Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia sezione 21 sentenza n. 1265 depositata il 23 marzo 2018
Società con sede in Stato dell’Unione Europea – Aumento di capitale – Conferimento beni immobili in territorio dello Stato – Esterovestizione – Sussiste – Tassazione atto – Proporzionale.
Esterovestizione a fini elusivi quando i proventi societari derivano esclusivamente da attività situate in Italia
La società avente sede in uno Stato estero membro dell’Unione europea ed ivi costituita da cittadini italiani è da considerarsi esterovestita quando il suo conto economico risulta formato soltanto dai proventi derivanti da attività situate in Italia.
MASSIMA
L’atto formato all’estero con cui una società avente sede in Stato membro dell’Unione europea (nella specie in Lussemburgo), ed ivi costituita da cittadini italiani residenti in Italia, ha deliberato un aumento di capitale mediante conferimento in proprietà di beni immobili situati nel territorio dello Stato è soggetto a registrazione con imposta da applicarsi in misura non fissa, bensì proporzionale, sussistendo una esterovestizione societaria.
MOTIVAZIONE
Con ricorso del 10 maggio 2017 D., M. e la M. srl, già M. S.A. di diritto lussemburghese, nella rispettiva qualità di conferenti e di conferitaria della proprietà di porzioni immobiliari appartenenti ai primi in Asti e in Alessandria hanno proposto appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano del 14 ottobre 2016 in merito alla registrazione telematica, in data 28 gennaio 2013 ed in misura fissa, del verbale di assemblea straordinaria della società approvante un aumento di capitale da euro 31.000,00 ad euro 491.000,00, e dai due soci suddetti sottoscritto per intero a completa liberazione delle azioni allo scopo emesse a mezzo di quei conferimenti.
Premesso che in sede di registrazione dagli interessati si era ritenuto di applicare all’atto il criterio di cui alla Nota I V All’articolo 4 della Tabella Parte I allegata al DPR n. 131/1986, importante cioè il pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale e di bollo in misura fissa, di contro l’Ufficio, in esito alle delucidazioni ottenute circa le ragioni economiche dell’avvenuto conferimento dei diritti immobiliari, aveva notificato avviso di liquidazione diretto al recupero dell’ imposta complementare di registro e accessori in misura invece proporzionale, quale computata ai sensi dell’articolo 4.1 della citata Tariffa – Parte I sul valore negoziale dichiarato, e dunque disconoscendo il diritto a fruire della deroga agevolativa utilizzata in inizio, relativa all’ ipotesi in cui la società destinataria del conferimento abbia sede legale o amministrativa in uno Stato membro dell’Unione europea. In maggior sintesi l’Ufficio dall’esame condotto dei bilanci 2012, 2013 e 2014 aveva in proposito rilevato come quei conferimenti, di poco posteriori alla stessa costituzione della società, l’avessero provveduta dei cespiti immobiliari siti in Italia quali suoi esclusivi asset patrimoniali, tant’è che il conto economico si mostrava formato soltanto dai proventi derivanti dai canoni di locazione e dai costi dell’inerente gestione, e ne aveva quindi dedotto che la società fosse fittiziamente localizzata con la sede legale in Lussemburgo, in realtà svolgendo la propria attività in Italia, per quivi perseguire il proprio oggetto sociale, in modo da risultare un soggetto economico c.d. esterovestito, finalizzato a procurare ai due soci suddetti – madre e figlio, titolari delle quote del!’ intero capitale sociale – , una tassazione di maggior favore.
E a questa interpretazione datasi dall’Ufficio all’attività negoziale in discorso aveva per parte propria aderito l’adita Commissione, condividendo in estrema sintesi le ragioni da quello addotte in fase amministrativa e poi ribadite in giudizio. Gli appellanti impugnano la decisione imputando ai primi giudici di avere così convalidato l’operato dell’Ufficio con la riproduzione nella loro pronuncia, definita laconica e apparente, delle medesime sue argomentazioni, senza invece procedere ad una autonoma valutazione dei fatti e ad un vaglio effettivo delle argomentazioni difensive svoltesi in causa, in violazione fra l’altro dell’articolo 132 c.p.c. e, in ogni caso, l’erroneità del fondamento riconosciuto alla pretesa impositiva. Sì è costituita nel grado l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale Il di Milano per resistere al gravame sostenendo la compiuta correttezza giuridica della pronuncia gravata. Le censure suesposte, in stretta connessione fra loro, ne impongono una disamina unitaria, risolvendosi esse in un dedotto vizio di insufficiente ed incongrua motivazione, e però premettendo che questa, in linea di principio, non deve di necessità tradursi nella confutazione espressa di ogni argomentazione portata dalla parte interessata a sostegno della propria domanda giudiziale, ed allora estesa altresì ai motivi che vengano a risultare assorbiti od incompatibili con le considerazioni di dirimente rilievo espresse dal giudice stesso, e purché ne sia illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e sia comunque desumibile la ragione per la quale le contrarie prospettazioni sono state disattese.
Né la sua coincidenza con le argomentazioni dell’Agenzia ed il recepimento così avvenuto di per sé valgono, alle condizioni suesposte, ad integrare una mancata o erronea valutazione delle difese opposte: vizio che, quand’anche sussistente, tuttavia in questa sede comporta non altro che una rinnovata disamina delle questioni sollevate in giudizio. Nella fattispecie i ricorrenti appellanti avevano dunque sostenuto e tornano a propugnare l’applicabilità, al verbale di deposito dell’atto societario formatosi all’estero, delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, e ciò ai sensi della più volte menzionatasi disposizione di favore in materia; e a fronte della rilevanza per contro datasi dall’Ufficio anziché alla sede legale della società in Lussemburgo al ritenuto luogo (in Italia) di sua effettiva direzione organizzativa, essi oppongono l’insussistenza di emergenze utili in detto ultimo senso, posto che – si assume – l’amministrazione si svolgeva in Lussemburgo, perché lì si tenevano le riunioni dell’assemblea e si trovava ad agire l’organismo di gestione del patrimonio immobiliare, demandata a quel soggetto terzo e professionalmente qualificato per la loro impossibilità di provvedervi di persona. E affermano, in particolare, che l’oggetto principale della società, quale peraltro con ampiezza articolato nell’atto costitutivo, non può essere confuso con i beni immobili cui attiene l’attività imprenditoriale, non rilevando la loro ubicazione territoriale, quanto l’eventuale necessità di una presenza analogamente localizzata, e nella specie nel territorio nazionale, per gli scopi della relativa gestione: una necessità che gli appellanti qui invece denegano sussistere. Queste ribadite argomentazioni non si ravvisano idonee ad infirmare la statuizione appellata con cui la Commissione antecedente, concordando con la tesi dell’Ufficio, aveva dato rilievo decisivo alla peculiare situazione dell’essersi conferita alla società di diritto lussemburghese la proprietà su beni immobili situati in Italia da parte di cittadini italiani – e merita qui rimarcarlo – all’epoca (come ad oggi) residenti, l’uno, ad Asti e l’altra a Genova, non individuandosi in buona sostanza sottese ragioni di convenienza economica che non fossero quelle di perseguire un regime fiscale più vantaggioso.
Se, infatti, la più volte citata norma agevolativa contenuta nella Tariffa – Parte I dell’imposta di registro richiede, ai fini della sua legittima applicazione, che la società destinataria del conferimento abbia la sede legale o amministrativa in altro Stato membro dell’Unione europea, una lettura appropriata di queste due ipotesi in apparenza alternative fra loro è da farsi con riferimento alle elettive, organiche disposizioni presenti nel sistema tributario in materia dì società residenti, quali quelle in prosieguo di tempo formulate nel comma 3 e seguenti dell’odierno articolo 73 del DPR n. 917/1986. Detto altrimenti, l’interprete non può prescindere dal riscontrare in ogni caso l’effettività dell’una e dell’altra sede sopra menzionate e nella loro convergente, unitaria dimensione operativa, posto che la configurazione del quadro legislativo ha avuto riguardo al concreto accertamento dell’azione direzionale e organizzativa, e da effettuarsi alla stregua di nozione di carattere sostanziale e non già nominalistica (che privilegi formali adempimenti ed incombenti edittali dell’amministrazione societaria), tenendo cioè conto della specifica attività essenziale a realizzare lo scopo precipuo indicato nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente. E non giova in merito agli appellanti richiamarsi qui all’astratta molteplicità delle disparate attività enunciate ad oggetto dell’ente estero, in linea di fatto risultando esso concentrarsi funzionalmente nella gestione del patrimonio immobiliare esistente in Italia l’unico asset, s’è in inizio ricordato – in concomitante mancanza di altre ragionevoli spiegazioni dell’ avvenuta costituzione in un diverso Stato membro dell’Unione europea, il Lussemburgo, di una società preordinata a un tale esercizio, che con evidenza richiedeva e richiede una qualche prossimità ai beni immobili: per opportunità di vario controllo dei rapporti di locazione – si sottolinea questa circostanza – implicatine e di una efficiente tutela della loro redditività. Ne discende che una non eludibile considerazione di questi salienti compiti amministrativi – di là dalle generali clausole costitutive/statutarie – è bastante a far escludere la pertinenza del criterio impositivo speciale applicatosi in inizio, e conduce infine a ravvisare sussistente l’ascrittasi esterovestizione societaria in finalità elusiva del regime tributario nazionale e per conseguenza, dunque, la legittimità dell’imposta di registro dovuta (ex art. 2.1, lettera d) primo capoverso del Testo Unico) nella liquidata misura proporzionale del 7% (ex art. 1.1 primo capoverso della Tariffa – Parte Prima). Alla conclusione così posta accede la condanna degli appellanti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in misura di euro 2.900,00.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale di Milano respinge l’appello e condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 2.900,00.
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