Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia sez. 5 sentenza n. 4479 depositata il 17 dicembre 2021
Riparto di giurisdizione tra giudice tributario e ordinario
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il contenzioso ha ad oggetto un atto di pignoramento verso terzi emesso da AER (n. 0001), notificato via PEC al contribuente M R C (per complessivi euro 10.681,41), riferito a quattro cartelle di pagamento (notificate il .2006, .2007, 2007, 2008), a loro volta precedute dalla notifica di avvisi di intimazione e mora.
La parte privata sollevava un’eccezione di incompetenza territoriale di AER per essersi trasferito nel Comune di B M dal 2011; eccepiva l’omessa notifica degli atti prodromici; la violazione dell’art. 25 DPR 602/1973; l’omessa motivazione; la violazione del diritto di difesa e dell’art. 7 L. 212/2000; nonché l’intervenuta prescrizione dei crediti sottostanti.
La CTP in primo grado ha rigettato il ricorso, condannando il contribuente soccombente alla rifusione delle spese di lite per euro 700, rilevando: che l’avviso di intimazione era stato notificato a mezzo PEC all’indirizzo informatico del contribuente il 2019, sicché nessuna prescrizione può in questa sede essere sollevata, perché si sarebbe dovuta sollevare l’eccezione impugnando l’avviso di intimazione che è invece, oltre che atto interruttivo della prescrizione, soprattutto divenuto definitivo (Cass. Civ. SU 13913/2017).
Ha proposto appello la parte privata soccombente chiedendo la riforma integrale della sentenza di primo grado, censurata: per violazione di legge per non avere permesso i giudici di prime cure di attivare la giustizia tributaria in sede esecutiva in un caso di contestazione di omessa notifica degli atti prodromici (Cass. Civ. Ord. n. 7822/2020); per omessa pronuncia su più capi della domanda e su punti decisivi della controversia (vizi formali e sostanziali del pignoramento); per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente; per grave illogicità della decisione; per error in judicando con riferimento alla condanna alle spese della parte privata, pur soccombente, in quanto l’ufficio è stato rappresentato in giudizio da un proprio funzionario interno e non da difensore esterno.
Resiste l’ufficio replicando agli argomenti avversari e ai motivi di censura; chiede anzitutto dichiararsi l’inammissibilità dell’appello per tardività ex art. 21 D. Lgs. 546/1992, in ogni caso, il rigetto dell’appello e la conferma della decisione resa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello della parte privata è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
La questione dirimente ai fini del decidere non attiene, nel caso di specie, alla ritualità o meno della notifica delle quattro cartelle di pagamento relative ai crediti erariali in relazione ai quali è stata avviata la procedura esecutiva, bensì alla circostanza che l’avviso di intimazione ad esse relativo, regolarmente notificato a mezzo PEC in data 2019 all’indirizzo informatico del contribuente, non è stato tempestivamente e ritualmente impugnato entro il termine perentorio di 60 giorni previsto dalla legge (art. 21 D. Lgs. 546/1992). In altri e più chiari termini, quand’anche le notifiche delle quattro cartelle di pagamento fossero state irrituali o nulle e quand’anche fosse maturata la prescrizione decennale dei crediti erariali essendo appunto trascorso un tempo maggiore di 10 anni fra la notifica delle cartelle e la notifica della intimazione di pagamento, il contribuente, che ha pacificamente ricevuto la notifica dell’intimazione di pagamento relativa a quelle cartelle, avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la suddetta intimazione per fare valere il vizio di omessa notifica degli atti presupposti (le cartelle) ed eccepire in quella sede la intervenuta prescrizione dei crediti.
Dal momento che fra la notifica della cartella di pagamento e l’eventuale pignoramento non può decorrere più di un anno, qualora si superi questo termine, l’Agente per la Riscossione deve obbligatoriamente notificare un altro atto, appunto l’intimazione di pagamento, che di fatto è un avviso di mora con cui si porta a conoscenza il contribuente dell’esistenza dei crediti erariali e delle cartelle di pagamento presupposte, e con cui lo si avvisa che in caso di mancato pagamento (o mancata richiesta di rateazione) inizierà l’espropriazione. L’intimazione di pagamento, che deve risultare conforme al modello ministeriale (come è nel caso in esame), deve necessariamente contenere gli estremi della/e cartella/e a cui si riferisce e le date delle relative notifiche. Trattandosi di un avviso di mora (espressamente richiamato come atto impugnabile dall’art. 19 D. Lgs. 546/1992), qualora i dati indicati non fossero corretti, perché ad esempio la/e cartella/e non fossero mai state ritualmente notificate, o si dovesse eccepire la intervenuta prescrizione dei crediti portati, è necessario impugnare l’intimazione di pagamento entro 60 giorni dalla notifica (vedi sul punto Cass. Civ. sez. Trib. n. 31240 del 29.11.2019. E ciò non è stato.
Quanto alle contestazioni sollevate con riguardo ad asseriti vizi dell’atto di pignoramento, le stesse non possono essere proposte in questa sede, in quanto sussiste a riguardo un difetto di giurisdizione. La Cassazione, a Sezioni Unite Civili, in più di una occasione, si è pronunciata sul riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario civile con riferimento all’esecuzione di una cartella esattoriale, precisando che in generale il controllo della legittimità delle cartelle di pagamento che riguardano tributi (e della regolarità della relativa notifica) spetta al giudice tributario. Pertanto, quando si contesta l’attività di riscossione, anche se ciò avviene attraverso l’impugnazione del pignoramento quando questo è il primo atto attraverso il quale il contribuente viene a conoscenza della pretesa erariale, lamentando quindi l’omessa notifica delle cartelle che si riferiscono a crediti di natura tributaria, sussiste la giurisdizione del giudice tributario (da ultimo Cass. Civ. Ord. n. 7822 del 14.04.2020; e Cass. Civ. SU, ord. n.32729 del 18.12.2018). Il riparto di giurisdizione in tale materia, infatti, deve tenere conto del fatto nel nostro ordinamento esiste una giurisdizione speciale relativa alle controversie riguardanti le pretese tributarie, e una giurisdizione ordinaria che decide sulle pretese esecutive, compresa l’esecuzione forzata della pretesa tributaria. In sintesi, scrivono i Supremi giudici che, con riguardo alla attuazione della pretesa tributaria espressa con atto esecutivo (cartella di pagamento), il giudice tributario ha giurisdizione per tutti i vizi inerenti la pretesa tributaria che si assumano verificati e, dunque, rilevanti sul piano normativo, fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute; per tutti i vizi inerenti la pretesa tributaria fino al momento del pignoramento, se la notifica della cartella o dell’intimazione sia mancata o sia avvenuta in modo inesistente o nullo. In questi soli casi, il giudice tributario è competente sia per i fatti inerenti i profili di forma e di contenuto degli atti in cui è espressa la pretesa tributaria, sia per i fatti inerenti all’esistenza della pretesa tributaria in senso sostanziale, cioè fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa. E’ invece competente il giudice ordinario, anche quando il pignoramento esattoriale riguardi crediti di natura erariale, per tutte le questioni inerenti alla forma e dunque alla legittimità formale dell’atto esecutivo in quanto tale (pignoramento). La giurisdizione ordinaria, in tal caso, sussiste quando il pignoramento è stato preceduto da una valida notifica della cartella o dell’intimazione, non contestate come tali, ma si muovano contestazioni che afferiscono l’atto esecutivo in quanto tale; nonché per i vizi incidenti sulla pretesa sostanziale tributaria successivi al momento della valida notifica della cartella o dell’intimazione, o successivi all’atto esecutivo, nell’ipotesi di nullità, mancanza o inesistenza della detta notifica.
Nel caso di specie, l’intimazione di pagamento è stata correttamente notificata a mezzo PEC e non è stata tempestivamente impugnata, cristallizzandosi così la pretesa erariale e rendendo non più contestabili eventuali vizi di notifica delle cartelle di pagamento prodromiche né sollevabili eccezioni di prescrizione della pretesa maturate fino a quel momento (e qui si ferma la giurisdizione tributaria). Tutte le altre questioni attengono invece eventuali vizi propri dell’atto esecutivo in quanto tale; e si entra nel campo della giurisdizione ordinaria.
La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e le stesse si liquidano, tenuto conto del valore della lite, della complessità della stessa e dei parametri tabellari di riferimento, in complessivi euro 1.000, già detratto il 20% ex art. 15 comma 2 sexies D. Lgs. 546/1992, e oltre al 15% a titolo di rimborso spese generali.
P. Q. M.
La Commissione Tributaria Regionale rigetta l’appello del contribuente, conferma la sentenza della CTP di Milano, sez. 3, n. 2103 del 12.10.2020 depositata il 27.10.2020;
DICHIARA
Il proprio difetto di giurisdizione sulle questioni attinenti vizi propri dell’atto di pignoramento;
CONDANNA
La parte privata soccombente alla rifusione delle spese di lite del grado che si liquidano in complessivi euro 1.000, già detratto il 20% ex art. 15 comma 2 sexies D. Lgs. 546/1992 e oltre al 15% a titolo di rimborso spese generali.
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