritto di difesa dell’obbligato solidale verso l’erario (con riguardo alla natura, ai limiti e alle modalità di esercizio) sono rinvenibili due opposti orientamenti.
Secondo il primo (Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 27189 del 22/12/2014 – Rv. 633661 – 01), in tema di riscossione coattiva, l’amministrazione finanziaria può notificare direttamente al socio, ancorché receduto, l’avviso di mora per un’obbligazione tributaria della società, insorta anteriormente al suo recesso, di cui egli risponde solidalmente e illimitatamente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2290 e 2291 cod. civ., a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo, atteso che il suo diritto di difesa è garantito dalla possibilità di contestare la pretesa originaria, impugnando insieme all’atto notificato anche quelli presupposti, la cui notificazione sia stata omessa o risulti irregolare.
Trattasi di opinione, più sensibile alle esigenze erariali, che poggia sostanzialmente sull’assunto che nessuna norma prevede l’obbligo, da parte dell’ente impositore o di quello della riscossione, di notificare all’obbligato solidale gli atti a monte.
Secondo altro indirizzo (Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 18012 del 09/09/2005- Rv. 585480- 01), in tema di solidarietà passiva tributaria, non trova alcun fondamento la distinzione tra solidarietà derivante da una norma del codice civile e solidarietà nascente da una norma tributaria, sicché non è consentito all’Amministrazione, quanto, in particolare, alla responsabilità solidale del socio accomandatario di s.a.s. (ma la situazione è del tutto simmetrica a quella oggetto di attuale causa), di notificare alla società l’atto impositivo e la cartella esattoriale e procedere con avviso di mora per l’esazione del credito nei confronti del socio. Vi ostano sia il principio dell’autonomia dei rapporti di credito-debito, aventi in comune la sola prestazione, sia il principio di tutela del diritto alla difesa di ciascun coobbligato solidale (che può avere interesse diretto, e distinto da quello della società, a contrastare la pretesa avanzata con l’accertamento, nonché le sanzioni pecuniarie irrogate), sia, infine, il principio sancito dall’art. 1306 cod. civ., per il quale i condebitori solidali che non abbiano partecipato al giudizio conclusosi con la condanna di uno di essi hanno, di fronte al giudicato e rispetto al creditore, veste di terzi e, come terzi, non subiscono gli effetti propri della cosa giudicata. In particolare, l’esercizio del diritto di difesa del socio accomandatario mediante l’impugnazione dell’avviso di mora può essere effettivo solo se egli abbia mantenuto tale qualità nell’organizzazione sociale ed abbia avuto, per la stessa ragione, conoscenza della pretesa tributaria contenuta nell’atto impositivo (nella fattispecie, il socio aveva ceduto quote e carica molti anni prima della notifica dell’avviso di accertamento alla società, successivamente dichiarata pure fallita, e dell’avviso di mora a sé medesimo).
Tra le due autorevoli opinioni, la Commissione regionale ritiene di aderire alla seconda per le ragioni che di seguito si espongono.
Allorquando un fenomeno giuridico può essere astrattamente interpretato in modo diametralmente opposto, non è revocabile in dubbio che tra le due ipotesi ermeneutiche in conflitto debba essere privilegiata quella costituzionalmente aderente.
L’art. 24 Cost. dispone che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento: trattasi di precetto che impone l’individuazione di soluzioni, tra le più possibili, che garantiscano in termini concreti ed effettivi, e non meramente formalistici, tale diritto.
Il suddetto precetto – seppur non lo si voglia ritenere immediatamente operativo in assenza di una sua concreta realizzazione con la normativa primaria di settore – è comunque strumento interpretativo cui ci si deve attenere nel dar concreta attuazione, nel diritto vivente, al principio che esso esprime.
Ciò già di per sé costituisce buona ragione per aderire al secondo indirizzo giurisprudenziale su richiamato.
Ma, di più, va poi considerato che nella legislazione primaria in materia fiscale si rinvengono disposizioni direttamente operative che, lette e applicate in uno con l’art. 24 Cost., consentono di pervenire a soluzioni giuste nella sostanza oltre che nella forma.
La Legge 212/2000 (statuto del contribuente) prevede, con norma direttamente operativa, che l’amministrazione finanziaria – proprio per garantire il diritto di difesa – deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati (art. 6), e che il rapporto tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria deve essere improntato al principio della collaborazione e della buona fede (art. 10).
Siccome la conoscenza dell’atto impositivo deve essere (per quanto prevede il citato art. 6) effettiva, nel caso che qui occupa (caso assolutamente particolare ed atipico, per le ragioni che verranno di seguito meglio precisate) avrebbe dovuto comunicare all’obbligato solidale anche gli atti a monte (avviso di accertamento e cartella notificati alla s.n.c. ……….., obbligata principale): comunicazione che se in linea di principio non è obbligatoria alla stregua della disciplina dell’escussione dell’obbligato solidale tributario, lo diventa – in applicazione del principio della collaborazione e della buona fede – allorquando si sia in presenza di situazione del tutto particolari.
Nel caso di specie la particolarità sta:
– nella cospicua entità del credito erariale;
– nel notevole lasso di tempo che (a prescindere dai fenomeni prescrittivi che formalmente possono pure non essersi perfezionati) è trascorso tra i periodi di imposta cui si riferisce il credito erariale e l’attivazione della pretesa verso l’obbligato solidale (12/16 anni);
– nella circostanza che l’obbligata solidale cessò il rapporto con la società verificata, recedendo da essa, ben 12 anni or sono; e che la società, a sua volta, cessò la propria esistenza svariati anni addietro: sicché non avendo avuto più rapporti con essa, e non potendoli neppure avere – l’obbligata solidale si trovava in condizione di particolare difficoltà (recte, impossibilità) nell’approntare una valida ed efficace difesa ricorrendo alla documentazione (avviso di accertamento e cartelle) che poteva essere stata notificata all’obbligata principale;
– nella circostanza che il decorso del tempo e l’estinzione delle società rese impossibile all’obbligata solidale anche di accedere alla contabilità societaria per verificare se – alla stregua di essa – la pretesa erariale poteva dirsi fondata.
Su tale ultimo profilo, l’Agenzia delle Entrate ha puntualizzato che il proprio accertamento derivava dalla stessa dichiarazione presentata dalla società, la quale – dopo aver esposto crediti dell’amministrazione in sede di autoliquidazione – aveva poi omesso di pagarli; sicché – si vorrebbe dire (forse) – il credito erariale è certo perché confessato.
Ma non è chi non veda che un simile ragionamento potrebbe essere addotto in danno dell’obbligato principale, ma certo non in danno dell’obbligato solidale: questi infatti pur potrebbe contestare l’autoliquidazione effettuata, magari erroneamente, dall’obbligato principale e a tal fine necessiterebbe del controllo su quella contabilità societaria oggi non più esistente.
Considerando gli strettissimi termini previsti dalla legge per proporre ricorso, la mancata pregressa conoscenza degli atti a monte (in uno con la mancata possibilità di accedere alla documentazione societaria di un ente oramai estinto da tempo), priva il diritto di difesa di concretezza ed attuabilità, e lo rende un mera formalistica affermazione di astratta tutela in realtà incapace di esprimersi nella funzione costituzionalmente sancita.
Ne deriva l’illegittimità dell’atto di intimazione oggetto di impugnazione, e da ciò consegue – in uno con l’assorbimento degli altri motivi di appello principale – il rigetto conseguente dell’appello incidentale.
Peraltro, trattandosi di questioni giuridico/interpretative complesse, appare equo dichiarare la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
la Commissione tributaria regionale accoglie l’appello principale ed annulla l’intimazione di pagamento.
Dichiara compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio.
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