Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia sezione 11 sentenza n. 3935 depositata il 11 ottobre 2019
I compensi dell’istituto bancario non sono configurabili come royalties le somme che vengono corrisposti ad aziende che mettono a disposizione il marchio per regolare pagamenti elettronici effettuati con carte. Tali spese costituiscono commissioni per i servizi di pagamento delle carte operanti sui circuiti.
Motivi in fatto e diritto della decisione
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Lombardia – ha impugnato la decisione resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che, accogliendo il ricorso proposto dalla D. B. s.p.a., ha annullato l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008 avente ad oggetto la ripresa a tassazione di Euro 5.157.009,50 derivanti dall’omessa effettuazione di ritenute alla fonte su royalties corrisposte a soggetti non residenti.
La sentenza di primo grado ha ritenuto fondata l’impostazione della contribuente: segnatamente, ha qualificato i compensi dalla stessa corrisposti alla V. E. LtD (soggetto di diritto inglese) ed alla M. Inc. (soggetto di diritto statunitense) non già quali royalties inerenti la concessione in uso di marchi, disegni d’impresa ed utilizzo dei circuiti elettronici di pagamento, bensì, “remunerazione di prestazione di servizi ovvero commissioni per i servizi di pagamento delle carte operanti sui circuiti”. Tale qualificazione comporta – ad avviso della pronuncia in commento – la riconduzione delle somme erogate per i soggetti esteri alla categoria dei redditi d’impresa non assoggettabili ad alcuna ritenuta alla fonte.
L’Agenzia si duole per avere i primi giudici errato nel ritenere l’utilizzo dei marchi mera conseguenza dell’utilizzo dei circuiti di pagamento essendo – al contrario – i pagamenti effettuati dalla contribuente direttamente correlati alla concessione dei diritti di sfruttamento ed utilizzo dei beni immateriali rilasciati a favore della banca licenziataria, quale desumibile dalla relazione diretta esistente tra l’entità degli importi versati ed il totale delle transazioni generate dal pacchetto clienti della banca in forza dell’utilizzo proattivo di tali licenze. In tale ottica, l’appellante ha ribadito che nessuna rilevanza può – come preteso – attribuirsi alla circostanza che gli accordi commerciali di riferimento qualifichino i pagamenti come “fees” ovvero che non vi sia alcuna menzione della licenza, dovendosi attribuire valenza al profilo sostanziale dell’ operazione.
A riscontro dell’impostazione fa riferimento ad un’istanza di rimborso presentata dalla contribuente nell’anno 1995 ove la stessa ha dichiarato di aver assoggettato a ritenuta compensi similari.
Censura, inoltre, la ritenuta erroneità – ad opera della sentenza – della determinazione della base imponibile in quanto calcolata sul totale dei compensi corrisposti e non già su quota degli stessi costituendo la restante parte, pur sempre, remunerazione dei servizi conseguiti. Osserva a riguardo l’Agenzia che la quantificazione è stata necessitata dalla circostanza che la contribuente, pur sollecitata a fornire chiarimenti, non ha dato riscontro alla richiesta volta a differenziare i versamenti eseguiti per titoli differenti. Tale omissione ha reso necessario il ricorso al criterio della “prevalenza” dell’attività: con ciò si è data valenza alla licenza di utilizzo dei marchi rispetto all’attività di prestazione di servizi di “mero supporto” attesa la differente pregnanza per quanto dianzi precisato.
Ha, pertanto, concluso per la declaratoria di legittimità d’avviso di accertamento.
L’appello è privo di fondamento.
Preliminarmente occorre rigettare l’eccezione di inammissibilità dell’ appello posto che l’Agenzia, previa ricostruzione fattuale della vicenda, ha esposto sia l’oggetto della domanda che i motivi di censura, per quanto sinteticamente.
Quanto al merito, richiamata integralmente la puntuale e dettagliata ricostruzione fattuale dei rapporti esistenti – in virtù degli accordi contrattuali in essere – tra la contribuente, i soggetti esteri, gli esercenti ed i clienti finali effettuata dai primi giudici, rileva la Commissione come la motivazione della pronuncia meriti integrale condivisione.
Al di là del dato poco rilevante costituito delle espressioni utilizzate dalle parti negli accordi commerciali, la “sostanza economica delle operazioni” è stata attentamente vagliata secondo un giudizio di prevalenza e di funzionalità che non merita censure.
In particolare, è stato correttamente evidenziato come V. e M. possiedano una complessa rete di infrastrutture tecnologiche grazie alle quali è possibile per la contribuente affiliata – come per l’intero sistema bancario – utilizzare i pagamenti elettronici effettuati con le carte emesse dall’istituto bancario che in detti circuiti transitano. L’articolazione dell’organizzazione, il numero di soggetti coinvolti e la molteplicità delle attività erogate identificano, ad avviso di Questa Commissione, una realtà complessa che non può essere inquadrata – come preteso – in termini riduttivi di “utilizzo e sfruttamento di beni immateriali” da intendersi quali marchi e know – how connesso ai sistemi di pagamento. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle reti di comunicazioni che veicolano nei corrispondenti circuiti le richieste e le autorizzazioni di spesa, alle operazioni di contabilizzazione e pareggio dei conti, alla gestione dei POS presso gli esercenti: attività, queste, che si avvalgono di strumenti non certo qualificabili come beni immateriali e che esigono servizi peculiari altamente specializzati. Rispetto ad esse, l’utilizzo e sfruttamento dei marchi identificativi risulta sì presente – perché strumentale a garantire l’operatività dei flussi di pagamento – ma anche residuale. E’, pertanto, coerente qualificare – secondo quanto fatto dai primi giudici – i corrispettivi versati dalla contribuente quali commissioni per i servizi di pagamento delle carte e remunerazione delle molteplici prestazioni erogate.
Nessuna valenza, come preteso, può attribuirsi alle dichiarazioni rese dalla contribuente in sede di istanza di rimborso per l’anno d’imposta 1995 di avere versato royalties alla società V.: al di là dell’estrema risalenza dei fatti, non è dato conoscere quale fosse la natura dell’accordo vigente all’ epoca sì da non potersi estendere “tout court” al caso in esame quella ricostruzione.
Deve, pertanto, concludersi nel senso che le doglianze dell’Ufficio non colgono nel segno con conferma integrale della sentenza impugnata.
Le spese di giudizio – liquidate come in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Commissione
RIGETTA
l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del presente grado liquidate in complessivi Euro 10.000 oltre al rimborso forfettario spese generali pari al 15% nonché Iva e C.P.A..
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