Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sezione 6 sentenza n. 780 depositata il 20 aprile 2018
notifica appello con pec – contenzioso tributario
Svolgimento del processo
La società ………. spa (acquirente) e …………. & C. sas (venditore), con separati ricorsi riuniti, hanno impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta suppletiva complessiva di euro 70.000 in relazione all’atto del 24/5/2011 di cessione di due impianti di distribuzione carburanti emessi dall’ Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Firenze sul presupposto che i valori relativi agli impianti tipici (serbatoi, erogatori, multi dispenser, pompe di rifornimento, pensiline ecc.). per i quali non esiste nell’atto di compravendita una descrizione puntuale, siano da assoggettare ad imposta di registro del 10% e ipotecarie e catastali proporzionali, in quanto tutt’uno con l’area su cui insistono e in cui sono incorporati, e quindi da considerare beni immobili.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze accoglieva il ricorso ritenendo che l’atto di compravendita contiene una differenziazione tra beni mobili e impianti e attrezzature attribuendo loro distinti valori e gli impianti di cui trattasi hanno una loro funzionalità, indipendente dall’area in cui sono collocati, come dimostra la relativa facilità con cui avviene la sostituzione di pompe, sistemi per le modalità di pagamento e elementi anche estetici, quali le pensiline, evidenziando con ciò il loro relativamente facile distacco dall’area su cui poggiano.
Ha presentato appello la Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Firenze deducendo che:
– E’ errata la pronuncia di prime cure nel ritenere che la differenziazione tra beni mobili ed immobili, effettuata dalla parte, escluda in ogni caso la classificazione prospettata dall’Amministrazione. Non si contesta, difatti, la separata indicazione dei corrispettivi per i beni costituenti il compendio aziendale – assunta, invece. dalla pronuncia che si impugna come elemento principale per sostenere la posizione di parte contribuente. La posizione dell’Ufficio si fonda sull’esame di quali siano i beni mobili che possono rientrare nella categoria degli impianti e delle attrezzature e se quei beni sommariamente descritti nella premessa dell’atto oggetto del presente procedimento possano considerarsi tali. Ebbene, nessuna descrizione puntuale di quali siano gli impianti e le attrezzature è stata fornita nell’atto di cessione.
– L’unico dato che rileva in tal senso, e che l’Ufficio ha utilizzato, è la sommaria descrizione dei beni che formavano oggetto dei due rami di azienda oggetto di cessione, nella specie per l’impianto di distribuzione sito nel Comune di Desio “un ampio piazzale, un fabbricato adibito a chiosco gestore, nonché quattro erogatori, due doppi e due singoli, due pensiline che coprono sia le due piste di rifornimento benzina e gasolio, sia la pompa per rifornimento GPL asservita da serbatoio di 30 metri cubi’:· e per l’impianto di distribuzione sito nel Comune di Treviso “un ampio piazzale, un fabbricato in parte adibito a chiosco gestore e in parte a bar; nonché cinque multi dispenser nuovi di marca ……. ad Otto pistole ciascuna agganciate a due dispositivi self-service; le piste di rifornimento sono coperte da una pensilina”.
– Detti beni sono beni immobili, anzitutto, perché non hanno un’autonoma rilevanza, ma devono essere considerati un tutt’uno con l’area su cui insistono e a cui risultano incorporati. Sono, cioè, artificialmente incorporati al suolo alla luce dell’art. 812 c.c . in maniera tale che un’eventuale loro rimozione ne altererebbe la natura sostanziale.
– La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “a norma del primo comma dell’art. 812 c.c., sono, tra l’altro, considerati immobili, gli edifici e le altrecostruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio. L ‘espressione legislativa, assai ampia e generica, altre costruzioni fa ritenere che essa sia stata usata per designare qualsiasi costruzione, a qualunque uso adibita, fatta con qualsiasi materiale. Non vale, pertanto a negare, ad un chiosco per ladistribuzione di carburante il carattere di costruzione ….. · (Cft. Cass., 20 luglio 1962, n. 1964). Ha anche precisato che “avuto riguardo alla formulazione dell’art. 812 c.c., che annovera tra i beni immobili tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo, sia ai precedenti storici, sono da classificare, anche attualmente tra i beni immobili i serbatoi, comunque incorporati al suolo, intesi non isolatamente (la massa d’acqua che in essi si raccoglie, ma come un tutt’uno con essa” (Cft. Cass., 7 febbraio 1966, n. 396).
– Inoltre la cessione dei due impianti di distribuzione nasceva con l’intento di consentire alla società acquirente …… S.p.a. l’utilizzi degli impianti così come infissi al suolo. E quest’unione (degli erogatori al serbatoio e al sottosuolo, degli impianti di self-service agli erogatori, ecc… ) che garantisce lo svolgimento e la prosecuzione dell’attività, mantenendo contemporaneamente inalterata la loro originaria funzionalità.
– La componente impiantistica, quale elemento qualificante l’immobile anche ai fini della classificazione catastale, viene considerata inscindibilmente dall’area su cui insiste. Sotto tale profilo le stazioni di rifornimento carburante sono classificate nella categoria E/3 – come nel caso di specie – risultando impossibile separare gli impianti dall’area senza la sostanziale alterazione del bene complesso che non sarebbe più impianto di distribuzione carburante, ma semplice area scoperta non classificabile nella categoria.
– Tale impostazione trova conforto nelle considerazioni espresse nella sentenza della Corte di Cassazione n. 3166 del 18/02/2015. La pronuncia è stata resa con riferimento ad un complesso industriale e nel giudizio si discuteva se la componente immobiliare dovesse ritenersi limitata al solo immobile oppure dovesse ricomprendere anche i macchinari a questo afferenti (in particolare il carroponte, l’impianto di aspirazione forni e l’impianto di colata). La Suprema Corte ha seguito un’impostazione del tutto analoga a quella proposta dall’Ufficio.
– Erra la CTP nell’affermare che la diversità dei coefficienti di ammortamento costituirebbe una conferma della bontà della tesi del contribuente. Il richiamo fatto al decreto del Ministero delle Finanze del 31 dicembre 1988 è inconferente. In primo luogo, perché il decreto fissa i coefficienti di ammortamento del costo dei beni materiali per l’esercizio dell’impresa ai sensi e per gli effetti dell’art. 64 Tuir (e nessuno dubita che bene materiale sia tanto un bene mobile, che un bene immobile). In secondo luogo, perché anche i beni immobili sono soggetti ad ammortamento al pari dei beni mobili, non potendo l’ammortizzabilità o meno del costo di un bene rilevare ai fini della diversa riqualificazione della sua stessa natura.
Si sono costituite resistendo all’appello la ………. spa e ……… & C. sas, eccependo anche l’inammissibilità dell’appello per l’inesistenza della notifica dell’atto di appello, posto che la notifica dello stesso (e la successiva costituzione in giudizio) è avvenuta a mezzo PEC (posta elettronica certificata) ed è pertanto da ritenere inammissibile, essendo il giudizio di primo grado stato incardinato e svolto con modalità cartacee. Si evidenzia che tale tesi è stata accolta con la sentenza di questa Commissione n. 1377/2017, pronunciata il 7/2/2017 dalla quale si evince che è illegittima la modifica di un iter, da cartaceo in primo grado a telematica in appello. Ciò in quanto il sistema di alternatività esistente all’interno della Regione Toscana – tra processo tributario telematico (PTT) e processo tradizionale presuppone – in base al principio dell’attuale facoltatività del PTT, la scelta dello stesso ab origine, ovverosia sin dal primo grado, senza ammettere in alcun modo la modifica dell’iter da cartaceo in telematico in “corso d’opera. Se così non fosse, si supererebbe di colpo la normativa specifica in tema di notifica degli atti che rimane senz’altro – per la CTR – quella sancita dalle norme del codice di procedura civile.
Nel merito gli appellati contestano le deduzioni dell’appellante, osservando che:
– L’ applicazione di imposte di registro in misura pari al 7%, oltre a imposte ipo-catastali del 3%, con aliquota complessivamente dovuta del 10% sulla parte di corrispettivo attribuito agli impianti e alle attrezzature – in luogo dell’aliquota propria pari al 3% – risulta assolutamente immotivata in quanto l’articolo 23, comma l del D.P.R. n. 131/1986 afferma che “se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti”: Testualmente l’atto del Notaio ………… (rep. n. …….. – fase. n. ……) distingue in modo la componente mobiliare (da tassare con aliquota pari al 3%), dalla componente immobiliare (da tassare con aliquota complessiva pari al 10%). Nello specifico, la parte mobiliare risulta pari a complessivi ? 3.030.000, mentre la parte immobiliare risulta pari ad ? 2.235.000: pertanto, il recupero a tassazione operato da parte dell’Ufficio, invocando una mancanza di sotto-dettaglio tra le componenti impiantistiche (tra l’altro, neanche richiesto dallo stesso art. 23 di cui sopra), appare chiaramente pretestuoso e come tale da respingere;
Il valore delle componenti impiantistiche è rappresentato principalmente, dal software automatico che gestisce i macchinari e tutta l’impiantistica di erogazione ed il semplice ancoraggio mediante viti o bulloni di impianti e attrezzature, non può essere comunque idoneo a considerare tutta la componente impiantistica quale bene immobile, contravvenendo al dettato codicistico di cui all’art. 812 in tema di beni immobili (tutto ciò che è naturalmente o artificialmente incorporato al suolo e non solo unito, in modo tale che sia impossibile la separazione di una componente senza la contemporanea dissoluzione o sostanziale alterazione del tutto).
L’eccezione di inammissibilità dell’appello è infondata. Non è condivisibile quanto deciso da questa Commissione con la sentenza n. 1377 del 7.2.2017 secondo cui la notifica degli atti giudiziali tributari a mezzo pec non è ammissibile alla stregua della testuale esclusione prevista dall’art. 16 c. 4 del d.p.r. 11.2.2005 n. 684. Si legge nella sentenza: “Non appare condivisibile l’inverso, vale a dire la modifica di un iter da cartaceo in primo grado, in telematico in appello, superando così di colpo la normativa specifica in tema di notifica degli atti che rimane senz’altro quella sancita dalla norme del c.p.c. nel caso di mancato adeguamento per intero al PTT e tanto indipendentemente dalle possibilità introdotte da processo tributario telematico che prevede allo stato, nella regione che ci occupa, ancora un sistema di alternatività’: Tale affermazione è priva di qualsiasi collegamento al dato normativo. Si ignora che è stato introdotto con il D.L.vo 156/2015 l’art. 16 bis del D.L.vo 546/1992 che prevede che le notificazioni tra le parti possono avvenire in via telematica secondo quanto stabilito dal regolamento del processo tributario telematica approvato con D.M. 23.12.2013 n. 163. Nel regolamento non è prevista alcuna preclusione a scegliere la modalità telematica per il grado di appello, tenuto conto che:
– Nelle “Definizioni” di cui all’art. 1 del Regolamento è precisato alla lettera k) che con il termine “ricorso” si intende parimenti il ricorso del grado provinciale ed il ricorso in appello. Pertanto è evidente che anche per tale grado di giudizio trovi piena applicazione la possibilità del ricorrente di scegliere le modalità di notifica, costituzione e deposito, a prescindere da quelle seguite per il grado precedente (ad eccezione ovviamente dell’obbligo di utilizzo del canale telematico discendente dalla applicazione del comma 3 dell’art. 2).
– L’art. 13 del Regolamento stabilisce che la costituzione in giudizio ed il deposito degli atti e documenti riferiti al giudizio di appello avviene mediante il SIGIT seguendo le modalità indicate nei precedenti artt. 10, 11 e 12, senza stabilire alcuna propedeuticità con le modalità utilizzate nel grado provinciale e lasciando al ricorrente la scelta se eseguire o meno la notifica ai sensi dell’art. 9 per la conseguente applicazione delle disposizioni di quelli già menzionati 10, 11 e 12.
Addirittura la CTR per la Lombardia con la sentenza 5082 del 5.12.2017 ha affermato che non è inesistente la notifica dell’ appello effettuata a mezzo posta elettronica certificata (P.E.C.), ancorché avvenuta in epoca precedente all’avvio del Processo Tributario Telematica in quanto effettuata in forma legislativamente prevista dall’art. 16 bis del d.lgs. 546/1992.
Ma vi è di più. Secondo un orientamento pacifico in Cassazione la notifica di un atto è inesistente nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un ‘attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità” (Cass.Civ. Sez. Unite, Sent. 20.7.2016 n. 14917). La Corte di Cassazione ha anche affermato che “il principio, sancito in via generale dall’art 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l ‘atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario” (Cass., sez. lav., n. 13857 del 2014 e Cass. S.U. 18.4.2016 n, 7665). Nel caso di specie la notifica dell’atto a mezzo PEC ha raggiunto il suo scopo atteso che l’appellata ha controdedotto svolgendo le proprie difese e non indicando alcun pregiudizio conseguito ad una asserita irregolare notifica dell’appello.
L’appello è fondato nel merito, condividendosi le argomentazioni prospettate dall’appellante, anche sulla base di riferimenti giurisprudenziali, relative alla natura di beni immobili di tutte le attrezzature installate negli impianti di rifornimento carburante oggetto del contratto di compravendita. In senso conforme si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 679 del 4 marzo 1968 secondo cui “Costituisce bene immobile qualsiasi costruzione, diqualunque materiale formata, che sia incorporata o materialmente congiunta al suolo, anche se a scopo transitorio. {nella specie e stato ritenuto bene immobile · l’impianto di distribuzione di carburante costituito da chiosco in muratura e metallo e dagli apparecchi di distribuzione)”.
Tale conclusione trova conforto anche nella motivazione della sentenza della Cassazione n. 3166 del 18.2.2015, seppur relativa ad un complesso industriale. Si legge nella sentenza: “In materia fiscale, la nozione d’immobile per incorporazione si ricava dalla combinazione del R. D.L. n. 652 del1939, art. 4, e dell’art. 812 c.c.. Da un canto, in base all’art. 4, “si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituiti, diversi dai fabbricati rurali. Sono considerati come costruzioni stabili anche gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo là dove per unità immobiliare va considerata ” … ogni unità di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio” (art. 5 del medesimo R.D.L.): non v’è cenno ai materiali impiegati, né ai sistemi del loro assemblaggio. D’altro canto, l’art. 812 c.c. , comma l, stabilisce che “sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo” con ciò ammettendo la possibilità di una connessione strutturale realizzata in via transitoria, in virtù della quale qualsiasi collegamento è idoneo a classificare un bene come immobile, irrilevante essendo la sua modalità di collegamento con la struttura principale.
Secondo la definizione di bene immobile contenuta nell’art. 812 c.c. , allora, la possibilità di separazione di un impianto dal suolo non esclude che essomantenga la sua natura immobiliare. Ne esce evidente l’erroneità dell’affermazione della società, che sunteggia il cuore della dedotta violazione dilegge, secondo la quale “... se le installazioni e i macchinari possono essere rimossi senza alcuna alterazione del fabbricato.- tanto da potere essere venduti o locati separatamente rispetto ai fabbricato stesso, essi non diventano parte integrante dell’immobile e non possono dare vita ad un unico bene complesso”. In definitiva, la combinazione della normativa fiscale e di quella codicistica comporta che tutte le componenti, che contribuiscono in via ordinaria ad assicurar, ad una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo, sono da considerare elementi idonei a descrivere l’unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale”.
Le spese seguono la soccombenza.
Accoglie l’appello e per l’effetto dichiara la legittimità dell’avviso di liquidazione.
Condanna gli appellati in solido tra loro a rimborsare all’Ufficio le spese di entrambi i gradi di giudizio liquidate in complessivi ? 7.000.
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