COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Abruzzo sentenza n. 452 sez. VII depositata il 21 maggio 2019
Mancata iscrizione Vies – Operazione nazionale – Diritto al rimborso società olandese – Sussiste
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di appello l’Agenzia delle Entrate, nello specifico il COP impugna la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara Sezione I, sentenza n. 119 del 29.01.2018 con la quale i primi giudici hanno accolto il ricorso e compensato le spese di giudizio.
Nel gravame il COP ribadisce che
1) le prestazioni in oggetto sono da considerarsi escluse dal campo di applicazione dell’IVA per carenza del requisito territoriale, ai sensi dell’art. 7-ter del DPR 633/72.
Secondo l’Ufficio la CTP ha commesso un errore di interpretazione dell’art. 35 DPR 633/72.
La contribuente poteva e doveva emettere le fatture senza IVA. Secondo la Corte di Giustizia UE del 09.02.2017 Causa C-251/16 il possesso di una partita IVA validato al VIES non una condizione sostanziale per l’applicazione del regime IVA proprio degli scambi intracomunitari.
Pertanto, né il possesso del numero identificativo, né l’iscrizione al VIES sono condizioni sostanziali per l’esenzione della cessione Intra UE, ma si configurano soltanto come requisiti formali. La sentenza della Corte di Giustizia Europea C24/15 ha stabilito che se l’operazione presenta tutti i requisiti del cd. “trasferimento a se stessi” deve essere trattata come tale, anche se l’operatore economico non aveva provveduto ad identificarsi.
Secondo l’Ufficio scatta l’esenzione dell’IVA anche quando, nell’ambito di una cessione intracomunitaria, il cliente estero non è iscritto al VIES cfr. Cass. Ordinanza 10006 del 24.01.2018. L’operazione di fatturazione Iva messa in atto dal fornitore Italiano N. Italy srl in relazione a una prestazione che non rientra tra le deroghe previste dagli art. 7 quater e 7 quinques del DPR 633/72 risulta errata perché il fornitore italiano non aveva l’obbligo di fatturare con IVA, come confermato dai pronunciamenti della Cassazione.
Così che la sostanza dell’operazione, ovvero il non assoggettamento ad Iva doveva prevalere sulla forma, ovvero l’iscrizione o meno al VIES che deve sussistere solo nei casi di frode.
2) Errata interpretazione ed applicazione degli artt. 7 ter, 7 quater, 7 quinques DPR 633/72.
La Normativa Italiana non prevede che il rimborso richiesto dalla detta N.N. B.V. ai sensi dell’art. 38 bis 2 DPR 633/72 possa soggiacere alla disciplina degli artt. 7 quater e 7 quinques DPR 633/72, deve essere applicato l’art. 7 ter e le prestazioni oggetto della richiesta di rimborso devono essere escluse dal campo di applicazione dell’IVA.
Importante è individuare il luogo di effettuazione delle operazioni, perché solo laddove esse possono considerarsi territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia, il soggetto non residente potrà chiederne il rimborso.
Le operazioni hanno ad oggetto il riaddebito di costi fatturati dal fornitore Italiano N. Italy srl per prestazioni di servizio consistenti in assistenza per la vendita di piattaforme virtuali di hardware e software non rientranti nelle deroghe ex art. 7 quater e 7 quinques DPR 633/72.
Non ricorrono le condizioni previste dalla normativa testé richiamata per cui le operazioni andavano assoggettate ad IVA.
Secondo l’art. 4 della Direttiva 2008/09/CE non possono essere rimborsati gli importi che sono stati indebitamente fatturati cfr. CTP Pescara 139/2018, CTR Pescara 392/17.
Cade la tesi della società di aver diritto al rimborso avendo posto in essere operazioni configurabili come acquisto di prestazioni di servizio dal fornitore nazionale M. Italy srl per le quali non doveva essere applicata l’IVA ai sensi della normativa vigente in Italia.
Conclude il COP chiedendo la riforma della sentenza impugnata, con conferma della legittimità dell’operato dell’Ufficio, con condanna alle spese.
Con memoria di costituzione in giudizio la società contesta i motivi di appello del COP, eccependo in via preliminare in punto di diritto l’inammissibilità dell’atto di appello, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza della CTP per vizio di notifica dello stesso effettuata in via telematica.
Il COP avrebbe dovuto procedere alla notifica in via rituale ovvero cartacea, in quanto la modalità è vincolata ex art. 2 comma III DM 163/13.
L’utilizzo di una scorretta modalità per il deposito del ricorso o appello inficia la sua validità. Cfr. CTR Firenze 1377/17. L’appello così notificato è inammissibile comportando l’inesistenza della notifica, con l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza.
Inammissibilità/infondatezza del motivo di appello della controparte per assoluta legittimità della sentenza della CTP che ha correttamente interpretato e applicato l’art. 35 DPR 633/72.
L’Ufficio svia la realtà dei fatti N. Italia si è conformata al comportamento delineato dall’Amministrazione Finanziaria per casistiche corrispondenti. Al momento dell’effettuazione dell’operazione N. Italy non aveva effettuato gli adempimenti connessi all’iscrizione all’archivio VIES e, pertanto, non era legittimata a compiere operazioni intracomunitarie.
Per tale motivo le prestazioni di servizi tra le due parti non potevano essere qualificate come operazioni intracomunitarie, dovendosi al contrario qualificare come operazioni da assoggettare ad imposizione in Italia in ragione delle disposizioni in materia di archivio VIES ex art. 35 del DPR 633/72.
Alla luce del chiaro disposto normativo ex art. 35 DPR 633/72 la società chiede che venga dichiarato inammissibile/infondato l’atto di appello proposto dall’Ufficio, stante la correttezza dei comportamenti tenuti dalla società appellata e dalla propria consociata e, conseguentemente la titolarità della N.N. B.V.
Inammissibilità/infondatezza del motivo di appello proposto dall’Ufficio per assoluta legittimità della sentenza di prime cure che reca la corretta interpretazione e applicazione dell’art. 35 DPR 633/72 in luogo del generico art. 7 ter DPR 633/72. Nel caso de quo N. Italy nel momento in cui ha realizzato la mancanza del requisito dell’iscrizione nell’archivio VIES si è immediatamente corretta provvedendo alla remissione delle fatture nei confronti della N.N. B.V. con l’applicazione dell’IVA essendo la sua prestazione di servizi non qualificabile come cessione intracomunitaria ma come operazione nazionale.
Inammissibilità/infondatezza dell’appello dell’Ufficio per assoluta legittimità della sentenza di prime cure convalidante la correttezza del comportamento tenuto dalla N.N. B.V. ispirato al principio del legittimo affidamento e buona fede ai sensi dell’art. 10 della legge 212/00.
Inammissibilità/infondatezza dell’appello di controparte per violazione del principio di neutralità dell’IVA e assoluta legittimità della sentenza di prime cure per quanto attiene l’applicazione di tale principio.
Conclude l’appellata società chiedendo che sia dichiarato inammissibile l’appello del COP con condanna alle spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Commissione, esaminati gli atti di causa, vista la documentazione allegata, valutata la normativa da applicare, ritiene di respingere l’appello avanzato dall’Agenzia delle Entrate COP, compensando le spese del grado di giudizio.
Quanto alla pregiudiziale eccezione afferente la notifica dell’appello in via telematica, anziché cartacea, la Commissione osserva che tale eccezione è stata superata sia in conseguenza del rigetto dell’appello che dei recenti orientamenti giurisprudenziali e di prassi infatti, il canale telematico sta progressivamente imponendosi anche nel processo tributario (d.lgs. n. 546/92), anche se attraverso contraddizioni e problemi applicativi. Attualmente l’opzione è facoltativa, nel senso che l’impugnazione dell’atto fiscale innanzi alle Commissioni Tributarie può essere esercitata tanto col mezzo cartaceo che con la modalità informatica, mercé l’accesso al S.I.Gi.T. (Sistema Informativo della Giustizia Tributaria), ai sensi del Decreto ministeriale n. 163 del 23.12.2013.
L’obbligatorietà del ricorso al sistema informatico è circoscritta attualmente solo alle ipotesi in cui la parte abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche di cui al richiamato D.M., cosicché è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l’intero grado del giudizio e per l’appello. Il Collegio richiama il disposto degli articoli 9 e 10 del Decreto Ministeriale sopra citato, i quali specificano: “Il ricorso e gli altri atti del processo tributario, nonché quelli relativi al procedimento attivato con l’istanza di reclamo e mediazione, sono notificati utilizzando la PEC secondo quanto stabilito dall’articolo 5.” e, immediatamente di seguito, il disposto di cui all’art. 10 del medesimo decreto “1. La costituzione in giudizio del ricorrente, nel caso di notifica del ricorso ai sensi dell’articolo 9, avviene con il deposito mediante il S.I.Gi.T. del ricorso, della nota d’iscrizione a ruolo e degli atti e documenti ad esso allegati, attestato dalla ricevuta di accettazione rilasciata dal S.I.Gi.T. recante la data di trasmissione. 2. Successivamente alla costituzione in giudizio del ricorrente, il S.I.Gi.T. rilascia, altresì, il numero di iscrizione del ricorso nel registro generale di cui all’articolo 25 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. 3. La costituzione in giudizio e il deposito degli atti e documenti della parte resistente avviene con le modalità indicate al comma 1”.
Venendo al merito della questione il Collegio intende osservare che al caso che ci occupa non può trovare applicazione l’orientamento Giurisprudenziale Europeo e Nazionale richiamato dal COP, atteso che si verte in una particolare fattispecie. Infatti, l’indirizzo prevalente, cioè quello sostanzialista della Corte di Giustizia è stato confermato dalla sentenza C-21/16 secondo cui “L’articolo 131 e l’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di una cessione intracomunitaria per il solo motivo che, al momento di tale cessione, l’acquirente, domiciliato sul territorio dello Stato membro di destinazione e titolare di un numero di identificazione di imposta sul valore aggiunto valido per le operazioni in tale Stato, non è iscritto al sistema di scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto e non è assoggettato ad un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, allorché non esiste alcun serio indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali dell’esenzione“. A tale pronuncia ha fatto seguito la sentenza della Corte di giustizia Ue del 9 febbraio 2017, causa C-21/16, la quale ha ribadito che l’iscrizione al VIES del soggetto passivo Iva non è una condizione sostanziale per l’applicazione della non imponibilità Iva, sempreché ne siano soddisfatte le condizioni essenziali (cedente/cessionario soggetti passivi Iva, fuoriuscita del bene, bene nella disponibilità del cessionario). Infine, vale la pena di tener presente che anche l’Agenzia delle entrate, seppur in via ufficiosa, ossia in occasione di un videoforum con la stampa specializzata avvenuto in data 23 gennaio 2019, sembra essersi adeguata all’indirizzo della giurisprudenza comunitaria confermando che la mancata iscrizione al VIES è solo una violazione formale. La stessa Agenzia ha però ricordato che la direttiva Iva 2018/1910/Ue stabilisce che la mancata iscrizione al VIES sarà una condizione sostanziale e non più formale dal 1° gennaio 2020.
Di contro invece occorre richiamare, in deroga alla regola generale dettata dall’art. 7-ter, D.P.R. 633/1972, gli artt. da 7-quater a 7-septies, che disciplinano la territorialità di alcune categorie di prestazioni di servizi, per le quali si prevedono criteri di individuazione del luogo di tassazione. L’art. 7-quater contiene alcuni servizi, per i quali la rilevanza territoriale ai fini IVA in Italia è individuata con un criterio differente rispetto a quello del luogo di stabilimento del committente. La deroga in esame rientra nell’ambito di quelle “assolute”, e quindi applicabili sia nelle prestazioni”B2B” (committente soggetto passivo d’imposta), sia in quelle “B2C” (committente non soggetto passivo d’imposta).
N. Italia si è conformata al comportamento delineato dall’Amministrazione Finanziaria per casistiche corrispondenti. Al momento dell’effettuazione dell’operazione N. Italy non aveva effettuato gli adempimenti connessi all’iscrizione all’archivio VIES e, pertanto, non era legittimata a compiere operazioni intracomunitarie.
Per tale motivo le prestazioni di servizi tra le due parti non potevano essere qualificate come operazioni intracomunitarie, dovendosi al contrario qualificare come operazioni da assoggettare ad imposizione in Italia in ragione delle disposizioni in materia di archivio VIES ex art. 35 del DPR 633/72. N.N. B.V. si è ispirata al principio del legittimo affidamento e buona fede ai sensi dell’art. 10 della legge 212/00, infatti, la sua prestazione di servizi non è qualificabile come cessione intracomunitaria ma come operazione nazionale. Peraltro, se si desse corso alla tesi dell’Ufficio si verrebbe a verificare la violazione del principio di neutralità dell’IVA, ma soprattutto un indebito arricchimento da parte del Fisco.
Quanto al regime delle spese processuali, in considerazione della particolarità della questione trattata si giustifica la integrale compensazione delle stesse.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione VII distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 579/18 RGA, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede:
– Rigetta l’appello, conferma la decisione di primo grado. Compensa le spese.
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