Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia, sezione n. 1, sentenza n. 4829 depositata il 23 maggio 2022
L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento scaturente dal verbale redatto a conclusione dell’attività di controllo, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A. M., titolare della ditta individuale “A. M.” esercente l’attività di “trasporto di merci su strada” cessata in data 1/7/2007, ha proposto ricorso, depositato il 22/5/2014, impugnando ravviso di accertamento n.——, emesso dall’Agenzia delle Entrate – direzione provinciale di Palermo, ufficio controlli – relativo ad Iva, sanzioni ed interessi, con riferimento al periodo di imposta 2007, notificato il 27/12/2013, per l’importo complessivo di euro 90.755,00 (Iva euro 36.302,00, sanzioni euro 54.453,00).
Egli deduceva a sostegno del ricorso i seguenti motivi:
Nullità del processo verbale dell’atto di accertamento per attività di controllo e notifica dell’avviso di accertamento dopo la decadenza del termine previsto; illegittimità dell’atto, emanato prima dei 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione; L’irrogazione delle sanzioni è illegittima in quanto l’ufficio non ha effettuato alcun riferimento all’elemento soggettivo e non ha tenuto conto della buona fede del contribuente che ha effettuato la dismissione di beni strumentali nel contesto della cessazione dell’attività di impresa, senza alcun intento di evasione di imposta.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita opponendosi all’accoglimento del ricorso.
La Commissione Tributaria Provinciale di Palermo ha accolto il ricorso, compensando le spese di giudizio.
Contro questa decisione ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate la quale ha riproposto le deduzioni formulate nel giudizio di primo grado, con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.
Il contribuente si è costituito in giudizio insistendo per il rigetto dell’appello e per l’accoglimento dei motivi di ricorso non accolti o assorbiti.
All’udienza del 2 maggio 2022 la causa è stata posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Passando all’eccezione di decadenza del potere impositivo proposta dal contribuente nelle proprie controdeduzioni – secondo l’ordine logico delle questioni da affrontare – si osserva che il ricorrente non ha presentato la dichiarazione annuale ai fini Iva e, di conseguenza, il termine di decadenza del potere di accertamento – stabilito in quattro anni dall’articolo 57 del d.p.r. 633/1972 – viene prorogato di diritto al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere effettuata e quindi, nel nostro caso, al 31/12/2013.
Risulta infatti dagli atti di causa (doc. nn.2 e 3 prodotti dall’amministrazione appellate nel fascicolo di primo grado) che diversamente da quanto si sostiene in ricorso il contribuente ha presentato semplicemente il quadro “VA “nel quale viene solo riportata l’attività svolta dal medesimo e nessun altro dato.
Quanto al principale motivo di appello, deve essere confermata la sentenza di primo grado laddove si afferma che l’atto impugnato è stato emanato in violazione dell’articolo 12, comma 7 , legge 212/2002 secondo cui l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni dalla data di rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte dell’organo di controllo.
Ed infatti il processo verbale è stato redatto in data 8 novembre 2013, la notifica dell’atto di accertamento è avvenuta il 27 dicembre 2013, cioè 49 giorni dopo la redazione e la consegna al contribuente.
Sul punto la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, st. contr. deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (Cass. Ord. 23.7.2020, n.15843; più risalente SS.UU. 29.7.2013, n.18184).
Ora, nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ha allegato che il termine non sarebbe stato rispettato per l’imminenza del termine di decadenza di cui all’art. 57 del dPR n. 633 del 1972, per la rettifica relativa all’Iva.
Tuttavia, tale motivo non appare dirimente giacché, ragionando per assurdo, si dovrebbero dunque ritenere validi tutti gli atti emessi poco prima della scadenza, con ciò rendendo pertanto sostanzialmente non efficace il termine previsto dalla legge a tutela del contribuente (v. in una fattispecie analoga Cass. 29.1.2014, n.1869).
Mentre, diversamente opinando, il requisito dell’urgenza deve esser riferito alla concreta fattispecie e, cioè, al singolo rapporto tributario controverso, e la sua esistenza deve essere comprovata dall’amministrazione procedente. Requisito che per le ragioni anzidette, deve ritenersi insussistente, con conseguente nullità dell’atto impugnato.
L’appello deve essere pertanto rigettato con la motivazione che precede, essendo la sentenza immune dai vizi e dalle censure prospettate.
Restano assorbite le ulteriori censure sollevate.
Le spese di lite devono essere compensate in ragione delle particolarità della vicenda e del tenore argomentativo della decisione, con particolare riferimento all’orientamento giurisprudenziale richiamato.
P.Q.M.
rigetta l’appello; compensa interamente le spese processuali.