Commissione Tributaria Regionale per la Toscana, sezione n. 4, sentenza n. 333 depositata il 7 maggio 2020
delega ex art. 42 del D.P.R. 600/73 – natura – delega di firma e non di funzioni
Il presente procedimento prende avvio con l’impugnazione, da parte della contribuente G. M., di avvisi di accertamento IRPEF relativi a redditi 2011/2013: la ricorrente contestava, in buona sostanza, la carenza di elementi dimostrativi dell’addebito fiscale che riteneva altresì afflitto da numerose cause di invalidità determinate dalla genericità e mancanza della delega, oltre che dalla assenza della qualifica normativamente richiesta in capo al delegato; dalla erronea apposizione della firma digitale; dalla mancata verifica del corretto formato dell’avviso di accertamento sottoscritto digitalmente; dalla mancanza o carenza di motivazione dell’atto impugnato. Lamentava infine una violazione del ne bis in idem con riferimento all’art. 4 del VII protocollo CEDU, essendo state irrogate sanzioni tributarie – delle quali chiedeva in ultima analisi la riduzione per manifesta sproporzione – pur essendo la contribuente sottoposta altresì a procedimento penale per il delitto di cui all’art. 646 C.p. L’Ufficio, regolarmente costituitosi, sosteneva la legittimità del proprio operato depositando documentazione dimostrativa dei propri assunti. La CTP di Lucca respingeva il ricorso ritenendo che le doglianze della contribuente, lungi dall’affrontare il merito, si risolvessero in una serie di eccezioni formali peraltro infondate. In dettaglio: la delega appariva prodotta e del tutto regolare, né vi era obbligo di allegarla all’avviso di accertamento; il funzionario delegato rivestiva la qualifica richiesta, come era possibile ricavare anche dalla documentazione prodotta dalla difesa della contribuente; il formato degli accertamenti, poi, non appariva censurabile perché si era provveduto alla notifica di copia cartacea di un documento informatico, atti che, a norma dell’art. 23 comma l d. lgs. 82/2005, hanno lo stesso valore probatorio. Del tutto destituite di fondamento venivano infine dichiarate le contestazioni in ordine alla motivazione dell’accertamento, che anzi appariva congrua rispetto alle conclusioni assunte dall’Amministrazione, ovvero quelle relative alla presunta violazione della CEDU o alla sproporzione delle sanzioni, posto che il procedimento penale non era ancora pervenuto a definitiva conclusione e non si motivava in ordine alle ragioni che avrebbero dovuto far considerare eccessive le sanzioni. Contro la decisione or ora rammentata ricorreva in appello in contribuente che riproponeva in sostanza le eccezioni già formulate in primo grado, chiedendo quindi la riforma della decisione impugnata; specularmente, la costituita Amministrazione finanziaria depositava controdeduzioni che ne chiedevano invece la conferma.
L’appello è infondato e va respinto. La vicenda in esame trae origine da un accertamento della GdF dal quale risulta che la contribuente, nella sua qualità di amministratrice di condominio, si è impossessata di somme di danaro a lei messe a disposizione dai condomini per adempimenti funzionali al compito che le era stato demandato. L’appropriazione delle suddette somme costituisce provento (per quanto illecito) tassabile a norma dell’art. 14 l. 537/1993: da questo punto di vista, l’accertamento non può considerarsi immotivato – a prescindere dagli esiti finali del processo penale, rispetto al quale quello qui in corso conserva una sua autonomia perché contiene tutti gli elementi, in fatto ed in diritto, capaci di far comprendere l’origine e l’entità della pretesa tributaria. Né vale a mettere in crisi la conclusione l’osservazione dell’appellante che trasla la problematica sull’onere probatorio: è pacifico che spetti all’amministrazione dimostrare l’illecito tributario; ma è altrettanto pacifico che, di fronte ad una contestazione che nella specie appare piuttosto precisa, spetti alla controparte l’onere di dimostrare l’infondatezza degli elementi posti a base dell’atto. Venendo ai motivi formali, occorre preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco. Il tema della delega è disciplinato dall’art. 42 DPR 600/73: dal combinato disposto dei commi 1 e 3 di quella norma si ricava che l’accertamento è nullo se manca la sottoscrizione del capo dell’Ufficio ovvero di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. La delega, dunque, afferisce alla sottoscrizione, non già al potere di compiere l’atto destinato al contribuente: la conclusione è pressoché pacifica in giurisprudenza (e, del resto, è perfettamente aderente al dettato normativa), la quale ha sottolineato, appunto, come la delega ex art. 42 cit. “ha natura di delega di firma e non di funzioni, poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante gli ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa” (in questi termini, da ultimo, Cass. V, sent. nr. 11013 del 19.4.2019). Ora, non sembra dubbio nella specie, in base a tutti gli atti depositati, che: a) sia stato legittimamente adottato dall’Amministrazione un atto contenente delega di firma funzionale all’espletamento dell’attività amministrativa tipica delle strutture complesse (insomma, l’equivalente di un documento organizzativo) e che tale atto sia motivato con riferimento alla funzionalità nell’espletamento di quelle attività; b) che è certa l’individuazione del soggetto delegante e di quello delegato, il che rende l’atto indiscutibilmente riferibile all’Ufficio da cui proviene; c) che la qualifica del soggetto delegato alla mera firma va valutata in riferimento alla evoluzione legislativa ed ordinamentale, di talché può concludersi che sono impiegati della carriera direttiva, ai fini che qui interessano, i funzionari di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali (Cass. V, sent. 22810/2015), qualifica certamente rivestita nella specie dal sottoscrittore, come risulta ancora una volta dalla documentazione in atti. Per quanto riguarda l’estensione del file che costituisce l’originale dell’accertamento, nonché la sua sottoscrizione, rimangono valide le osservazioni formulate dal Giudice di primo grado che, richiamando l’art. 23 comma 1 d. lgs. 82/1995, conclude, in aderenza con il dettato normativo, nel senso che le copie su supporto analogico hanno la stessa valenza e validità di quelle su supporto digitale quando la conformità sia attestata (in questo caso è delegabile la stessa attività) dal pubblico ufficiale, il che è appunto quanto si è verificato nella specie. La copia digitale e conforme, del resto, è stata regolarmente notificata al contribuente secondo una non censurabile opzione dell’Amministrazione (PEC o ordinaria procedura di notifica): né ha pregio, in merito, obiettare che la firma sull’atto notificato avrebbe dovuto essere autografa, trattandosi di atto avente scaturigine digitale con riferimento al quale quindi vale l’attestazione di conformità, sottoscrizione inclusa. Rimangono infine le eccezioni relative alla quantificazione delle sanzioni applicate ed alla violazione della CEDU. Le obiezioni sono strettamente collegate: se, come correttamente rileva il Giudice di primo grado, la dosimetria delle sanzioni appare congrua e non vengono allegate ragioni – che non si risolvano in una mera denuncia di eccessività – che consentano di rimetterle in discussione, è vero altresì che la più recente giurisprudenza della Corte EDU sulla portata dell’art. 4 del VII protocollo, nel disegnare i confini del ne bis in idem, non ha affatto escluso la possibilità che con riferimento ad una violazione si possa procedere in via “duale”, purché siano soddisfatte specifiche condizioni (prevedibilità; complementarietà degli obiettivi e dei processi; verifica della adeguatezza, a cura dell’autorità che decide da ultimo, del carico sanzionatorio complessivo) che nella specie sembrano tutte presenti, essendo i procedimenti coevi, motivati da obiettivi complementari, “comunicanti” quanto a materiale probatorio tra di loro, non ancora giunti a conclusione. In definitiva, sembrano essere presenti nella specie tutti quei requisiti di “dose connection in substance and time” che la Corte EDU richiede per ritenere la procedura “duale” sintonica alle regole della Convenzione (Cfr. Grande Camera, Sent. 15.11.2016, Caso A e B contro Norvegia). L’insieme delle considerazioni sopra esposte – a prescindere da ogni valutazione, pure invocata dal resistente, sulla “novità”, in tutto o in parte, dei motivi di impugnazione- induce a respingere l’appello e confermare la decisione di primo grado, con conseguente condanna alle spese processuali.
Per tali motivi,
la Commissione tributaria regionale di Firenze
conferma la decisione di primo grado e condanna il soccombente alle spese processuali che liquida in euro 800 (ottocento) oltre oneri di legge.