Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sez. 3 sentenza n. 2 del 3 gennaio 2022
IVA – compensazione – procedure concorsuali
Con atto ritualmente notificato e depositato, l’Agenzia delle Entrate di Pisa ha proposto appello avverso la sentenza n. 360/03/2019 della CTP di Pisa, depositata il 24.07.2019 con la quale è stato annullato il provvedimento di sospensione rimborso prot. 50XXX.
La vicenda contenziosa muove dall’istanza presentata il 27.4.2018 dalla società appellata all’Agenzia delle Entrate di Pisa per il rimborso di euro 256.875,00 a titolo di Iva per l’a.i. 2017. La società era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Lucca con sentenza del 30.6.2008, “a seguito del mancato raggiungimento delle maggioranze dei creditori relativamente alla domanda di concordato preventivo depositato in data 14.4.07, ammesso in data 7.5.2007 presso il Tribunale di Lucca competente per luogo”. In data 6.08.2018 l’Ufficio eccepiva la compensabilità tra il credito Iva chiesto a rimborso e la cartella di pagamento n. 087201100XXX0, relativa ad Ires 2007, ricompresa nel periodo prefallimentare da cui emergeva un debito verso l’Erario per complessivi euro 437.715,84 oltre interessi e sanzioni e di cui risultava riscossa una somma pari a euro 31.899,59, per cui in data 22.08.2018 l’Ufficio, con provvedimento notificato, disponeva la sospensione del rimborso richiesto.
La società impugnava il provvedimento di sospensione innanzi alla CTP di Pisa deducendo motivi con i quali, rilevando che l’Agenzia avesse già precisato il proprio credito in sede di procedura fallimentare anche con riguardo a contenziosi fiscali pendenti e quindi con riserva ottenendo il pagamento di euro 4.810.000,21 in base alla proposta di concordato fallimentare poi omologata dal Tribunale con definizione, quindi, di tutti i crediti antecedenti alla procedura stessa, sosteneva che la cartella di pagamento non risultava ammessa al passivo della procedura fallimentare non essendo stata depositata alcuna domanda di ammissione da parte dell’Agenzia delle Entrate. Il richiamo di quest’ultima alla consecutività tra la procedura fallimentare e la procedura del concordato preventivo sarebbe venuta meno per la mancanza della domanda di ammissione al passivo, elemento sostanziale di riconoscimento ai fini della legge fallimentare. Secondo gli effetti del concordato fallimentare omologato dal Tribunale di Lucca ai sensi dell’art. 124 della legge fallimentare, ed alla luce dell’art. 135 della legge predetta, al credito vantato dall’Agenzia delle Entrate per la cartella richiamata non si estendevano le garanzie date nel concordato da terzi. L’Agenzia delle Entrate non poteva quindi utilizzare il credito in compensazione non estendendosi le garanzie del terzo, tra cui poteva considerarsi l’attivo fallimentare messo a disposizione del concordato, mancando appunto la domanda di ammissione al passivo richiamato dall’art. 135 della l.f.
L’ufficio fiscale controdeduceva evidenziando che nel caso di specie non potesse negarsi la compensazione tra il credito Iva della società sorto dopo la dichiarazione di fallimento e il debito risultante dalla cartella di pagamento in quanto relativo al periodo pre-fallimentare dal momento che il fallimento risultava dichiarato in base all’accertamento dell’evoluzione negativa di quel medesimo stato di insolvenza che aveva determinato il ricorso al concordato e che, pertanto, dette procedure dovevano intendersi finalizzate ad affrontare la medesima crisi ritenuta in un primo momento suscettibile di regolazione attraverso un accordo con i creditori e successivamente risultata tale da condurre alla liquidazione fallimentare. La cartella di pagamento era relativa a un periodo in cui già si era manifestata la crisi e pertanto, alla luce della consecutività tra le procedure, detta cartella non poteva non apparire omogenea con il credito successivo, per cui non vi erano ostacoli alla compensabilità tra le il debito risultante dalla cartella di pagamento e il credito Iva.
La CTP accoglieva il ricorso di parte ricorrente ritenendo non accordabile la compensazione eccepita dall’Agenzia delle Entrate in quanto ove fosse consentita violerebbe il principio di concorsualità dei creditori fissato dall’art. 52 l.f., in base al quale i creditori cosiddetti concorsuali, cioè tutti quelli anteriori al fallimento, non solo hanno il diritto ma anche l’onere, qualora volessero tentare di conseguire il soddisfacimento dei loro crediti, di partecipare al concorso secondo le regole del diritto fallimentare, vale a dire tramite il previo accertamento del passivo di cui al capo V° della legge fallimentare. Ritenevano, inoltre, i giudici quanto all’opponibilità del credito erariale all’assuntore del concordato, che presupposto per il riconoscimento del credito nei confronti della massa fallimentare era l’avvenuto accertamento dell’esistenza del credito nel procedimento e che il terzo assuntore ex art. 124 l. f. non era tenuto a garantire i crediti non ammessi al passivo.
Con l’atto di appello l’Agenzia censura la decisione dei primi giudici sostenendo che, pur concordando essi con la tesi sostenuta dall’Ufficio fiscale sull’applicazione del principio di consecutività delle due procedure concorsuali nel caso di ammissione da parte del Tribunale della domanda di concordato preventivo cui segua la dichiarazione di fallimento per effetto della mancata approvazione dei creditori – quando si verifichi a posteriori che lo stato di crisi in base al quale era stata chiesta l’ammissione al concordato in realtà coincideva con lo stato di insolvenza per cui l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento va retrodatata alla data della presentazione della predetta domanda – essi errerebbero nel ritenere non accoglibile l’eccezione di compensazione fatta valere dall’Ufficio a seguito dell’istanza di rimborso avanzata dalla società, per mancata insinuazione al passivo fallimentare da parte medesimo Ufficio, ritenendo ciò una violazione della par condicio creditorum. Il credito Iva vantato dalla società e il debito della stessa derivante dalla cartella di pagamento sarebbero crediti e debiti tra loro compensabili in ragione della continuità delle procedure e della retrodatazione degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto riferibili al medesimo momento temporale e, quindi, non rientranti nel divieto di compensazione tra crediti e debiti verso il fallito e crediti e debiti verso la massa fallimentare, non occorrendo che il credito fiscale debba essere insinuato al passivo fallimentare al fine del suo accertamento. Richiama, in proposito pronunce della Corte di Cassazione.
Non si verificherebbe, inoltre, alcuna violazione del principio della par condicio creditorum essendo lo stesso legislatore ad ammettere con l’art. 56 l.f. l’istituto della compensazione in ambito fallimentare e che questo costituirebbe di per sé una deroga al principio stesso. L’eccezione di compensazione si limiterebbe del resto a paralizzare la domanda della curatela per quanto nei limiti dei rispettivi crediti e non a recuperare l’eventuale eccedenza rimasta a proprio favore, solo per la quale varrebbero necessariamente le ordinarie regole del concorso fallimentare.
Gli stessi giudici di prime cure si contraddirebbero, peraltro, anche nel momento in cui affermano che per dottrina e giurisprudenza prevalenti, l’assuntore del concordato fallimentare è responsabile anche nei confronti dei creditori non insinuati al passivo fallimentare.
Controdeduce la società appellata la quale, richiamando preliminarmente gli eventi anteriori legati all’impugnato provvedimento si sospensione del rimborso IVA richiesto e le argomentazioni addotte in sede di ricorso, insiste nel sostenere che la pretesa compensazione, ove accordata, violerebbe i principi di concorsualità dei creditori di cui all’art.52 della legge fallimentare che prevede espressamente che “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito” e questo al fine di attuare il principio della par condicio creditorum in base ai quali i creditori hanno non solo il diritto ma l’obbligo di partecipare al concorso secondo le regole del diritto fallimentare e quindi tramite l’accertamento del passivo; donde la necessità dell’ammissione al passivo del credito erariale opposto in compensazione. L’appellata società richiama, ancora, il fatto che l’Ufficio fiscale avesse precisato il credito su espressa richiesta del curatore definendo quindi lo stesso credito per l’esecuzione del concordato fallimentare, in parte declassando il credito fiscale in credito chirografario, cristallizzando il credito privilegiato riconducibile al fallimento, e quindi alla proposta di concordato fallimentare ex art. 124 l.f., e incassandone, successivamente l’intero importo, in euro 4.810.000,21. Da ciò conseguirebbe che il credito relativo alla cartella di cui l’Ufficio chiede la compensazione non risulterebbe un debito della massa fallimentare mancando la domanda di ammissione al passivo e, comunque, essendo pervenuta una precisazione ufficiale del credito privilegiato. Inconferente sarebbe il richiamo dell’Ufficio alla necessità di presentare la domanda di ammissione al passivo solo relativamente all’eventuale credito eccedente la compensazione essendo, appunto, il credito non compensabile per la mancanza di ammissione al passivo; come pure inconferente sarebbe il richiamo alla garanzia data nel concordato da terzi.
L’Appello è infondato.
Il credito di imposta preteso in compensazione dall’Agenzia delle Entrate (Ires 2007), per il quale è stato emesso il provvedimento di sospensione impugnato, non risulta sia stato inserito nella massa passiva del fallimento che ha interessato la società appellata. Del sul inserimento nella procedura di concordato, infatti, non è stata data alcuna prova. Risulta, per contro, che il concordato preventivo è stato aperto con provvedimento del Tribunale di Lucca depositato il 18 maggio 2007, ossia l’anno relativo al debito tributario non ancora maturato inserito nella cartella di pagamento la cui iscrizione a ruolo è del 12.5.2011, ossia circa tre anni dopo il deposito della sentenza dichiarativa di fallimento; pertanto, appare evidente che l’ammontare residuo di debito nei confronti dell’erario di euro 405.816,25 (dovuto al pagamento parziale di euro 31.899,59 da parte della società appellata) non sia stato inserito in quello insinuato come credito privilegiato nella procedura di fallimento, riconosciuto e accettato dall’Agenzia nell’importo di euro 4.810.000,21 in seguito al concordato fallimentare omologato dal Tribunale di Lucca il 16 marzo 2018, nonché riscosso dalla stessa Agenzia con tre quasi concomitanti bonifici. Per altro, dalle date sopra riportate appare evidente che il preteso credito dell’Agenzia, non potendosi considerare maturato – come sopra evidenziato – alla data dello stato di insolvenza della società appellata, da fare risalire a quella di apertura del concordato preventivo, non poteva ritenersi come avvenuto l’accertamento della sua esistenza da parte degli organi del fallimento e ciò vale a escludere l’opponibilità del credito medesimo al terzo assuntore del concordato che non è tenuto, infatti, per i crediti non ammessi al passivo e quelli non accertati come esistenti in sede di concordato fallimentare. Ma ammesso che tale credito dell’Ufficio fiscale fosse riconducibile retroattivamente allo stato di insolvenza certificato con la sentenza dichiarativa del fallimento, tale credito doveva ritenersi definito con il concordato fallimentare nei limiti della precisazione da parte dell’Agenzia dell’ammontare del proprio credito accettato nel concordato fallimentare.
Appare, pertanto, al Collegio inconferente il richiamo che fa l’Agenzia appellante all’art. 56 della legge fallimentare e alla giurisprudenza della Corte di Cassazione intervenuta sull’applicazione della stessa norma, come pure del principio di continuità tra le procedure concorsuali, non esistendo nella fattispecie crediti contrapposti attinenti al medesimo periodo temporale di riferimento, in applicazione del principio di consecutività delle due procedure concorsuali. Anzi, dall’ordinanza della Corte di Cassazione del 15.7.2016, n. 14615, richiamata dall’Agenzia appellante, è ricavabile un principio contrario all’ammissibilità della compensazione. Infatti, nel caso di specie emerge che l’Agenzia fiscale, a concordato fallimentare già definito e omologato, ha opposto un’eccedenza di credito fiscale verso il fallito (rispetto al credito concordato e ricevuto con il concordato fallimentare); eccedenza che la Corte di legittimità afferma non possa essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, bensì di autonomo procedimento di insinuazione al passivo. Con la conseguenza che la deduzione di un maggior credito opposta dal debitore di un fallito, convenuto con azione di adempimento dal curatore, determina l’attrazione dell’intera controversia nella competenza del tribunale fallimentare, solo quando il convenuto abbia richiesto in via riconvenzionale, previa compensazione a norma dell’art. 56 legge fallimentare, la condanna del fallimento al pagamento della differenza, mentre se l’eccezione è fatta valere al solo scopo di conseguire il rigetto della domanda della curatela, di essa può conoscere il giudice adito in sede ordinaria, secondo i criteri dettati dagli artt. 34 e 35 c.p.c., ancorché il credito opposto non abbia formato oggetto di verifica da parte del giudice delegato.
Va poi richiamato l’altro principio affermato sempre dalla Corte di Cassazione in base al quale la compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido o esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che è sufficiente che i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia (Sez. I^, sentenza 31.8.2010, n. 18915). Ma nel caso di specie manca questa condizione essendo maturato il credito della società fallita nell’anno di imposta 2017 e, pertanto, successivamente alla dichiarazione del fallimento.
Il credito relativo alla cartella di pagamento di che trattasi è da ritenere, pertanto, estraneo alla procedura fallimentare in questione e l’esercizio del potere di sospensione del pagamento del credito alla società contribuente in asserito esercizio del diritto di compensazione nella procedura fallimentare concreta una palese violazione del principio di par condicio creditorum per la ragione che con la compensazione del credito d’imposta IVA 2017 vantato dalla contribuente con il debito di imposta IRES a.i. 2007 l’Agenzia modificherebbe unilateralmente ex post la proposta di concordato fallimentare accettata e già omologata dal Tribunale di Lucca, lucrando sulla massa passiva fallimentare un maggiore introito monetario per un credito non ivi insinuato e, quindi, al di fuori della stessa procedura fallimentare in violazione dell’art. 135 della legge fallimentare il cui primo comma recita che il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento, compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo. A questi però non si estendono le garanzie date nel concordato da terzi.
L’appello, in conclusione, va respinto con condanna dell’Agenzia appellante alle spese del presente grado.
La Commissione respinge l’appello e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente grado che liquida in euro 5.000,00 oltre accessori di legge.
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