Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sezione 8 sentenza n. 1441 depositata il 17 ottobre 2019
Valida la notifica via pec che ha raggiunto lo scopo legale
L’irritualità della notifica a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dell’atto ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato, così, il raggiungimento dello scopo legale
Nel procedimento RGA 1843/2016 con ricorso presentato dalla Direzione Provinciale di Siena dell’Agenzia delle Entrate veniva interposto appello avverso la sentenza avverso la sentenza n. 466/02/15 del 15/10/2015, depositata in data 18/12/2015, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Siena (Reg .Generale n. 335/15).La controversia originaria aveva riguardo ad una cartella di pagamento conseguente ad avviso di liquidazione della somma di euro 28.331,50 a titolo di imposta di registro connessa alla sentenza in virtù della quale il contribuente G. F., assieme agli altri acquirenti del complesso edilizio, era risultato vittorioso nella controversia per risarcimento dei danni da essi promossa nei confronti della impresa costruttrice F. di C.. In particolare, la sentenza veniva assoggettata all’imposta proporzionale di registro del 3% (sul contenuto della condanna) per l’importo di euro 26.915,00 (più euro 152,00 di entrate eventuali) in relazione al disposto dell’art. 8, lett. b) della tariffa, parte prima, del DPR 131/1986). Con tempestivo ricorso l’avviso di liquidazione veniva impugnato da alcuni degli attori, solidalmente responsabili, ma non anche dal F. G..
Pertanto, essendosi reso definitivo l’atto nei suoi confronti, ciò aveva comportato la messa a ruolo delle somme in esso contestate al suddetto. Equitalia Centro Spa, competente per la riscossione, aveva provveduto a notificare la cartella di pagamento n. XXX 2015 0000XXX006.
Il contribuente, con tempestivo ricorso, aveva impugnato la predetta. In tale occasione il contribuente eccepiva l’illegittimità della notifica a mezzo PEC da parte dell’agente della riscossione, la mancata corretta notifica dell’atto prodromico e la fondatezza della pretesa.
I primi giudici accoglievano il ricorso del contribuente, ritenendo assorbente la prima accezione in punto di illegittimità della notifica via PEC.
La notifica via PEC della cartella esattoriale era ammissibile a far data dal 3.15.2010 (in base all’art. 26, comma 1, bis d.p.r. n. 602/73) ma nel caso difettava la prova che l’indirizzo del contribuente fosse stato legittimamente estratto dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge; onde la procedura di notifica ne restava definitivamente viziata.
L’Ufficio proponeva appello, articolando i seguenti motivi di gravame nei confronti della sentenza di primo grado.
1″ Motivo: vizio di ultra petizione ai sensi degli artt. 112 c.p.c. e 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 rispetto alle eccezioni mosse dal contribuente.
Il ricorrente aveva contestato la “illegittimità della cartella di pagamento per inesistenza della notifica a mezzo PEC” ma non che l’indirizzo di posta elettronica non fosse stato estratto correttamente dagli elenchi previsti a tal fine dalla legge. La Commissione adita aveva analizzato motivi non dedotti nel ricorso del contribuente, contravvenendo al principio per cui il giudizio tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente nel ricorso.
2″ Motivo: correttezza della notifica della cartella a mezzo posta elettronica certificata.
Tale modalità di notificazione è prevista dal secondo comma dell’articolo 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, inserito dall’art. 38, comma 4, lett. b), D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale “La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata., all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’articolo 149-bis del codice di procedura civile”. In base alle disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata contenute nel richiamato DPR n. 68 del 2005, la notifica eseguita a mezzo PEC si effettua all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine predisposti dalla legge.
L’indirizzo del ricorrente era stato estratto da elenchi pubblici, consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione.
In ogni caso l’appellante produceva la visura camerale per dimostrare la corrispondenza dell’indirizzo PEC depositato dal contribuente presso la Camera di Commercio, e risultante dal sito INIPEC, con quello presso cui è stata effettuata la notifica della cartella (v. all. n.2) . Notifica PEC perfezionata per il destinatario al momento in cui l’e-mail certificata era arriva nella disponibilità informatica del ricevente e per il mittente al momento in cui arriva la ricevuta di consegna. Posta l’equiparazione ad una raccomandata postale con avviso di ricevimento, dalle allegate ricevute di avvenuta consegna della PEC, depositate nel precedente grado di giudizio, si evinceva il raggiungimento della certezza legale della conoscibilità degli atti da parte del ricorrente. La notifica dell’opposta cartella era avvenuta allo specifico indirizzo PEC del destinatario, come risultante dal predetto elenco (visura camerale) e dalla stessa ricevuta il giorno 05/03/2015, come certificato nella “ricevuta di avvenuta consegna del messaggio indirizzato a f.g.@pec.it (la ricevuta di avvenuta consegna messaggio PEC, testo del messaggio e cartella di pagamento sono già stati depositati in CTP).
3″ Motivo: raggiungimento dello scopo della notifica ex art. 160, 156, comma 3, c.p.c. L’eventuale difetto della notifica sarebbe stato comunque sanato, posta la funzione di essa (portare a conoscenza del destinatario l’atto che lo riguardava), dalla tempestiva impugnazione del ricorrente. Disciplina che si applica anche alle cartelle di pagamento e, più in generale, alla materia tributaria (da ultimo, Cass., 26 gennaio 2015, n. 1301; 14 gennaio 2015, n. 416; 19 dicembre 2014, n. 27089). L’eventuale vizio avrebbe esposto l’Agente della Riscossione all’onere della rinnovazione della notifica, ai sensi dell’art. 162 c.p.c., entro il termine decadenziale (ex art. 25 DPR 602/1973, giusta Cass. n.16370/2012), mentre giammai avrebbe determinato la nullità della pretesa iscritta a ruolo.
L’Ufficio, ribadita la legittimità del proprio operato, chiedeva la riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Siena qui impugnata e condanna alle spese, per entrambi i gradi di giudizio, di parte contribuente.
Parte contribuente si costituiva in giudizio e presentava le controdeduzioni di seguito illustrate.
1″ controdeduzione: inesistenza della notifica.
Dopo aver ripercorso il tenore della notifica della cartella di pagamento all’indirizzo f.g.@pec.it (segnalando che si trattava di un file pdf la cui stampa poteva non garantire le specifiche tecniche richieste per l’accettazione da parte degli uffici postali), il contribuente rilevava l’impossibilità di considerarla alla stregua della notifica di un atto giudiziario, in linea con precedenti della giurisprudenza di merito che, in evenienze similari, ne avevano acclarato la nullità insanabile, mancando la riferibilità soggettiva ad uno dei legittimati ad eseguirla ex art. 26 d.p.r. n. 602/73 (Equitalia essendo agente della riscossione e non ufficiale addetto ad essa) e la mancata consegna di copia conforme; onde più propriamente si doveva riconoscere l’inesistenza della notifica, come tale insanabile.
2″ controdeduzione: inosservanza dell’art. 26 d.p.r. n. 602/73.
Anche ad ammettere la praticabilità della notifica a mezzo PEC, stando al DPR n. 68/2005 doveva essere evidenziato al destinatario, in uno con l’invio digitale dell’atto, il certificato della firma digitale del notificante, il certificato di firma del gestore PEC, le informazioni richieste dall’art. 18 D.M. 44 del 2011 (un numero di registro cronologico e, soprattutto, l’elenco dal quale era stato estratto l’indirizzo PEC del destinatario dell’atto).
Altrimenti, più che una notifica si aveva il semplice invio di un messaggio di posta, al più assimilabile ad una raccomandata postale, strumento non ammesso per l’Agente della Riscossione, difettando una previsione normativa espressa (CTP Milano n. 6087/2014 e C.T.P. Campobasso n. 10 del 21.01.2014).
L’inserimento dell’indirizzo PEC del contribuente in elenchi pubblici di indirizzi di posta certificata non poteva essere provato oggi dall’Agente della Riscossione, con integrazione giudiziaria di deficienze poste in essere nell’attività di notificazione; vizio rilevabile dal giudicante, in ogni stato e grado, peraltro nel caso debitamente evidenziato dalla parte ricorrente.
3“ controdeduzione: Illegittimità della cartella per omessa notifica dell’atto prodromico (art. 19 d.lgs. n. 546/1992). Secondo quanto esposto in primo grado.
4“ controdeduzione: cessata materia del contendere.
I condebitori solidali sul ruolo derivante dalla liquidazione della sentenza, tra cui lo stesso ricorrente F. G., nell’attesa della discussione degli appelli pendenti dinanzi alla CTR Toscana, avevano avviato, a nome di P. F. la rateazione di pagamento, con n. XXX0/2016; determinando la cessazione della materia del contendere sotto il profilo della riscossione.
Parte resistente, in conclusione, chiedeva la conferma della sentenza di primo grado e la vittoria delle spese di lite.
L’appello proposto è fondato.
In base al vigente art. 26, comma 1, d.p.r. n. 602/1973 (Notificazione della cartella di pagamento) «La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale; in tal caso, quando ai fini del perfezionamento della notifica sono necessarie più formalità, le stesse possono essere compiute, in un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, da soggetti diversi tra quelli sopra indicati ciascuno dei quali certifica l’attività svolta mediante relazione datata e sottoscritta. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda.». L’articolo 26, comma 2, dell’art. 26, cit., vigente, prevede che «la notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’ articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 ». Tale comma è stato inserito dall’art. 38, comma 4, lett. b), D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 , e sostituito dall’ art. 14, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159; a norma dell’ art. 14, comma 2 del medesimo D.Lgs. n. 159/2015 le disposizioni del presente comma si applicano alle notifiche effettuate a decorrere dal 1° giugno 2016. Successivamente, il presente comma è stato così modificato dall’ art. 7-quater, comma 9, D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla L. 1° dicembre 2016, n. 225.
In data 05/03/2015 (data della notifica via PEC di cui si discute nel presente processo), il secondo comma dell’art. 26 cit. prevedeva: «La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’articolo 149-bis del codice di procedura civile».
I primi giudici hanno rilevato che pur ammettendo la notifica via PEC della cartella esattoriale era ammissibile a far data dal 3.15.2010 nel caso difettava la prova che l’indirizzo del contribuente fosse stato legittimamente estratto dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge.
A fronte di questo rilievo l’Ufficio ha prodotto in appello visura camerale per dimostrare la corrispondenza dell’indirizzo PEC depositato dal contribuente presso la Camera di Commercio, e risultante dal sito INIPEC, con quello presso cui è stata effettuata la notifica della cartella. Circostanza che risolve il dubbio che aveva avanzato il primo giudice.
Detto incidentalmente, l’ammissibilità della produzione di nuovi documenti trova fondamento nella previsione dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (cfr. Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 27774 del 22/11/2017, Rv. 646223 – 01). Inoltre, nel caso di specie, tale produzione risulta ritualmente intervenuta nel termine di venti giorni liberi prima della data dell’udienza ex artt. 24, 32 d.lgs. n. 546/1992 (in tal senso, cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3661 del 24/02/2015, Rv. 634467, ha confermato che, in tema di contenzioso tributario, il giudice d’appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado, purché acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui all’art. 32, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di venti i giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dall’art. 61 del citato decreto, alle norme relative al giudizio di primo grado).
In ogni caso, considerando la prima eccezione della parte contribuente, deve rilevarsene l’infondatezza. In tempi assai recenti la Corte di Cassazione (VI Civ., 6417/2019) ha offerto indicazioni risolutrici in tema di questioni sovente ricollegate alla notifica di cartelle di pagamento a mezzo PEC.
Per quanto riguarda la riferibilità della cartella alla pubblica amministrazione è stato statuito che l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass. 5 dicembre 2014 n. 25773): tale principio è stato ribadito affermando che in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27561).
Per quanto riguarda invece la possibilità di notificare un atto mediante PEC è stato affermato dalle Sezioni Unite sia che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. 28 settembre 2018 n. 23620) sia che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica (nel caso affrontato dalla Cassazione il file era in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf”) ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. 18 aprile 2016, n. 7665), sia ancora che in tema di processo telematico, a norma dell’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all’art. 34 del d.m. n. 44 del 2011 – Ministero della Giustizia -, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Tale principio di equivalenza si applica anche alla validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in cassazione, ai sensi degli artt. 83, comma 3, c.p.c., 18, comma 5, del d.m. n. 44 del 2011 e 19 bis, commi 2 e 4, del citato decreto dirigenziale (Cass. 27 aprile 2018, n. 10266), dovendosi altresì tenere conto che è stato affermato che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché il rinvio disposto dall’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c. (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27561).
L’ulteriore ragione di doglianza coltivata da parte del contribuente (mancata notifica dell’atto prodromico alla cartella di pagamento) in sede di controdeduzioni, per l’evenienza della riforma della sentenza di primo grado sul punto da essa ritenuto dirimente, appare infondata.
L’Ufficio in primo grado aveva osservato che l’avviso di liquidazione, dal quale è originata la cartella, è stato ritualmente notificato, secondo le modalità fissate dalla legge n. 890 del 1982, con raccomandata n. XXXXX-5 del 13/08/2014 con la richiesta del pagamento delle imposte dovute a seguito della liquidazione della sentenza emessa dal Tribunale. L’agente postale, non avendo temporaneamente rinvenuto il destinatario, aveva immesso avviso nella cassetta della corrispondenza, spedendo la comunicazione di avvenuto deposito, ex art.8, comma 2, L. 280/82, con raccomandata del XXX/2014. Trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma senza che il destinatario o un suo incaricato ne avesse curato il ritiro, l’avviso di ricevimento era stato immediatamente restituito al mittente con annotazione in calce, sottoscritta dall’agente postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi che l’avevano determinato, dell’indicazione “atto non ritirato entro il termine di dieci giorni” e della data di restituzione. La notificazione decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma dell’art. 8 cit. si è intesa eseguita; a seguito della mancata opposizione, l’Ufficio ha emesso il ruolo dal quale è originata la cartella oggi in contestazione. I documenti prodotti in primo grado dell’Ufficio ne confermano la ricostruzione e valgono a rivelare l’infondatezza ella doglianza della parte contribuente.
Va disattesa, infine, la prospettata cessazione della materia del contendere in dipendenza della rateizzazione di obbligato in via solidale, afferendo a soggetto diverso dalla parte privata resistente che non risulta aver tenuto comportamento riconducibili al riconoscimento della fondatezza della pretesa erariale, per contro anche in fase di appello contrastata.
In merito alle spese, la parte contribuente, quale parte soccombente, deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio, sono liquidate forfettariamente in euro 1.000,00.
In accoglimento dell’appello, conferma la legittimità della cartella di pagamento.
Condanna parte contribuente al pagamento delle spese di lite che liquida in 1.000,00 (mille/euro).