COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la LOMBARDIA – Sentenza 17 maggio 2018, n. 2241
Tributi – Imposta di registro – Avviso di rettifica – Valori OMI e listini CCIAA – Elementi presuntivi – Specificità concrete del bene compravenduto – Necessità
In fatto e in diritto
Con sentenza n. 612/2016 la Commissione Provinciale di Varese ha accolto il ricorso proposto da Società S.G. leasing Spa per l’annullamento dell’avviso di rettifica e liquidazione n. 2013XXXXXXX000, emesso dall’agenzia delle Entrate, con cui erano state liquidate maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale in relazione all’acquisto di un negozio, effettuato dalla ricorrente, nel comune di Varese.
L’avviso di rettifica si basava sui valori desumibili dalla banca dati dell’osservatorio del Mercato Immobiliare edito dall’Agenzia delle Entrate, dal prezziario della Camera di commercio e dai prezzi desumibili da alcuni atti di compravendita ritenuti comparabili con l’acquisto effettuato dalla ricorrente, ed aveva accertato il valore dell’immobile compravenduto in € 121.500, mentre quello dichiarato dalle parti ammontava ad €. 70.000.
Il giudice di primo grado, dopo aver premesso che, ai sensi degli artt. 43 e 51, comma 2, del Dpr n. 131 del 1986, la base imponibile per l’imposta di registro, relativa agli atti aventi ad oggetto beni immobili, è costituita dal valore venale comune del bene in commercio e che, ai sensi dell’art. 2, comma 1 e dell’art. 10 del d.lgs. n. 347 del 1990, la base imponibile determinata ai fini dell’imposta di registro costituisce la base imponibile dell’imposta ipotecaria e catastale, aveva annullato l’avviso, ritenendo non congrui gli elementi utilizzati dall’ufficio per la determinazione del valore venale del bene.
In particolare, la sentenza di primo grado aveva rilevato che i listini della banca dati dell’Osservatorio OMI costituivano meri elementi presuntivi semplici, non utilizzabili in assenza di ulteriori mezzi di prova.
L’ufficio, invece, aveva determinato il valore dell’immobile facendo riferimento a tali listini, senza omogeneizzare i dati alla situazione concreta e senza considerare che i valori OMI si basavano su uno stato di conservazione ottimale del bene, mentre nella specie lo stato di conservazione era da considerare normale, poiché il negozio compravenduto era sito all’interno della seconda corte rispetto all’accesso principale dell’androne in fregio alla via, così che il valore accertato avrebbe dovuto essere abbattuto del 30%.
Avverso tale decisione ha interposto appello l’agenzia deducendo di essersi basata su più elementi di prova per effettuare l’accertamento e, in particolare, di aver tenuto conto del prezziario della camera di commercio e di numerosi atti di compravendita di immobili aventi le medesime caratteristiche di quello oggetto di contestazione.
In ogni caso, in riferimento al listino Omi, l’ufficio ha rappresentato che i dati sono attendibili e aggiornati ogni semestre e che i valori per i negozi in centro città sono sempre riferiti ad uno stato di conservazione ottimo.
In ogni caso, l’ufficio ha dedotto che per determinare il valore accertato sono stati considerati nella media dei valori degli immobili in comparazione anche beni ubicati in zone di minor pregio rispetto alla zona B2, dove si trova l’immobile acquistato dalla ricorrente.
Infine, quanto all’abbattimento del valore del 30%. l’ufficio ha rappresentato che esso viene applicato ai casi non contemplati dall’Omi, nell’ambito dei quali non rientra il caso de quo.
Si è costituita l’appellata chiedendo il rigetto del gravame e deducendo l’inutilizzabilità del listino OMI poiché esso costituisce solo un mero indizio che dovrebbe essere accompagnato da altri elementi di prova e dal contraddittorio con l ‘interessato.
Inoltre, l’appellata rileva che secondo il listino Omi il valore di mercato viene riferito ad uno “stato conservativo ottimo”, che per i negozi è relativo alla posizione dell’unità immobiliare, mentre, nel caso di specie, il negozio è posto “internamente alla seconda corte rispetto all’accesso principale dell’androne in fregio alla via” e l ‘ufficio non avrebbe adattato i valori del listino a tale situazione concreta.
Con riferimento al prezziario della Camera di Commercio, l’appellata ne ha dedotto l’inattendibilità, poiché esso risale al secondo semestre 2013 e l’acquisto del bene è avvenuto il 23 ottobre 2013.
Con riguardo, infine, ai beni presi in comparazione dall’ufficio, l’appellata ha dedotto che gli atti di acquisto non sono stati allegati all’avviso e che esso non contiene la descrizione dell’immobile, così che non sarebbe possibile valutarne l’effettiva comparabilità né sarebbe possibile la loro produzione successiva, dovendo l’avviso di accertamento essere adeguatamente motivato a pena di nullità.
In ogni caso, a sostegno dell’inutilizzabilità delle comparazioni, l’appellata ha rappresentato che le compravendite a cui l’ufficio ha fatto riferimento non sono state effettuate tutte nella stessa zona in cui è ubicato l’immobile di cui è causa.
In conclusione, l’appellata rappresenta che il valore dichiarato corrisponde al valore di una perizia di stima fatta effettuare dalla società, nella quale è stato precisato che i valori Omi devono essere abbattuti del 30% per adeguarli ad uno stato di conservazione normale del bene e non ottimo.
L’appello non può essere accolto; l’ufficio ha rideterminato il valore del bene sulla base di elementi meramente presuntivi, che non tengono conto della specificità del caso concreto, quali i listini Omi e i prezziari della Camere di commercio.
Quanto agli atti di vendita offerti in comparazione, va rilevato che dalla descrizione degli immobili in essi effettuata non si evince la posizione dei negozi e l’eventuale accesso ad essi su strada.
Tale elemento assume particolare rilevanza poiché la possibilità di attrarre clientela, direttamente collegata alla visibilità dalla strada, è idonea ad incidere in maniera significativa sul valore venale del bene.
Nel caso di specie, è incontestato che al negozio compravenduto si accede da una corte interna e che esso non ha visibilità dalla strada.
Tale circostanza è stata confermata dalla perizia di stima, che ne ha valutato il prezzo conformemente a quanto dichiarato dalle parti nell’atto di vendita, mentre gli elementi di valutazione e comparazione offerti dall’ufficio, di carattere astratto e non riferibili alla specificità dei luoghi, non sono idonei a confutare tali risultanze.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta l’appello e conferma la sentenza di primo grado. Condanna l’appellante alla rifusione delle spese, che liquida in euro 1.500 oltre oneri di legge.
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