COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’ABRUZZO – Sentenza 16 dicembre 2019, n. 1024
Tributi – Redditi di impresa – Determinazione – Aziende in affitto o in usufrutto – Deducibilità quote di ammortamento – Dal reddito del concedente – Esclusione – Dal reddito dell’affittuario o usufruttuario – Determinazione – In base al costo originario dei beni risultante dalla contabilità del concedente
Testo
Il presente giudizio, proposto in riassunzione a seguito della pronuncia della Corte di cassazione n. 6836 del 2019, ha ad oggetto l’avviso di accertamento emesso dall’ Agenzia delle entrate ai fini IRES ed IRAP per l’anno d’imposta 2004 con cui contestava alla R. s.r.l, successivamente incorporata nella M. s.r.l., oltre all’indeducibilità delle spese di manutenzione su macchinari e per sistemazione dell’impianto molitorio (rilievi l e 2), nonché degli interessi passivi su finanziamenti (rilievo n. 3), che esulano dal presente giudizio essendo intervenuto il giudicato a seguito della citata sentenza della Suprema Corte, anche l’indeducibilità degli ammortamenti su beni terzi (rilievo n. 4), in difetto di produzione della documentazione richiesta dall’ art. 14 del d.P.R. n. 42 del 1988. La CTP di Chieti, accogliendo parzialmente il ricorso originariamente proposto dalla società, con sentenza n. 49/03/2010 annullò i rilievi l e 2, confermando gli altri. Con sentenza n. 282/09/2010, depositata in data 16/12/2010, questa CTR, in diversa composizione, accolse parzialmente l’appello principale proposto dalla società contribuente, annullando anche il rilievo n. 3, ma confermò il rilievo n. 4 e rigettò l’appello incidentale proposto dall’Ufficio in relazione all’annullamento disposto dai giudici di primo grado dei rilievi n. l e 2. Avverso la predetta pronuncia l’Agenzia delle entrate propose ricorso per cassazione in relazione ai capi della sentenza d’appello a lei sfavorevoli (rilevi n. 2 e 3, prestando acquiescenza all’annullamento del rilievo n. l) e la società contribuente si costituì con controricorso proponendo ricorso incidentale avverso il capo di sentenza della CTR che aveva confermato il rilievo n. 4. La Suprema Corte, con la sentenza sopra indicata (n. 6836 del 08/03/2019 cosi dispose: «rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso incidentale accolto, rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità». Il presente giudizio perviene a seguito di ricorso in riassunzione ex art. 62 d.lgs. n. 546 del 1992 tempestivamente proposto dalla società contribuente. L’Agenzia delle entrate si costituisce con controdeduzioni. Questa Commissione, quindi, è chiamata a pronunciarsi esclusivamente sulla questione che residua a seguito della sopra indicata pronuncia di legittimità, ovvero sulla legittimità o meno della ripresa a tassazione delle quote di ammortamento sugli opifici di cui la contribuente era affittuaria. La sentenza della Corte di cassazione è stata così massimata: «In tema di determinazione del reddito d’impresa, le quote di ammortamento delle aziende date in affitto o in usufrutto sono deducibili, ai sensi degli artt. 67, comma 9, del d.P.R. n. 917 del 1986 e 14, comma 2, del d.P.R. n. 42 del 1988, dal reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario, e non da quello del concedente, e sono commisurate al costo originario dei beni risultante dalla contabilità del concedente. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto illegittimamente dedotte le quote d’ammortamento dei cespiti, nonostante che il costo storico delle stesse risultasse dalla contabilità della concedente, nonché dalla perizia di stima eseguita all’epoca del conferimento dell’azienda)» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6836 del 08/03/2019, Rv. 653316- 01). Orbene, la Suprema Corte nella citata sentenza, dopo aver premesso che, ai sensi dell’art. 102, comma 8, TUIR, così come interpretato dalla Corte (Cass. n. 18537 del 2010), le quote di ammortamento «debbono essere dedotte dall’utilizzatore e non dal proprietario dei beni aziendali», e che tale disposizione aggiunge che «le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni, risultante dalla contabilità del concedente, e sono deducibili fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato, ovvero, se il concedente non ha tenuto regolarmente il libro dei beni ammortizzabili (o altro libro o registro regolarmente tenuti), considerando già dedotto il 50% delle quote relative al periodo d’ammortamento già decorso», ha affermato che «nella specie la CTR non ha fatto corretta applicazione di queste norme, e, senza approfondire adeguatamente il proprio ragionamento – il che vale al fine di riconoscere il vizio di motivazione, connesso alla dedotta violazione di legge, prospettato dalla contribuente -, ha reputato contra legem che la società, quale affittuaria dell’azienda, avesse illegittimamente dedotto le quote d’ammortamento dei cespiti (ammortizzabili), sebbene il dato, preliminare e indispensabile, del costo storico di tali componenti, risultasse dalla contabilità della concedente e, in particolare, dal libro giornale e dal bilancio» aggiungendo che, «quale riscontro del costo storico del bene ammortizzabile, attestato dalla contabilità, l’interessata aveva anche indicato il suo valore di mercato, risultante da una perizia di stima eseguita all’epoca del conferimento dell’azienda a favore della concedente» e che «Per le stesse ragioni ha errato la CTR nell’escludere la possibilità d’ammortamento, per così dire, parziale, dei beni aziendali, da parte dell’affittuario, prevista dall’art. 102, comma 8, cit., nel caso in cui il concedente non abbia tenuto regolarmente il libro dei cespiti ammortizzabili, perché anche questa seconda ipotesi (esattamente come la prima, che si verifica in caso di regolare tenuta, da parte del concedente, del medesimo libro contabile), postula la conoscenza del costo originario del cespite, quale dato contabile, nella specie, (come suaccennato) sussistente». Ciò posto, è evidente che, diversamente da quanto ancora sostenuto dall’ Agenzia delle entrate nelle controdeduzioni, non può porsi nella specie alcuna questione circa la sussistenza sub specie del dato contabile riferibile al costo originario del cespite ammortizzabile in quanto risultante «dalla contabilità della concedente e, in particolare, dal libro giornale e dal bilancio». E’ altrettanto vero, però, che la società contribuente non ha depositato il registro dei cespiti ammortizzabili della concedente sicché si pone la questione dell’applicabilità della seconda parte del comma 8 dell’art. 102 TUIR, che disciplina le ipotesi di regolare o non regolare tenuta di tale registro, in quest’ultimo caso considerandosi come «già dedotto il 50% delle quote relative al periodo d’ammortamento già decorso». Al riguardo deve precisarsi che la società contribuente non ha prodotto il registro dei cespiti ammortizzabili della concedente omettendo in tal modo di dare prova della regolare tenuta dello stesso da cui ricavare la prova del costo non ancora ammortizzato del cespite, come previsto dalla citata disposizione del TUIR, con la conseguenza che nel caso in esame deve ritenersi «già dedotto il 50% delle quote relative al periodo d’ammortamento già decorso». Al riguardo va precisato che la citata norma prevede la possibilità per la parte di provare la regolare tenuta non solo del «registro dei beni ammortizzabili» ma anche di «altro libro o registro secondo le modalità di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435, e dell’articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 695». L’art. 13 d.P.R. n. 435 del 2001 prevede, al primo comma, che «I soggetti di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, possono non tenere il registro dei beni ammortizzabili qualora, a seguito di richiesta dell’Amministrazione finanziaria, forniscano, ordinati in forma sistematica, gli stessi dati previsti dall’articolo 16 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973». Trattasi dei «soggetti che, a norma del codice civile, non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili di cui allo stesso codice» (art. 18 d.P.R. n. 600 del 1973), Ovvero dei soggetti ammessi al regime di contabilità semplificata, tra cui non rientra la società appellante. Invece, il regolamento di cui al d.P.R. n. 695 del 1996 «recante norme per la semplificazione delle scritture contabili», all’art. 2, comma 1, prevede che «Le annotazioni da effettuare nel registro dei beni ammortizzabili, di cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, possono essere eseguite anche nel libro degli inventari di cui all’articolo 2217 del codice civile o, per i soggetti indicati nell’articolo 79 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto». Nel caso di specie la società contribuente non ha dato prova nemmeno di aver effettuato le annotazioni nel libro degli inventari di cui all’articolo 2217 cod. civ., che non è stato prodotto in giudizio, e non può neppure applicarsi la seconda parte di tale disposizione, perché riferita anch’essa ai soggetti ammessi al regime di contabilità semplificata e, comunque, per non aver prodotto il «registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto» da cui rilevare tali annotazioni. In definitiva, con riferimento al rilievo n. 4 dell’atto impositivo impugnato, va disposto l’annullamento dello stesso nei sensi di cui sopra si è detto, ovvero ritenendo legittimamente effettuato l’ammortamento delle quote del cespite residuate una volta «dedotto il 50% delle quote relative al periodo d’ammortamento già decorso». Le spese processuali di ogni grado e fase del presente giudizio, attesi i profili sostanziali della vicenda processuale e l’esito complessivo della stessa, vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Annulla l’atto impositivo impugnato in relazione alla pretesa avanzata dall’Agenzia delle entrate con riferimento alle quote di ammortamento dei cespiti residuate una volta dedotto il 50% delle quote relative al periodo d’ammortamento già decorso. Spese compensate.
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