Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sezione 4 sentenza n. 1394 depositata il 9 ottobre 2019
Accisa in caso di produzione di energia elettrica – esenzione
Svolgimento del Processo
La Commissione Tributaria Provinciale di Arezzo con la sentenza oggi impugnata ha respinto il ricorso promosso contro l’avviso di pagamento prot. A XX00/2016 e l’atto di contestazione n. XXX00-XX-2016, emessi dall’Agenzia delle Dogane e monopoli per recuperare l’accisa indebitamente non corrisposta da C. S. srl (da ora in poi definita solo C.) sull’energia elettrica venduta nella provincia di Arezzo negli anni 2004, 2005, 2007, 2008, 2009 e 2010, e per irrogare le conseguenti sanzioni.
Entrambi gli atti sono la diretta conseguenza del processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza – Nucleo Polizia Tributaria Venezia, in data 14.07.2011, al termine di una lunga verifica, nel corso della quale i militari avrebbero scoperto che l’odierna appellante si “era applicata” in maniera illegittima l’agevolazione prevista dall’art 52, comma 3, lett b) del D.lgs. 504/95, con la conseguenza di non aver pagato l’accisa sull’energia elettrica immessa in consumo in numerose provincie d’Italia.
Ed infatti, l’articolo 52, comma 3, lettera b) del D.lgs. 504/95 consentirebbe l’esenzione dal pagamento dell’accisa soltanto all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili con potenza superiore a 20 KW, purché consumata dalle stesse imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, presupposti che nel caso in esame non si sarebbero verificati.
I militari, al contrario, avrebbero, invece, accertato che la C. non produceva e non consumava energia elettrica, limitandosi in realtà ad acquistare la medesima per poi rivenderla ai consorziati in virtù di veri e propri contratti di fornitura-somministrazione.
Si constatava, quindi, all’odierna appellante l’indebita fruizione dell’agevolazione, procedendo di conseguenza, sulla base delle dichiarazioni di consumo redatte annualmente dalla società, alla determinazione, provincia per provincia, della quantità di energia elettrica immensa in consumo senza versare l’accisa, in modo da permettere ai singoli uffici delle dogane di procedere ai recuperi di competenza.
Avuto specifico riguardo alla provincia di Arezzo, si chiarisce che l’Ufficio ha emesso l’avviso di pagamento prot. A XX00/2016 per euro 3.613,83 a titolo di accisa dovuta e non corrisposta negli anni 2004, 2005, 2007, 2008, 2009 e 2010 (oltre interessi ed indennità di mora per un totale di euro 4.090,59), mentre con l’atto di contestazione XXX00-XX-2016 il medesimo ufficio ha applicato la sanzione amministrativa ex art 13 del D.lgs. 471/97 pari ad euro 1.088,48, come conseguenza degli omessi versamenti.
Contro la sentenza, che ha sposato, di fatto, le tesi dell’ufficio, la contribuente ha proposto appello tempestivamente per i seguenti motivi:
1. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impositivi per violazione dei principi di buona fede e della tutela dell’affidamento con conseguente violazione dell’art 97 della Costituzione in quanto, nel caso di specie, in più occasioni, l’Agenzia delle Dogane avrebbe analizzato il caso concreto dell’appellante confermando:
a – da un lato, che C. è un’impresa di autoproduzione;
b – dall’altro lato, che l’energia elettrica, prodotta da fonti rinnovabili e consumata dai propri soci consorziati, è esente dell’imposta erariale di consumo e dall’accisa.
Pertanto, in questi casi, in cui il contribuente opera in totale buona fede ed, anzi, adotta un comportamento in ossequio alle indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria, la Corte di Cassazione è chiarissima nell’affermare che «il legittimo affidamento del contribuente può ravvisarsi anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dall’art 10, II comma, l. 27 luglio 2000 n. 212 e dal suo accertamento può derivare – OLTRE ALL’INAPPLICABILITÀ DELLE SANZIONI E DEGLI INTERESSI MORATORI – ANCHE L’INESIGIBILITÀ TOUT COURT DELLA PRESTAZIONE TRIBUTARIA» (Cass. civ., 10 dicembre 2002, n.17576: doc. n. 6 in atti).
In ogni caso, l’appellante segnala la contraddittorietà dell’argomentare dei Giudici di primo grado laddove:
– da una parte, hanno riconosciuto che «la ricorrente va esente dalle sanzioni pecuniarie e dagli interessi di mora»;
– dall’altra, hanno rigettato il ricorso confermando la legittimità degli interessi e delle sanzioni irrogate con gli atti in epigrafe specificati. In altri termini, in virtù della premessa secondo la quale «la ricorrente va esente dalle sanzioni pecuniarie e dagli interessi di mora» i Giudici di primo grado avrebbero dovuto accogliere – quanto meno parzialmente – il ricorso.
2. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impositivi per violazione dell’art. 11 della legge n. 212/2000 e l’art 5 del d.m. 26 aprile 2001, n. 209, dovendo considerare nulli gli atti impositivi elevati in difformità della risposta fornita dall’Ufficio a prescindere dai formalismi dell’interpello. In ogni caso, poi le richieste di C. e le risposte fornite dall’Ufficio sarebbero state comunicate nel pieno rispetto di tutti i criteri formali previsti dalla circolare n. 25/D del19 giugno 2001 per la procedura di interpello.
3. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impositivi per violazione ed errata applicazione degli artt. 52 e 53 del d.lgs. n. 504/1995, nonché in ragione della natura giuridica della società e del suo diritto a godere dell’esenzione da accisa ai sensi degli artt. 52, comma 3, lett b), del d.lgs. n. 504/1995 e 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999.
In estrema sintesi:
a) l’esenzione dall’ accisa riconosciuta alle “imprese di autoproduzione” ai sensi dell’art. 52, co. 3, del T.UA. (modificato dalla Legge n. 388/2000) non può che applicarsi agli auto-produttori da fonti rinnova bili di cui al D.lgs. n. 79/1999 (compresi quindi consorzi e società consortili) quali unici soggetti aventi continuità con le imprese di autoproduzione già contemplate nel quadro normativa antecedente al D.lgs. n. 79/1999;
b) il legislatore non richiede affatto che l’autoproduttore disponga di una specifica organizzazione aziendale produttiva ovvero della proprietà di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.
4. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impugnati per eccesso di potere e disparità di trattamento e conseguente illegittimità delle sanzioni per carenza di presupposto.
5. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità e/o nullità degli atti impugnati per difetto di competenza. L’ufficio delle dogane di Milano, infatti, sarebbe privo della competenza necessaria per elevare gli atti.
6. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità e/o nullità degli atti impugnati per difetto di legittimazione passiva.
c) non sarebbe soggetto passivo di imposta e questo seguendo banalmente il ragionamento dell’Ufficio.
7. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impugnati per difetto di motivazione: la motivazione degli atti sarebbe del tutto insufficiente e contradditoria così da ravvisarsi un’ipotesi di eccesso di potere.
8. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impugnati per carenza specifica di motivazione con riferimento alle osservazioni presentate dalla società violando l’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 e l’art. 3 della legge n. 241/1990.
9. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità della tesi sostenuta dalla guardia di finanza, implicitamente condivisa dall’ufficio negli atti impugnati, quanto all’asserita simulazione di negozi giuridici.
10. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impugnati quanto alla pretesa a titolo di interessi. La richiesta di interessi sarebbe totalmente infondata alla luce del legittimo affidamento della ricorrente. Oltre a ciò, si evidenzia che la pretesa a titolo di interessi sarebbe illegittima in quanto non motivata.
11. Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità degli atti impugnati per violazione ed errata applicazione dell’art 57, d.lgs. n. 504/1995. Avuto riguardo, infatti, al motivo di ricorso n. 12 (prescrizione del credito), la sentenza di primo grado si sarebbe espressa erroneamente e senza fondamento alcuno nei seguenti termini: «circa la ribattuta questione inerente la prescrizione, il Collegio osserva che il termine sia di cinque anni, ma in ipotesi di comportamenti omissivi, come nel caso di specie, la prescrizione opera dal momento dell’emersione del fatto illecito».
12. Ad ogni buon conto, e per mero tuziorismo, si contesta, da ultimo il contenuto dei PVC datati 14luglio 2011, sia in linea fatto, sia in linea di diritto.
In conclusione, nella denegata ipotesi in cui questa Commissione ritenesse fondata la pretesa azionata con gli atti impugnati, si chiede la condanna dell’Agenzia delle Dogane al risarcimento del danno ai sensi degli articoli 2041 e 2043 del codice civile e si ribadisce l’illegittimità e/o nullità degli atti impugnati per difetto di sottoscrizione.
Conclude l’appellante nei seguenti termini, chiedendo:
in via principale di dichiarare l’illegittimità totale o parziale, e per l’effetto annullare i provvedimenti impugnati, nonché ogni altro atto presupposto, connesso o successivo per i motivi indicati nel presente ricorso; in via subordinata: condannare l’Agenzia delle Dogane al risarcimento del danno; in ogni caso: condannare l’Agenzia delle Dogane, Ufficio delle dogane di Arezzo, al rimborso delle somme eventualmente percette nelle more del processo, maggiorate degli interessi legali, e al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, anche con distrazione ex art. 93 c.p.c.
Nel giudizio di appello si è costituito l’ufficio chiedendo l’integrale conferma della sentenza di primo grado, nella quale i primi giudici hanno respinto in toto il ricorso di controparte, ribattendo punto per punto alle doglianze sollevate e riconoscendo la piena correttezza dell’operato dell’amministrazione finanziaria.
Quest’ultimo, muovendo dall’assunto che, di fatto, né l’odierna ricorrente, né, tanto meno i suoi soci consorziati, hanno mai provveduto alla produzione di energia elettrica e che in definitiva parte appellante in ordine all’energia elettrica ceduta ai propri consorziati non poteva che rivestire la qualifica di “fornitore”, alias cliente grossista, ribadisce, infatti, che l’accisa doveva essere pagata.
Avuto riguardo ai singoli motivi di appello, in particolare, rileva quanto segue.
Avuto riguardo al primo motivo di ricorso l’ufficio, confermando la debenza del tributo, esclude che per C. sussistessero i presupposti per il riconoscimento del legittimo affidamento ex art 10 della L. 212/2000. L’amministrazione, infatti, avrebbe sempre invitato gli uffici a procedere al recupero non solo dell’accisa non corrisposta, ma anche degli interessi, dell’indennità di mora e delle sanzioni. Precisa, inoltre, che per gli altri consorzi è stato riconosciuto il legittimo affidamento per sanzioni, interessi ed indennità di mora, dal momento che la produzione di energia elettrica, benché non esercitata direttamente dai consorzi medesimi, veniva comunque svolta da un soggetto avente la qualità di socio.
Chiarisce, poi, l’Ufficio che dall’esame delle sentenze di legittimità possiamo, affermare la presenza di un univoco e più che consolidato orientamento rispetto a quello prospettato dalla contribuente secondo cui le conseguenze sul rapporto tributario, correlate alla situazione di legittimo affidamento, attengono soltanto alla esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori, ma non incidono sulla debenza del tributo, in quanto l’insorgenza della obbligazione dipende, in via esclusiva, dall’obbiettivo realizzarsi dei presupposti impositivi prescindendo dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale (Cass. 5934/2015, Cass. 15224/2012, Cass. 16692/2013, Cass. 3245/2013, Cass. 2192/2012, Cass. 21070/2011, Cass., 21970/2011).
Tornando al caso concreto si precisa che l’Ufficio delle Dogane di Arezzo non avrebbe mai autorizzato la C. a non pagare l’accisa ex art. 52, comma 3, let. b) né le avrebbe mai fornito istruzioni o rilasciato la licenza d’esercizio come autoproduttore o anche solo come produttore di energia elettrica. L’Ufficio, infatti, ha concesso alla C. solo il codice accisa ARE00328T come “cliente grossista che immette in consumo”, il quale la autorizzava esclusivamente a vendere energia elettrica in provincia di Arezzo, inserendola a pieno titolo proprio tra i soggetti obbligati a pagare l’accisa ex art. 53 del D.lgs. 504/95.
Avuto riguardo al paragrafo dell’appello contraddistinto dal numero 2), l’ufficio precisa, poi, che la C. non ha mai presentato un’istanza di interpello a nessun ufficio delle dogane su nessun argomento, tanto meno sul regime fiscale applicabile alla sua fattispecie, con l’ovvia conseguenza di pretendere in maniera indebita l’applicazione di quanto prevede l’articolo 11, mancando nel caso concreto tutti i requisiti prescritti dal legislatore.
Limitatamente alla doglianza sollevata riguardo alla definizione di autoproduttore di energia elettrica, che controparte vorrebbe impropriamente mutuare dal D.lgs. 79/99, l’ufficio replica che l’autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili non sconta l’accisa nel momento in cui consuma o meglio autoconsuma l’energia. In altre parole, per il riconoscimento dell’agevolazione tributaria per cui è causa devono essere strettamente correlate l’attività di produzione di energia elettrica e l’utilizzo della stessa per il soddisfacimento del ·fabbisogno della propria attività imprenditoriale. Attività imprenditoriale che deve essere diversa e quindi altro rispetto a quella di cessione dell’energia elettrica a terzi consumatori finali ancorché legati al produttore sulla base di liberi rapporti associativi o per l’appartenenza al medesimo gruppo societario. Nel caso di specie, invece, l’unica attività di C. era quella di acquisire energia elettrica prendendo in locazione imprese dedite appunto alla produzione di energia elettrica, peraltro mediante contratti in cui si prevedeva che il locatore continuasse ad effettuare l’esercizio tecnico e amministrativo dell’impianto di produzione provvedendo alla manutenzione ordinaria e straordinaria. L’energia veniva, quindi, ceduta ai clienti consorziati, i quali divenivano tali sottoscrivendo una quota sociale uguale per tutti e pari ad euro 1,00 e che venivano approvvigionati in ragione di quelle che erano le loro effettive esigenze di consumo. Clienti che erano, infine, destinatari di fatture di vendita imponibili ai fini IVA in ossequio a veri e propri contratti di somministrazione.
In ordine alla presunta illegittimità degli atti impugnati, ed in particolare delle sanzioni per eccesso di potere, disparità di trattamento e per carenza di presupposto, l’Ufficio richiama ancora la nota prot. XXX/ru/2015 (All. 4) emessa dalla Direzione Centrale di questa Agenzia proprio al termine dell’istruttoria avviata a livello nazionale per valutare l’istanza di controparte finalizzata ad ottenere il riconoscimento del legittimo affidamento. Come già ampiamente illustrato, all’esito dei controlli era emerso che la C. (a differenza degli altri consorzi) non si era limitata ad utilizzare in maniera impropria un concetto extratributario di autoproduttore per ottenere degli indebiti vantaggi: era emerso, infatti, che la medesima non aveva mai prodotto energia elettrica, che veniva semplicemente acquistata e poi rivenduta ad altri soggetti giuridici in base al loro bisogno nell’ambito di un vero e proprio contratto di fornitura-somministrazione, così: “Per tali considerazioni ed in presenza dei soprarichiamati presupposti, ferma restando la debenza del tributo, si ritiene che per la società C. non possono sussistere le condizioni per l’applicazione di quanto previsto dal comma 2 dell’art 10 della L. 212/2000 per il riconoscimento del legittimo affidamento con riferimento alle sanzioni, ai relativi interessi e all’indennità di mora”.
Per quanto riguarda i punti dell’appello contraddistinti dai numeri 5 e 6, l’Ufficio, come già avvenuto in primo grado, rifiuta il contraddittorio essendosi la parte limitata a “statuire” senza motivare e/o circostanziare.
In ordine al presunto difetto di motivazione degli atti impugnati, esso richiama integralmente quanto attestato dai giudici di prime cure. Anche in questa sede si precisa comunque che l’Ufficio non ha mai ricevuto delle memorie dalla società né in data 09.09.2011 né successivamente, pertanto ogni doglianza in proposito è priva di fondamento. Si ribadisce, inoltre, che entrambi gli atti sono stati puntualmente motivati per relationem, richiamando il verbale del 14.07.2011, nel quale la Guardia di Finanza ha esposto con dovizia di particolari tutti i presupposti delle conclusioni raggiunte, le quali sono state recepite in toto dallo Scrivente.
Facendo seguito alla parte dell’appello contraddistinta dal numero 6 (pagg. 66 e ss.), l’Ufficio si limita a rammentare che il nomen iuris scelto dai contraenti non determina la natura del contratto e quindi la disciplina applicabile: occorre, invece, accertare la reale sostanza dei rapporti stipulati tra le parti al fine di individuare la presenza di quelli che sono gli elementi caratterizzanti la fattispecie concretamente posta in essere. Nel caso in esame, la Guardia di Finanza, in ossequio al principio testé esposto, ha scoperto che C. non ha mai prodotto energia elettrica non avendo officine di proprietà e non avendone mai preso in locazione una.
In ordine alla presunta prescrizione, si rileva che l’art 57 del D.lgs. 504/95, ricalcando le previsioni dell’art 15 del medesimo decreto legislativo, prevede non solo che il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo, ma specifica che in caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito.
Nel caso concreto la scoperta degli omessi pagamenti è coincisa con la redazione del verbale, quindi la prescrizione ha iniziato a decorrere dal 14.07.2011 ed è spirata il 14.07.2016, cosicché l’Ufficio con gli atti del 17.05.2016 notificati il 24.05.2016 avrebbe correttamente agito entro i termini previsti.
Non solo: il comma 4 dell’articolo 57 stabilisce che la prescrizione è interrotta quando viene constatata la violazione e ricomincia a decorrere dal giorno in cui diventa definitivo l’atto che conclude il procedimento.
Quanto premesso la prescrizione nel caso concreto sarebbe comunque stata interrotta a far data dal 14.07.2011 e, non essendo divenuti definitivi gli atti impositivi, ancora non ha ripreso a decorrere.
Quanto rappresentato troverebbe conferma nella sentenza della Corte di Cassazione n. 27670/2013.
Da ultimo, in ordine al presunto obbligo risarcitorio, parte appellata rammenta che l’Ufficio non ha mai avallato né implicitamente né esplicitamente la condotta posta in essere da C., la quale è stata sempre “gestita” al pari di un qualunque altro cliente grossista.
Motivi della decisione
L’appello non merita accoglimento e la sentenza dei primi giudici deve essere confermata.
Avuto riguardo ai punti 1 e 2 dell’appello, questo collegio, conformemente alla Commissione tributaria provinciale di Arezzo, osserva che il legittimo affidamento maturato dalla società contribuente in dipendenza di errori riconducibili all’attività dell’Ufficio, trova specifica tutela nell’art 10, secondo comma, Legge n. 212/2000 ed è espressione di un principio di carattere generale che trova riconoscimento in norme di rango costituzionale quali gli artt. 3, 53 e 97. La situazione di legittimo affidamento, come la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare (ex multis: C.13/25966; C.11/23309), deve essere ravvisata sempre con riferimento al singolo caso concreto, qualora emergano elementi circostanziali da cui sia dato rilevare: a) l’apparente legittimità e coerenza dell’ufficio in senso favorevole al contribuente; b) la buona fede dello stesso, intesa quale condotta connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo.
Nel caso che ci occupa, emerge dagli atti di causa, che l’Ufficio delle Dogane di Arezzo non ha mai autorizzato la C. a non pagare l’accisa ex art. 52, comma 3, lett b), né le ha mai fornito istruzioni o rilasciato la licenza d’esercizio come autoproduttore o anche solo come produttore di energia elettrica. L’Ufficio, infatti, ha concesso alla C. solo il codice accisa ARE00328T come “cliente grossista che immette in consumo”, il quale la autorizzava esclusivamente a vendere energia elettrica in provincia di Arezzo, inserendola a pieno titolo proprio tra i soggetti obbligati a pagare l’accisa ex art. 53 del D.lgs. 504/95.
C., poi, non ha mai presentato un’istanza di interpello a nessun ufficio delle dogane, su nessun argomento, tanto meno sul regime fiscale applicabile alla propria fattispecie, con l’ovvia conseguenza di pretendere in maniera indebita l’applicazione di quanto prevede l’articolo 11, mancando nel caso concreto tutti i requisiti prescritti dal legislatore.
Relativamente al punto n. 3, la Commissione conviene con l’ufficio circa il fatto che per il riconoscimento dell’agevolazione tributaria per cui è causa, l’attività di produzione di energia elettrica e l’utilizzo della stessa per il soddisfacimento del fabbisogno della propria attività imprenditoriale devono essere strettamente correlate. L’attività imprenditoriale, poi, deve essere diversa rispetto a quella di cessione dell’energia elettrica a terzi consumatori finali ancorché legati al produttore sulla base di liberi rapporti associativi o per l’appartenenza al medesimo gruppo societario.
Nel caso di specie, invece, l’unica attività di C. è quella di acquisire energia elettrica prendendo in locazione imprese dedite appunto a tale attività, peraltro mediante contratti in cui si prevede che il locatore continui ad effettuare l’esercizio tecnico e amministrativo dell’impianto di produzione, provvedendo alla manutenzione ordinaria e straordinaria. L’energia viene, quindi, ceduta ai clienti consorziati, i quali diventano tali sottoscrivendo una quota sociale uguale per tutti e pari ad euro 1,00 mentre vengono approvvigionati in ragione di quelle che sono le loro effettive esigenze di consumo, risultando, poi, destinatari di fatture di vendita imponibili ai fini IVA in ossequio a veri e propri contratti di somministrazione.
Avuto riguardo al punto n. 4, come già sottolineato dai primi giudici, non si ravvisa nessun “eccesso di potere” da parte della Dogana dal momento che la stessa ha applicato le sanzioni previste come conseguenza degli omessi versamenti di imposta.
Limitatamente ai punti 5 e 6, si ritiene l’eccezione di incompetenza generica e priva di fondamento così come deve ritenersi incomprensibile e non motivata l’eccezione relativa all’assenza della legittimazione passiva di C..
Circa i punti 7 e 8, la Commissione condivide con i primi giudici che occorra fare riferimento al principio espresso dalla Suprema Corte (C.12/4523; C. 11/21119) secondo cui in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, ma, semplicemente essa sottintende che l’Ufficio stesso, condividendo le conclusioni contenute nel PVC, ha inteso realizzare una economia di scrittura. Gli atti in questione, avendo riguardo, in particolare, alla circostanza che si tratta di elementi già noti alla contribuente e al fatto che la stessa abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati, non arrecano, dunque alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio e all’esercizio del diritto di difesa.
Al contempo, non si ravvisa alcuna violazione in riferimento all’art. 12 della L. n. 212/2000, avendo condiviso, in toto, il verbale redatto in data 14.07.2011 dalla Guardia di Finanza.
Limitatamente al punto n. 9) anche questa Commissione ritiene di dover mutuare quanto sostenuto dalla CTP di Lecce che, con sentenza n. 2033/04/2016, ha rilevato:” … l’Ufficio ha fondatamente considerato simulati i contratti di affitto di azienda con cui sarebbe stata acquisita la disponibilità di impianti sulla base della circostanza che al contrario di quanto fittiziamente risultava, la gestione tecnica ed amministrativa di tali impianti non è mai stata (effettuata) dalla C., ma essa è rimasta in capo ai simulati concedenti, né quello dell’autoconsumo atteso che la ricorrente vendeva a terzi l’energia elettrica acquistata sicché non sussisteva alcuno scopo mutualistico, ma un’attività commerciale avente finalità lucrativa”.
Anche l’eccezione sollevata al punto n. 10) deve essere respinta in quanto gli interessi sono stati liquidati correttamente sulla base dell’art 4 del decreto legislativo n. 504/1995.
Punto 11): circa la ribattuta questione inerente la prescrizione, il Collegio osserva che il termine è di cinque anni, ma in ipotesi di comportamenti emissivi, come nel caso di specie, la prescrizione opera dal momento dell’emersione del fatto illecito. In questo caso essa decorre, quindi, dal 14 luglio 2011, ovvero dalla scoperta dell’inadempimento, ed è spirata il 14 luglio 2016.
Essendo l’atto in questione notificato in data 24 maggio 2016, si ritiene pertanto corretto e legittimo l’operato dell’Agenzia delle Dogane.
Ogni altra questione è assorbita.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Conferma la sentenza di primo grado. Condanna la contribuente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 2.000,00 (duemila).
Così deciso in Firenze, nella Camera di Consiglio del 12 settembre 2019
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sez. 2 sentenza n. 27 depositata l' 11 gennaio 2022 - In tema di IRAP, con riguardo all'attività professionale di avvocato, non può farsi discendere la sussistenza dell'autonoma organizzazione dalla sola…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18863 - Rientrano nell'esenzione delle Accise i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica, ma non estendendo l'esenzione agli appartenenti ai consorzi o…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 novembre 2019, n. 29169 - In tema di accise sull'energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 20088 depositata il 13 luglio 2023 - In tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con im- pianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kW,…
- Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 1394 depositata il 18 gennaio 2022 - Nel sistema del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 49 e segg., ed in particolare dell'art. 57 di quest'ultimo,…
- Commissione Tributaria Regionale per il Friuli Venezia Giulia, sezione 2, sentenza n. 4 depositata il 7 gennaio 2020 - Gli immobili collocati in un Porto Franco sono censibili nella categoria E soltanto se utilizzati per il servizio trasporti o per…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il dolo per il reato di bancarotta documentale non
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 42856 depositata il 1…
- Il giudice penale per i reati di cui al d.lgs. n.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44170 depositata il 3…
- E’ legittimo il licenziamento per mancata es
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30427 depositata il 2 novembre 2…
- Processo tributario: ricorso in cassazione e rispe
Ai sensi dell’art. 366 c.p.c. , come modificato dalla riforma Cartabia (le…
- In tema di IMU la qualità di pertinenza fonda sul
In tema di IMU la qualità di pertinenza fonda sul criterio fattuale e cioè sulla…