Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sentenza n. 583 sez. 5 depositata il 20 aprile 2022
Sopravvenuta carenza di interesse – cessazione della materia del contendere
Nel procedimento RGA 869/2019 con ricorso presentato da A. F. veniva interposto appello avverso la sentenza n. 681/02/2018 emessa dalla C.T.P. di Arezzo in data 12 settembre 2018 e depositata il 15 ottobre 2018.
La controversia originaria aveva riguardo ad un preavviso di fermo amministrativo di beni mobili registrati n. 00X0201700000X000″ riguardante l’autoveicolo targato XXX a fronte di debiti erariali per euro 1.169,58.
Secondo quanto emerge anche dalla narrativa della sentenza di primo grado, parte contribuente eccepiva: – l’illegittimità del preavviso di fermo amministrativo per omessa regolare notifica della cartella di pagamento e/o mancata allegazione della stessa; – il difetto di motivazione, con riferimento all’urgenza della misura cautelare; – l’inesistenza e/o invalidità dell’atto impugnato per carenza di potere in capo all’Agente della Riscossione che avrebbe dovuto adottare la misura solo dopo pignoramento negativo o incapiente; – sproporzione tra la pretesa ed il valore del bene; – la violazione degli art. 76 e 77 del D.P.R. n. 602/1973.
L’Agenzia della Riscossione ribatteva: – la mancata allegazione di un documento all’atto impugnato non era motivo di nullità e nel caso di specie la pretesa tributaria era già a conoscenza della parte; – la mancanza di motivazione era eventualmente imputabile all’ente impositore e non al concessionario (Cass. S.U. n. 11722/10) e comunque legittima dell’atto in sintonia con l’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973 che non presuppone alcuna verifica di proporzionalità per procedere con l’atto di fermo tra consistenza del debito e valore del bene da sottoporre a procedimento cautelare.
La CTP rigettava il ricorso e compensava le spese.
In particolare assumeva che parte contribuente era a conoscenza tenuto conto degli atti precedentemente notificati; – nell’atto erano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche all’origine del provvedimento, l’ammontare e la natura delle pretese tributarie, l’indicazione degli Enti creditori, le modalità, il termine e l’organo giurisdizionale presso il quale ricorrere; – l’emanazione del provvedimento di fermo era svincolata da ogni accertamento in ordine all’esistenza di un pericolo di pregiudizio effettivo o potenziale per la realizzazione della pretesa tributaria; – per procedere al fermo l’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973 non richiedeva alcuna proporzionalità tra credito e valore del bene.
Parte contribuente proponeva appello, articolando i seguenti motivi di gravame.
1. Motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 50 e/o 86 D.P.R. n. 602/1973 e 7 L. n. 212/2000 per inesistente e/o invalida notifica e/o per mancata allegazione della cartella di pagamento.
I primi giudici avrebbero dovuto statuire l’illegittimità (derivata) del preavviso di fermo amministrativo in virtù dell’invalida notifica della cartella di pagamento, trasmessa solo a mezzo P.E.C. con “file” formato “pdf”, mancando la prova della presenza della firma digitale sul documento e l’attestazione di conformità ai corrispondenti originali analogici.
Per tali carenze, la cartella di pagamento non era “documento informatico” a norma di legge, l’art. 26 c. 2 del D.P.R. n. 602/1973 consentendo la notificazione delle cartelle per PEC soltanto con le modalità di cui al D.P.R. n. 68/2005 (cfr. C.T.R. della Campania n. 9464/11/2017, C.T.R. Liguria n. 745/03/2017, C.T.P. di Milano n. 1023/01/2017, C.T.P. di Treviso n. 93/01/2018); incombeva sull’Ente di riscossione l’onere di provare che il documento notificato era un “documento informatico” (in carenza della cui prova quest’ultimo andava considerata inesistente), la conformità all’originale del documento inoltrato mediante P.E.C. nonché delle relative ricevute. E comunque la CTP avrebbe dovuto verificare se la notificazione della cartella di pagamento sotto il formato digitale “.pdf’ era idonea a garantire la conformità del documento informatico notificato all’originale e, in particolare, se fosse valida la firma digitale dell’agente della riscossione.
2. Motivo: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 86 comma 4 del DPR n. 602/1973: inesistenza e/o invalidità dell’atto impugnato per carenza assoluta di potere in capo all’agente della riscossione.
In particolare, veniva dedotto che i primi giudici non avevano tenuto in conto il vizio di legittimità evidenziato sotto duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, l’odierno appellante aveva rilevato che: (i) il fermo amministrativo era disciplinato dall’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, il cui comma 4 aveva devoluto la relativa intera disciplina ad un regolamento interministeriale con cui avrebbero dovuto essere stabiliti le “modalità, i termini e le procedure per l’attuazione di quanto previsto nel presente articolo” ma, alla data odierna, mai emanato;(ii) l’art. 3, c. 41 del D. L. n. 203/2005 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248/2005) aveva previsto che: “Le disposizioni dell’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973 si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso contenute nel Decreto del Ministro delle Finanze 07 settembre 1998 n. 503“. La necessità del previo esperimento di un’esecuzione forzata e della sua infruttuosità (per giustificare il ricorso ad un conseguente preavviso di fermo amministrativo) era stata dedotta in base agli artt. 3 del D. M. n. 503/1998 e 79 del D.P.R. n. 43/1988; in virtù di tali norme, l’ADR avrebbe dovuto procedere prima ad un pignoramento e, solo ove si fosse rivelato negativo o incapiente ovvero in caso di mancato reperimento dell’autoveicolo (a norma dell’art. 16 D. Lgs. n. 46/1999), si sarebbe giustificata una simile misura cautelare atipica (previa apposizione del prescritto “visto” come indicato nell’art. 3 del D. M. n. 503/1998): ciò che, nella fattispecie, non era mai avvenuto.
In secondo luogo, non essendo ancora stato emanato il regolamento attuativo previsto dall’art. 86 comma 4 del D.P.R. n. 602/1973, i primi giudici avrebbero dovuto riconoscere la carenza di potere dell’ADR di utilizzare il fermo amministrativo così come posto in essere con la diretta emissione dell’impugnato preavviso.
3. Motivo: contrasto con l’art. 7 L. n. 212/2000 per difetto di motivazione. La pronuncia di primo grado era errata poiché non aveva riconosciuto il palese difetto di motivazione proprio dell’impugnato preavviso di fermo amministrativo risultato del tutto privo dell’indicazione delle ragioni “cautelari” (in virtù della natura giuridica propria del fermo amministrativo) alla base dell’adozione di una simile misura.
4. Motivo: eccesso di potere in virtù della manifesta sproporzione tra la somma pretesa ed il valore del bene oggetto del già menzionato preavviso di fermo.
Secondo il maggioritario orientamento giurisprudenziale il fermo amministrativo non poteva essere adottato su un bene di valore notevolmente superiore rispetto al credito che con esso si intendeva garantire, alla luce della previsione dell’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973 in materia di iscrizione ipotecaria per crediti di VALORE inferiore ad Euro 20.000,00.
5. Motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 76 e/o 77 del DPR n. 602/1973.
Infine, l’odierno appellante adduceva che il fermo amministrativo rappresentava una misura cautelare atipica, preordinata alla successiva espropriazione forzata di cui condivideva le regole operative (C.T.P. di Roma, n. 112/11/2012; C.T.P. di Napoli, n. 241/17/2012). La parificazione tra i due strumenti (ipoteca e fermo), il loro inquadramento congiunto nell’ambito dell’espropriazione ed il fatto che i due predetti istituti venivano disciplinati dalle medesime norme (di cui al Capo III° del D.P.R. n. 602/1973) non poteva che condurre alle medesime conclusioni.
Conclusivamente, parte appellante chiedeva l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata con il riconoscimento e la statuizione che il preavviso di fermo amministrativo nonché la correlativa precedente cartella di pagamento (quanto al periodo d’imposta 2012 a titolo di imposte dirette) erano invalidi con conseguente inesigibilità, in ogni caso, della somma complessivamente reclamata (così come indicata nel predetto preavviso relativamente alla pretesa tributaria); con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio, ovvero, in ipotesi, del presente grado di giudizio oltre al rimborso forfettario delle spese generali (15%), agli accessori secondo legge, al rimborso delle spese documentate esenti I.V.A. e con distrazione, ex art. 93 c.p.c., delle predette spese e compensi a favore del procuratore antistatario.
L’Agenzia delle Entrate- Riscossione (d’ora in poi ADR) si costituiva in giudizio e presentava le controdeduzioni di seguito illustrate.
1. controdeduzione: inammissibilità delle contestazioni relative alla carenza di sottoscrizione digitale nonché alla mancanza dell’attestazione di conformità.
Tali eccezioni erano state formulate da controparte con le memorie illustrative ex art. 32 d.lgs. n. 546/1992 e non nelle forme ex art. 24, c.2, d.lgs. 546/92. In base a quest’ultima previsione, l’integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, era ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito.
Nel caso di specie, le contestazioni di parte contribuente in merito all’invalidità della notifica pec erano motivi aggiunti, integranti i motivi di ricorso in dipendenza dell’esame della documentazione depositata dall’Agenzia, in origine essendo stata addotta l’inesistenza della notifica. La contestazione dei presunti vizi della notifica eseguita a mezzo pec costituiva mutamento della causa petendi formalizzata nell’atto introduttivo e implicava il rispetto della previsione dell’art. 24, c.2. d.lgs. 546/92, e non già per il tramite delle memorie illustrative di cui all’art. 32 del medesimo decreto (C., IV, n. 15051/2014, rv. 631568 – 01).
Nel merito, la cartella n. 00X01600XXX2000 era stata ritualmente notificata il 29/7/2016 a mezzo PEC ai sensi dell’art. 26 DPR 602/73 e, conformemente al DPCM 13/11/2014 (Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici), l’immodificabilità/integrità sono state ampiamente garantite sia dalla apposizione di firma elettronica del file, sia dal trasferimento con PEC come da lett. c) del comma 4.
Inoltre, la cartella di pagamento non necessitava di sottoscrizione ai fini di validità, essendo sufficiente che il destinatario, dal contenuto dell’atto, fosse in grado di individuare l’autorità di provenienza (cfr. C. cost. 117/2000 e giurisprudenza di merito). La mancanza della sottoscrizione del funzionario competente non comportava l’invalidità della cartella di pagamento, la cui esistenza non dipendeva dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, ma dalla sua inequivocabile riferibilità all’organo amministrativo titolare del potere di emetterla: il che, nel caso di specie, era garantito dal Gestore pubblico del servizio di PEC, che attestava la provenienza del messaggio PEC da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e la consegna del medesimo messaggio nella casella PEC del destinatario (Cass. 6417/2019).
2. controdeduzione: infondatezza della presunta invalidità del preavviso di fermo per carenza assoluta di potere in capo all’ADR.
La procedura di fermo aveva già trovato la propria regolamentazione attuativa ad opera del D.M. 7 settembre 1998, n. 503, vigente. Con la norma di interpretazione autentica contenuta nel comma 41 dell’art. 3 del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248, è stato chiarito che “Le disposizioni dell’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel D.M. 7 settembre 1998, n. 503 del Ministro delle finanze». Al riguardo Cass. S.U. n. 15425/2014 ha precisato che «
la norma di interpretazione autentica dettata dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, ha chiarito la portata precettiva del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 46 precisando che, fino all’emanazione del decreto ministeriale di attuazione previsto dal comma 4 dello stesso art. 86, il fermo ben può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed a gli effetti dello stesso, contenute nel D.M. finanze 7 settembre 1998, n. 503. È pertanto erronea la tesi secondo cui vi -sarebbe carenza di potere di procedere al fermo da parte del concessionario delegato alla riscossione in mancanza del regolamento di cui al comma 4 del citato art. 86″.
La dedotta “illegittimità” del preavviso di fermo per non essere stato preceduto da pignoramento negativo o incapiente, ai sensi dell’art. 3 D.M. 503/1998, non trova evidenze nel dato testuale che limita la previsione ai casi di visto emesso ai sensi dell’art. 79 DPR 43/1988. Assumere che l’ADR debba eseguire una procedura esecutiva prima di adottare una misura cautelare appare tesi privo di fondamento giuridico.
3. controdeduzione: infondatezza del vizio di motivazione del preavviso di fermo.
Il contenuto dell’atto in esame era completo ed esaustivo e non affetto da carenza di motivazione. La comunicazione impugnata conteneva la puntuale indicazione della cartella di pagamento presupposta, ritualmente notificata al contribuente, il carico iscritto a ruolo, notificato e non pagato, elementi sufficiente per motivare l’adozione, da parte dell’ente della riscossione, della misura in parola. Inoltre, il preavviso di fermo recava, altresì, l’indicazione del debito scaduto e della sua composizione, le causali dello stesso, la descrizione degli importi inevasi, le modalità di estinzione della posizione debitoria, unitamente all’avvertimento che, nell’ipotesi di mancato adempimento nel termine fissato, si sarebbe proceduto all’emanazione del provvedimento di fermo e alla sua iscrizione al P.R.A., con indicazione dei termini e le modalità di impugnazione dello stesso.
La disciplina in materia di motivazione riguardava gli atti della P.A. e non quelli dell’ente della riscossione; il preavviso di fermo non era soggetto all’obbligo di motivazione previsto per gli atti amministrativi, in quanto provvedimento non decisorio/impositivo della pubblica amministrazione, ma misura cautelare adottata dall’Ente di riscossione in sede di esazione a mezzo ruoli (sulla natura cautelare del fermo cfr. Cass. 31 gennaio 2006, n. 2053). L’art. 7, c.1, Statuto dei diritti del contribuente, secondo il quale “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7/08/1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi” riferiva l’obbligo di motivazione solo agli atti dell’Amministrazione Finanziaria e non agli atti dell’Ente della riscossione, espressamente richiamati all’art. 7, c.2. a conferma della diversità di atti, di soggetti e di normativa applicabile (cfr. CTR Lazio n. 7226/2016).
4. controdeduzione: eccepita sproporzione tra il fermo ed il credito per cui si procede.
Il valore del veicolo oggetto del preavviso, la detta sproporzione, il danno derivante dalla stessa, non erano stati né provati né dettagliati, precludendo di accertare la fondatezza della contestazione e di operare in autotutela. A fronte del principio per cui il debitore risponde dei propri debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri, l’art 86 DPR 602/73 non conteneva alcun criterio di proporzionalità per legittimare l’atto di fermo (cfr. CTR Emilia-Romagna n. 65/2013), essendo irragionevole introdurre il criterio della c.d. sproporzione in sede di procedura cautelare, quale il fermo amministrativo, alla luce dell’inesistenza di qualsivoglia analogo criterio in sede di procedimento esecutivo, più grave negli effetti per il soggetto debitore. Alcuna irragionevolezza del fermo amministrativo in relazione alla sua funzione di misura cautelare era in concreto esistente e dimostrata (CTP Ferrara n. 135/2007).
5. controdeduzione: presunta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 76 e/o 77 DPR 602/73.
Se il legislatore avesse voluto stabilire dei limiti di importo per la procedura di fermo, lo avrebbe fatto, analogamente a quanto previsto per l’iscrizione ipotecaria, maggiormente afflittiva per i suoi potenziali effetti sull’affidabilità del contribuente all’interno del sistema bancario.
Parte resistente, in conclusione, chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado, con vittoria di spese anche del presente grado, come da nota depositata.
Con memoria illustrativa parte appellante offriva ulteriore spiegazione delle proprie doglianze difendendone l’ammissibilità e tempestività. Inoltre, rispetto al doc. n. 2 allegato alle controdeduzioni di secondo grado dell’Ufficio, osservava che l’unico dato (prodotto agli atti dalla controparte) è risultato essere che in data 29 luglio 2016 l’asserita cartella di pagamento (condensata in un apparente mero “.pdf”) sarebbe stata trasmessa dall’indirizzo del mittente: notifica.toscana@cert.equitaliacentro.it.; tale modalità di notifica non sarebbe legittima, in quanto indirizzo mai esistito né presente nella pagina ufficiale del sito internet di “Agenzia delle Entrate – Riscossione”, nella pagina della CCIAA ed in quella di INDICEPA, Indice delle Pubbliche Amministrazioni; che la notificazione con modalità telematica avrebbe dovuto essere eseguita ricorrendo ad indirizzi di P.E.C. risultanti dai pubblici elenchi (ex art. 16-ter del D. L. n. 179/2012: INI-PEC, Registro PA, il Registro delle Imprese, il RegInDEi), con espressa indicazione dell’elenco da cui gli stessi indirizzi erano stati estratti in virtù del combinato disposto (art. 3-bis L n. 53/1994, art. 16-ter D. L. n. 179/2012, Cass., n. 17346/2019).
L’ADR ha controdedotto, adducendo l’inammissibilità del ricorso in appello per carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. stante l’intervenuto pagamento della cartella n. 00X01600X000, in data 12/12/2017, in assenza di specifica domanda restitutoria. Inoltre, l’Ufficio ha segnalato come inammissibile la contestazione mossa con la memoria illustrativa, per violazione dell’art. 57 d.lgs. 546/92 (divieto nuove domande ed eccezioni in grado di appello) e comunque infondatezza. Infatti: come attestato dal file di consegna pec, la cartella era stata regolarmente ricevuta presso il domicilio digitale del contribuente, e non opposta nei termini, dovendosi ritenere risolta ogni questione sulla modalità di avvenuta notificazione, stante l’evidente raggiunto scopo della notifica; l’avvenuta consegna dell’atto rendeva inapplicabile il concetto di “inesistenza” della notifica, posto che attività notificatoria vi era stata ed aveva raggiunto lo scopo di consegna dell’atto; del resto mai era stata sollevato alcun dubbio in ordine all’identità della mittente ADER, chiamato in giudizio quale autrice della notifica; peraltro diverse sono le norme disciplinanti la notificazione a mezzo PEC degli ATTI GIUDIZIARI, le quali prevedono tale incombente (e.g. art. 3 bis, L. 53/94; art. 16 sexies D.L. 179/2012) e quelle speciali disciplinanti la notificazione delle cartelle e degli altri atti esattoriali (artt. 26 D.P.R. 602/73 e 60 D.P.R. 600/73) atti di natura amministrativa (per tutte Cass. 23397/2016); basti rilevare che l’art. 60 DPR 600/73 prevede che “In deroga all’articolo 149-bis del codice di procedura civile e alle modalità di notificazione
non compatibili con quelle di cui al presente comma, la notificazione
può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC).”; quest’ultimo articolo chiaramente disponendo la deroga ad ogni diversa norma non compatibile. Detta normativa speciale non esprimeva alcun obbligo, per l’ADER, di utilizzo esclusivo degli indirizzi pubblicati nei registri INIPEC ovvero REGINDE, a pena di invalidità della notifica, bensì il solo ed unico onere di notifica all’indirizzo del destinatario che sia pubblicato nei registri pubblici; non era quindi ipotizzabile la legittimità della declaratoria di inesistenza della notifica, in assenza di una norma che imponeva l’obbligo ipotizzato e la corrispondente sanzione di inesistenza in caso di inosservanza (così Cass. 20809/2020, per cui la nullità per inosservanza delle forme non poteva essere pronunciata, se non comminata dalla legge).
L’appello è infondato e deve essere respinto.
1. Deve essere disattesa l’eccepita carenza di interesse a coltivare l’appello per intervenuto pagamento della cartella sulla base del quale trascritto il fermo amministrativo su bene mobile; sebbene la circostanza del pagamento non risulti contestata, non è chiarito se la trascrizione del fermo sia stata cancellata e comunque non risultano le condizioni per ritenere cessata la materia del contendere. Nel processo tributario, la cessazione della materia del contendere si differenzia dalla sopravvenuta carenza di interesse in quanto solo nel primo caso viene meno l’atto lesivo dell’interesse materiale oggetto della tutela giurisdizionale tributaria, mentre nel secondo, pur permanendo l’atto impugnato, cessa l’interesse meramente processuale al suo annullamento. Qualora, poi, l’atto impugnato venga meno non per una unilaterale determinazione dell’ufficio, ma per l’adozione di un atto conforme alla pretesa avanzata dal contribuente, la sentenza di cessazione della materia del contendere fa stato in merito alla definitiva realizzazione dell’interesse di quest’ultimo e, una volta passata in giudicato, impedisce all’erario di annullare, in via di autotutela, il provvedimento che aveva determinato la cessazione della “res litigiosa” (C. n. 5098//2022, Rv. 663911 – 01).
2. Rispetto al primo motivo di appello se la radicale contestazione da parte del contribuente circa la regolarità della notifica della cartella di pagamento risulta ulteriormente specificata nelle successive memorie di primo grado ed in parte in grado di appello, non si ritengono addotti motivi (realmente) nuovi rispetto a quello originario né un autentico mutamento della causa petendi.
In ogni caso, i diversi profili di doglianza in concreto articolati (la carenza di sottoscrizione digitale, la mancanza dell’attestazione di conformità o l’inoltro da indirizzo PEC del mittente non incluso dei registri pubblici) appaiono infondati.
Nel merito, la cartella n. 00X01600XX000 risulta ritualmente notificata il 29/7/2016 a mezzo PEC ai sensi dell’art. 26 DPR 602/73, con immodificabilità/integrità garantita dalla apposizione di firma elettronica del file e dal trasferimento con PEC.
La cartella di pagamento non necessitava di sottoscrizione ai fini di validità, a tal fine essendo sufficiente che il destinatario, dal contenuto dell’atto, venga posto in grado di individuare l’autorità di provenienza (cfr. C. cost. 117/2000 e giurisprudenza di merito).
Quanto alla riferibilità della cartella alla pubblica amministrazione è stato statuito che l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale atto sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; a norma dell’art. 25 d.P.R. n. 602/73, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass. 5 dicembre 2014 n. 25773). Tale principio è stato ribadito dalla Cassazione allorché ha affermato che in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, l’art. 12 del d.P.R. n. 602/1973 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21 octies della L. n. 241/1990 (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27561).
Nel caso di specie la riferibilità della cartella all’organo amministrativo titolare del potere di emetterla è garantita dal Gestore pubblico del servizio di PEC, con l’attestazione della provenienza del messaggio PEC da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e la consegna del medesimo messaggio nella casella PEC del destinatario.
Sulla dedotta carenza delle attestazioni di conformità all’originale della cartella notificata, va rilevato che in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella) e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice che escluda l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso (C. V, n. 23426/2020, Rv. 659342 – 01; nella specie, la S.C. ha affermato che la CTR aveva correttamente dichiarato il regolare perfezionamento della notifica sulla base della copia della cartolina di ritorno, valutando in assenza di produzione dell’originale e di conseguente rituale disconoscimento da parte del contribuente – il quale assumeva di non aver mai ricevuto detta notifica -, valorizzando il fatto che su di uno stesso foglio erano riportati gli estremi della cartella, della raccomandata, della data di spedizione e quella di notifica, nonché della fotocopia della ricevuta di ritorno, con il segno di croce a fianco della qualifica del ricevente l’atto e la firma autografa dello stesso). Nel caso la produzione dell’Ufficio (cfr. allegato n. 2 alle controdeduzioni in appello) accredita detta conformità, in assenza di specifiche difformità contestate.
L’ultima formulazione in cui è stato articolato il motivo (utilizzo da parte del mittente di indirizzo PEC estraneo a quelli risultanti dai pubblici elenchi) prima ancora che cedere rispetto al contrario rilievo della sicura efficacia sanante del raggiungimento dello scopo della notifica appare disallineata alla normativa speciale prevista per la notifica degli atti amministrativi tributari; ai sensi degli artt. 26 D.P.R. 602/73 e 60 D.P.R. 600/73 è ammessa la notifica diretta di tali atti da parte dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, rimarcando (esclusivamente) la necessità che venga curata all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC). L’art. 60 cit. dispone un regime speciale nel quale non si ravvisa alcun obbligo, per l’ADER, di utilizzo esclusivo degli indirizzi pubblicati nei registri INIPEC ovvero REGINDE, a pena di invalidità della notifica, bensì solo l’onere di notifica all’indirizzo del destinatario pubblicato nei registri pubblici.
3. Infondato è anche il motivo che assume l’invalidità del preavviso di fermo per carenza assoluta di potere in capo all’ADR.
La norma di interpretazione autentica dettata dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 41, ha chiarito la portata precettiva dell’art. 46, D.P.R. n. 60/1973, precisando che, fino all’emanazione del decreto ministeriale di attuazione previsto dal comma 4 dello stesso art. 86, il fermo ben può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel D.M. finanze 7 settembre 1998, n. 503 (C. SU n. 15425/2014). È pertanto erronea la tesi secondo cui vi sarebbe carenza di potere di procedere al fermo da parte del concessionario delegato alla riscossione in mancanza del regolamento di cui al comma 4 del citato art. 86.
La dedotta “illegittimità” del preavviso di fermo per non essere stato preceduto da pignoramento negativo o incapiente, ai sensi degli artt. 3 D.M. 503/1998 e 79, c. 3 DPR 43/1988 non trova evidenze testuali in dette previsioni che, piuttosto, procedimentalizzano i rapporti informavi e gestionali tra ufficio finanziario e il concessionario per la riscossione. In base all’art. 79, c. 3, cit. l’ufficio finanziario, ovvero l’ente che ha emesso il ruolo, appone il proprio visto entro novanta giorni dalla ricezione del verbale pignoramento negativo o insufficiente, indicando in calce i cespiti, i beni e ogni altro elemento utile, di cui è a conoscenza, per l’esperimento di ulteriori procedure esecutive. L’art. 3 cit. prevede che in sede di visto, emesso ai sensi dell’art. 79 cit., l’ufficio o l’ente impositore fornisce anche le notizie relative all’esistenza di eventuali veicoli a motore di proprietà del contribuente iscritto a ruolo. Entro sessanta giorni dall’apposizione del visto di cui al comma 1, il concessionario della riscossione, in caso di mancato reperimento del veicolo a motore indicato nel visto stesso, richiede alla direzione regionale delle entrate competente in relazione al luogo in cui si procede all’esecuzione di disporre il fermo del mezzo; i sessanta giorni decorrono dalla data del verbale di pignoramento negativo o insufficiente nel caso in cui il concessionario si sia avvalso della facoltà di cui all’articolo 3. La richiesta dell’emanazione del provvedimento di fermo non esonera il concessionario dall’obbligo di porre in essere le ulteriori azioni esecutive prescritte dalle norme vigenti. Tali norme, dunque, procedimentalizzano i rapporti informavi tra ufficio finanziario e concessionario per la riscossione, anche ai fini degli incarichi (ruoli) affidate al quest’ultimo (ex art. art. 79, c.4, cit. trascorso il termine dei 90 giorni dalla ricezione del verbale di pignoramento negativo o incapiente senza che l’ufficio o l’ente abbia apposto il proprio visto, il concessionario è autorizzato a presentare la domanda di rimborso o di discarico, fermo restando quanto previsto dall’art. 80), ma da essi non si trae conferma alcuno per la tesi che vorrebbe – a pena di invalidità – che solo la procedura esecutiva negativa potrebbe legittimare una misura cautelare.
L’art. 86 d.p.r. n. 602/1973, in tema di fermo di beni mobili registrati, dispone testualmente quanto segue: “1. Decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza“. Maturato il termine ex art. 50, al netto dell’omissione della comunicazione preventiva ex art. 86, c. 2, cit., non vi sono altre disposizioni che potrebbero costituire ragioni di validità dell’inizio della procedura di iscrizione del fermo sui beni mobili registrati.
4. Infondato è il vizio di motivazione del preavviso di fermo.
Per la giurisprudenza di legittimità (C., VI, n. 22018/2017, Rv. 645719) il preavviso di fermo amministrativo, redatto in conformità al modello ministeriale, è correttamente motivato mediante richiamo agli atti presupposti, che, in quanto già destinati alla stessa parte, sono da questa conosciuti o conoscibili, e non necessitano perciò di allegazione all’atto impugnato. Come dedotto dall’ADR la comunicazione impugnata conteneva l’indicazione della cartella di pagamento presupposta (notificata al contribuente), il carico iscritto a ruolo (notificato e non pagato), l’indicazione del debito scaduto e della sua composizione, le causali dello stesso, la descrizione degli importi inevasi, le modalità di estinzione della posizione debitoria, unitamente all’avvertimento che, nell’ipotesi di mancato adempimento nel termine fissato, si sarebbe proceduto all’emanazione del provvedimento di fermo e alla sua iscrizione al P.R.A., con indicazione dei termini e le modalità di impugnazione dello stesso. Motivazione adeguata e sufficiente rispetto all’adozione della misura in parola.
5. Infondati anche i motivi tesi ad accreditare la sproporzione tra il fermo ed il credito per cui si procede e la violazione degli artt. 76 e 77 d.p.r. n. 602/1973.
Non solo l’art. 86 DPR 602/73 non contiene riferimenti a criteri di proporzionalità per legittimare l’atto di fermo, ma parte contribuente ha svolto lamentele del tutto generiche, senza dettagliare il valore del veicolo oggetto del preavviso, la sproporzione rispetto al debito, il danno derivante dalla stessa. In tali condizioni non emerge alcuna irragionevolezza del fermo amministrativo in relazione alla sua funzione di misura cautelare. L’ipotizzata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 76 e/o 77 DPR 602/73, infine, contraddice la specialità della previsione dell’art. 86 cit., l’unica pertinente al fermo di cui si discute.
In merito alle spese, l’appellante, quale parte soccombente, deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate in euro 240,00.
Respinge l’appello e condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite che liquida in 240,00 euro.
Firenze, 15 aprile 2022
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