Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia sentenza n. 771 depositata il 23 febbraio 2018
TRIBUTI – OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE CERTIFICATE – RESPONSABILITA’ SOLIDALE E PERSONALE DEL CURATORE FALLIMENTARE – SOLO IN CASO DI UTILIZZO CONTRA LEGEM DEL PATRIMONIO FALLIMENTARE – ONERE DI PROVA A CARICO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA – INCAPIENZA DELL’ATTIVO – ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITA’
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con atto di appello depositato il 13.2.2018 Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale Milano II, impugnava la sentenza in epigrafe con cui il Giudice di prime cure accoglieva il ricorso introduttivo presentato dal contribuente avverso una cartella di pagamento con cui l’ufficio richiedeva la corresponsione all’odierno appellato, in qualità di curatore del fallimento Industria D.F. Srl, di somme iscritte a ruolo a seguito del controllo della dichiarazione modello 770/2013 per l’anno di imposta 2012 della predetta società.
Il giudice di prime cure riteneva, in particolare, l’inesistenza di una obbligazione solidale e personale del curatore fallimentare con la procedura fallimentare tranne l’ipotesi in cui l’ufficio, rispetto a debiti tributari del fallimento, non provi un non corretto utilizzo dell’attivo fallimentare da parte del medesimo curatore.
Con l’odierno atto di appello l’ufficio rileva che l’art. 37 comma 1 D.L. n. 223/2006 è intervenuto direttamente sull’art. 23 Dpr n. 600/1973 includendo espressamente tra i soggetti tenuti all’applicazione delle ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente, sui redditi assimilati e su quelli di lavoro autonomo e altri redditi i curatori fallimentari e i commissari liquidatori; che il curatore, dal 2006, è sostituto di imposta ed è pertanto tenuto a effettuare e a versare le ritenute di acconto entro i termini di legge, a rilasciare ai soggetti nei cui confronti è operata la ritenuta la relativa certificazione e a compilare e presentare il modello 770 semplificato e ordinario se nell’anno solare precedente sono state effettuate ritenute; che l’appellato accettava in data 5.10.2012 la nomina di curatore della predetta società; che le ritenute oggetto di iscrizione a ruolo riguardano compensi erogati a terzi dalla società nel mese di ottobre 2012 e l’imposta sostitutiva del tfr relativa al mese di dicembre 2012.
Con atto di controdeduzioni depositato il 14.2.2017 si costituiva in giudizio A.O. ribadendo che il curatore può essere ritenuto responsabile dell’omesso versamento delle imposte e, quindi, tenuto in proprio al pagamento delle stesse ove rimaste insoddisfatte dall’attivo fallimentare soltanto nel caso in cui sia dedotto e provato una utilizzo “contra legem” del patrimonio fallimentare; che nel caso di specie venivano compiuti tutti gli adempimenti fiscali posti a suo carico sulla base della documentazione societaria acquisita; che le due operazioni non sono in ogni caso anche temporalmente imputabili al suo operato essendo stato effettuato il pagamento di parcelle a professionista il 1.10.2012 ed essendo stato redatto il conteggio relativo all’imposta con codice 1713 per i dipendenti licenziati dalla società a luglio 2012; che tali operazioni, anche in caso di loro imputabilità all’operato del curatore, sarebbero in ogni caso ricomprese tra i debiti prededucibili con conseguente prelazione in sede di riparto finale. All’udienza del 21.2.2018 il collegio tratteneva la causa in decisione.
Ritiene il collegio l’infondatezza dell’atto di appello.
In via preliminare di merito va innanzitutto ribadito, per autorevole e recente giurisprudenza, che “presupposto essenziale perché si possa parlare di un concorso a determinare il mancato pagamento di un’imposta è che tale mancato pagamento sia effetto di un comportamento contra legem del curatore e non della mera incapienza dell’attivo. Quest’esigenza assume un particolare rilievo nel caso in esame, in quanto il curatore e l’amministratore giudiziale gestiscono sì un patrimonio altrui, ma in adempimento di una funzione pubblica inderogabile.
Solo ove un depauperamento dell’erario vi sia e sia dovuto ad un utilizzo contra legem del patrimonio fallimentare si potrà poi porre il problema se la ipotizzata responsabilità del curatore, venga meno a causa del controllo che le autorità giudiziarie competenti venga esercitano sulla condotta del curatore. Occorre quindi, in primo luogo che nell’atto impositivo siano enunciate le circostanze che determinano il cattivo utilizzo dell’attivo fallimentare (quali il “soddisfacimento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari”); e tali circostanze siano provate nel giudizio. Si vedano in proposito l’ordinanza n. 179 dell’8 gennaio 2014 e la sentenza n. 10508 del 23 aprile 2008. Nel caso di specie, è certo che la cartella non conteneva alcuna enunciazione o motivazione in proposito, e dunque il ricorso deve essere, secondo il relatore, rigettato affermando il principio secondo cui ove la Amministrazione ritenga di affermare una responsabilità solidale del curatore fallimentare per i debiti tributari del fallimento (maturati o meno nel corso della procedura fallimentare) deve indicare nell’atto di addebito le ragioni che determinano tale responsabilità che deve nascere da un cattivo utilizzo dell’attivo fallimentare (ad esempio a seguito del pagamento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari); ponendo il curatore in condizione di esercitare le sue difese anche adducendo – se del caso – l’intervento determinante degli organi di controllo della procedura” (v. Cass. n. 16373/2014).
Nel caso di specie la doglianza avanzata dall’ufficio è pertanto infondata non avendo l’amministrazione finanziaria indicato in apposito avviso di accertamento né provato in giudizio una condotta del curatore “contra legem” nella gestione del patrimonio fallimentare, avuto specifico riguardo al mancato versamento delle somme per cui è causa.
Non è sul punto rilevante quanto stabilito dall’art. 23 DPR n. 600/1973 in merito all’inclusione dei curatori fallimentari fra i soggetti tenuti all’applicazione delle ritenute alla fonte visto che nel caso di specie l’appellato adempiva agli adempimenti fiscali posti a suo carico sulla base della documentazione da lui ritualmente acquisita nel procedimento.
Quanto fin qui esposto è assorbente rispetto all’esame delle restanti istanze ed eccezioni delle parti e comporta il rigetto dell’atto di appello e la conferma della sentenza impugnata.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, contrariis reiectis
rigetta l’appello;
conferma la sentenza impugnata;
condanna Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale Milano II, a rimborsare a A.O. le spese di lite liquidate in complessivi euro 1.200,00, oltre accessori di legge.
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