Commissione Tributaria Regionale per la Campania sezione 7 sentenza n. 2456 depositata il 28 marzo 2019
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. A. F. P. impugna la sentenza n.4052/18 resa dalla C.T.P di Napoli il 28.3.2018 e depositata il 19.4.2018 con la quale si rigettava il ricorso prodotto avverso il recupero a tassazione dell ‘IRES ed IRAP ,oltre sanzioni dovute per omesso versamento IVA e scaturente dalla rideterminazione del reddito relativo all’anno 2013.
L’Ufficio di seguito ad una verifica della G.di F. per il periodo dal 2012 al 2016 procedeva ad accertare, in via induttiva, il reddito di impresa pari a € 8.048.190,91 e conseguentemente a rideterminare le imposte dovute e non versate.
L’appellante contestava la insufficiente motivazione, la mancata autorizzazione per le indagini bancarie, l’omesso riconoscimento dei componenti negativi di reddito.
I Primi Giudici rilevavano l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi che legittima l’attività di ricostruzione del reddito.
In tale caso l’Ufficio tiene conto delle risultanze contabili avvalendosi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza.
Il procedente Ufficio dalle certificazioni bancarie, ancorchè intestate a terzi, accertava che l’ A. aveva, comunque, la delega ad operare.
L’Ufficio precisava che nella specie, risultava decorso abbondantemente il termine di 60 giorni previsto per legge per la notifica dell’accertamento, ed in ogni caso faceva rilevare il comportamento inerte del ricorrente.
L’appellante evidenzia la violazione dell’art.12 c.7 della legge 2121/2000, infatti la stesura del verbale di constatazione richiedeva pochi minuti non consentendo al legale rappresentante di poter, già in quella sede, di contestare quanto riportato nel p.v.c ..
L’appellante ritiene illegittimo l’avviso di accertamento non solo perché non da alcuna notizia delle osservazioni e richieste comunicate dal contribuente ma perché pur richiamandole non riporta alcuna dimostrazione di una adeguata ed autonoma valutazione da parte dell’Ufficio.
Contesta la violazione dell’obbligo della motivazione in quanto non vi è stata una valutazione critica da parte dell’Ufficio con riferimento al p.v.c .
Con riferimento alle indagini bancarie evidenzia che l’accertamento deve essere preceduto da una autorizzazione del Comandante della G.di F. ovvero dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, in mancanza l’accertamento deve considerarsi nullo.
Nel merito evidenzia che nelle risultanze rilevate dalla verifica non vanno compresi quei rapporti bancari che non consentono operazioni in Entrata e in Uscita destinate appunto a non essere registrate in un conto (deposito titoli richiesta assegni circolari, richiesta di bonifici senza addebiti in conto).
Elenca in dettaglio i conti intestati ad altri soggetti giuridici, ed evidenzia che il procedente Ufficio finanziario ha sommato anche in maniera erronea somme che per legge dovevano essere escluse, il totale della colonna dare ed in avere dei conti correnti anche di terzi obbligati alla tenuta di scritture contabili, riportando in capo alla società controllata anche tutte le operazioni svolte dai diversi soggetti passivi fomiti di una autonoma organizzazione.
Contesta la mancata considerazione delle componenti negative di reddito (Cass 38684 del 23.9.2014).
Evidenzia che Il reddito è l’incremento o il decremento che subisce il capitale per effetto della gestione, e quindi differenza quindi fra costi e ricavi.
Evidenzia che andavano considerati i pagamenti per imposte e tasse, i contributi e le ritenute a favore dell’Erario sono state considerate somme produttive di ricavi come pure tutte le operazioni neutrali come rettifiche di valute, addebiti ed accrediti di assegni, titoli venduti, titoli acquistati, spese bancarie ed addebiti di interessi e commissioni, esistenze di valuta estera sono stati considerati importi produttivi di reddito. Ribadisce il mancato riconoscimento dei costi e chiede l’accoglimento dell’appello con vittoria delle spese di lite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva che in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi l’Ufficio è legittimato a svolgere una ‘attività di ricostruzione del reddito.
In tale caso l’Ufficio tiene conto delle risultanze contabili avvalendosi anche di presunzioni prive dei requisiti dì gravità precisione e concordanza.
Al riguardo la suprema Corte con sentenze nn. 14930/2018 e 16565/2017 – statuisce che “nel caso in cui vi sia stata un’omessa dichiarazione da parte della contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, sul presupposto dell’inferenza probabilistica dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti”. Pertanto, nell’ipotesi di omessa dichiarazione, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con la facoltà di ricorrere a presunzioni super semplici, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari, tesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio.Il Giudice tributario,di conseguenza, può legittimamente ritenere i fatti contestati come dimostrati sulla base di siffatte presunzioni, con la conseguenza che l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa incombono sul contribuente.
Nel caso di specie, la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi ha legittimato l’applicazione dello strumento induttivo. Il superamento dei rilievi formulati dall’Ufficio in base alle risultanze bancarie, gravava sul contribuente, che, nella specie, non sono stati prodotti ovvero per la loro genericità non possono essere ritenuti sufficienti. Infatti come evidenziato dall’Ufficio dalle certificazioni bancarie, ancorchè intestate a terzi, si accertava che l’ A. aveva, comunque, la delega ad operare. Tale circostanza emersa dalle certificazioni bancarie prodotte dallo stesso contribuente non risulta sia stata smentita.
Con riferimento alla eccezione relativa alla decadenza il Collegio rileva, conformemente a quanto rilevato dai Primi Giudici, che , nella specie, risultava decorso abbondantemente il termine di 60 giorni previsto per legge per la notifica dell’accertamento.
Al riguardo va rilevato il comportamento non collaborativo del contribuente sia in seguito alla consegna del p.v.c. sia in seguito all’invito dell’Ufficio notificato ex art.32 del DPR 600/73,al fine di ottenere chiarimenti e delucidazioni con riferimento ai rilievi formulati nel p.v.c.
Con riferimento alla contestata la violazione dell ‘art.12 c. 7 della legge 212/2000, con la quale si evidenziava che la stesura del verbale di constatazione richiedeva pochi minuti non consentendo al legale rappresentante di poter, già in quella sede, di contestare quanto riportato nel p.v.c. si ritiene che essa appare generica e pertanto non meritevole di considerazione, anche per la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente.
Quanto alla eccezione di un diverso riconoscimento dei componenti negativi di reddito, la stessa non risulta suffragata da idonea documentazione comprovante la natura e l’inerenza dei costi assunti come sostenuti.
Con riferimento alla eccepita violazione dell’obbligo della motivazione in quanto non vi sarebbe stata una valutazione critica da parte dell’Ufficio con riferimento al p.v.c., il Collegio ne rileva la infondatezza, avendo l’Ufficio dato la prova di un approfondimento dei rilievi che hanno costituito il presupposto per la rideterminazione del reddito. In ogni caso al riguardo si richiama l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione che ritiene legittima la motivazione per relationem, subordinandone l’adozione alla sussistenza di due distinte condizioni: da un lato, occorre che l’atto cui si fa rinvio contenga in sé tutti gli elementi necessari al perfezionamento dell’atto rinviante, dall’altro, si richiede che l’atto richiamato sia già a conoscenza del contribuente, prima della notifica dell’avviso di accertamento, come avvenuto nel caso di specie.
Quindi anche quando l’Ufficio abbia omesso di riportare nella motivazione dell’atto impositivo le ragioni per cui le osservazioni formulate non sono condivisibili, o dal tenore della motivazione si deduca che le osservazioni non sono state nemmeno valutate, l’atto non può considerarsi nullo.
Va aggiunto che la vigente legislazione non prevede, infatti, al riguardo, alcuna sanzione.
Con riferimento alla contestazione in ordine alla circostanza che l’accertamento a mezzo indagini bancarie doveva essere preceduto da una specifica autorizzazione del Comandante della G.di F o del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, il Collegio, conformemente alle statuizioni della Corte di Cassazione, ritiene che, l’autorizzazione necessaria agli Uffici ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, ha una finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti di imposta, e per questo motivo, essa non richiede alcuna motivazione. Di conseguenza, la mancata esibizione di tale autorizzazione all’interessato non rende illegittimo l’avviso di accertamento basato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza. In ogni caso la autorizzazione ad effettuare le indagini bancarie può rilevarsi dal p.v.c. redatto dai Militari verbalizzanti, che hanno evidenziato una serie di movimentazioni non considerate nella contabilità e quindi nella determinazione del reddito imponibile.
Alla luce delle predette considerazioni Il Collegio ritiene che l’appello vada respinto e condanna il contribuente al pagamento delle spese di lite che liquida in €1000,00.
P.Q.M.
Rigetta appello-condanna il contribuente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 1000,00.