COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Abruzzo sentenza n. 55 sez. VI depositata il 21 gennaio 2019
Dividendi in uscita – Direttiva madre-figlia – Doppia imposizione – È necessario provare versamento della ritenuta nel Paese di residenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società S.C. GROUP COOPERATIEF U.A. avanzò istanza di rimborso all’AGENZIA DELLE ENTRATE, di Pescara, allo scopo di ottenere la restituzione delle ritenute versate dalla società figlia sui dividendi da questa distribuiti nell’annualità fiscale 2009.
L’AGENZIA lasciò trascorrere il tempo senza fornire alcuna risposta sicché si formò conseguentemente il silenzio-rifiuto.
Con ricorso ritualmente notificato e depositato la S.C. GROUP COOPERATIEF impugnò detto rifiuto facendo presente che la società figlia a seguito di una verifica da parte della Guardia di Finanza aveva ricevuto l’invito a versare le ritenute relative alla distribuzione dei dividendi effettuati a favore della società madre nell’annualità fiscale 2009 poiché il certificato che attestava la residenza fiscale in Olanda recava data successiva rispetto al momento della distribuzione dei dividendi.
Chiarì che sulla base della direttiva madre-figlia avrebbe dovuto godere del diritto al rimborso riunendo tutti i requisiti dalla stessa previsti.
Chiese pertanto l’accoglimento del ricorso e la conseguente condanna di controparte alla refusione delle spese sopportate per stare in giudizio.
Si costituì l’AGENZIA resistendo all’avverso ricorso facendo presente in via preliminare che controparte era sprovvista della legittimazione alla richiesta del rimborso ex art. 38 del DPR n. 602/’73 atteso che non risultava essere il soggetto inciso dall’imposta, versata tra l’altro con il modello F/24.
Aggiunse che la domanda doveva essere considerala peraltro inammissibile dal momento che la società italiana aveva aderito all’accertamento ex art. 15 del D.L.vo n. 281/’97 con conseguente acquiescenza e rinuncia a proporre ricorso.
Nel merito ritenne infondata l’istanza non essendo stata fornita la prova che le somme distribuite come dividendi fossero state accreditate alla società ricorrente e che la stessa fosse la beneficiaria effettivo delle somme.
Pose poi l’accento sulla mancanza della certificazione proveniente dall’autorità fiscale olandese relativamente all’annualità 2009 poiché la Guardia di Finanza aveva rilevato che quella prodotta era relativa al 2010 e quindi allorquando la distribuzione dei dividendi era già avvenuta.
Chiese pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e comunque, in via subordinata, il suo respingimento nel merito con la conseguente condanna di controparte alla refusione delle spese ritenute per stare in giudizio.
Con la sentenza n. 78 pronunciata il 15.1.18 la COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE di Pescara respinse il ricorso.
Motivò detta decisione sostenendo innanzitutto che le eccezioni in via preliminare prospettate dall’AGENZIA erano da considerarsi come infondate.
Relativamente a quella afferente alla presunta acquiescenza derivante dall’adesione ex art. 15 del D.L.vo n. 281/’97 da parte della società figlia, chiarì che con il ricorso non era stato impugnato l’accertamento merituale bensì il silenzio-rifiuto formatosi ai danni di quella figlia.
Circa l’utilizzo del modello F24 specifico che il versamento non poteva essere considerato preclusivo poiché detta modalità di pagamento è quella normalmente adoperata per la specifica tipologia di versamenti.
Accedendo al merito della questione fece presente che la società-madre non aveva dimostrato di aver assolto l’imposta come previsto dalla direttiva e dal disposto dell’art. 27 bis 1 e del DPR n. 600/’73 secondo il quale hanno diritto alla restituzione delle somme versate sui dividendi le società che sono soggette all’imposta nello stato di residenza.
Chiarì però che la società ricorrente aveva depositato una certificazione su propria carta intestata recante la data del 2010 attestante di avere la residenza fiscale in Olanda, di essere colà soggetta all’imposta sui redditi e che le dichiarazioni erano corrispondenti al vero per quanto risultante all’amministrazione fiscale olandese.
Fece notare però che difettava l’indicazione comprovante l’effettivo pagamento delle imposte in Olanda in quanto il documento versato era stato formato nell’anno 2010 mentre l’annualità fiscale di comporto del versamento dei dividenti era relativa all’annualità fiscale 2009.
Come sopra detto, i giudici di prime cure respinsero il ricorso ma dichiararono interamente compensate le spese tra le parti “… stante la particolarità del caso …”.
Con ricorso ritualmente notificato e depositato la S.C. GROUP COOPERATIEF U.A. ha proposto appello in ordine ai seguenti punti di devoluzione per la verità assemblati in maniera disorganica e reiterata.
1) ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 112 DEL CPC E DELL’ART. 1, CO. 2, DEL D.L.VO N. 546/’92 NONCHÉ DEL PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE DI CUI ALL’ART. 115 DEL CPC.
La stessa ha chiarito sul punto che l’art. 112 del epe esprime il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in base al quale il giudice deve pronunciarsi sulla domanda non esorbitando il limite della stessa.
Ha fatto presente però che i giudici di prime cure avrebbero peccato di ultrapetizione avendo deciso su motivi non dedotti o quantomeno dedotti sotto diversi profili poiché avrebbero basato il proprio convincimento sull’unica eccezione consistente nella presunta mancata dimostrazione da parte della società ricorrente di aver materialmente corrisposto le imposte nello Stato olandese, eccezione che mai era stata avanzata.
2) ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 BIS, CO. 1 LETT. C, DEL DPR N. 600/73 E COMUNQUE PER ERRONEA VALUTAZIONE DEL MATERIALE PROBATORIO ALLEGATO. EVENTUALE SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON RIMESSIONE DELLA QUESTIONE INTERPRETATIVA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA.
La stessa ha fatto notare che la Commissione provinciale avrebbe erroneamente interpretato la normativa avendo subordinato il rimborso all’esibizione della prova dell’effettiva corresponsione dell’imposta nello Stato olandese mentre però detta condizione non è invece prevista dalla legge che si limita a richiedere che la società richiedente sia formalmente e meramente assoggettata al peso fiscale.
Ha chiarito pertanto sul punto che il termine “assoggettata” adoperato dal legislatore equivale a “sono soggette” ed esprimerebbe quindi la mera soggettività passiva e non già il materiale e concreto assolvimento dell’imposta tanto più che nella direttiva non si rinviene traccia della suddetta ulteriore condizione.
3) ERRONEITÀ E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 BIS CO. 2, DEL DPR N. 600/’73.
La stessa ha chiarito sul punto che il secondo comma dell’art. 27 bis della disposizione in parola subordina la spettanza alla mera certificazione della competente autorità fiscale estera attestante che la società non residente possiede i requisiti indicati sub a), b) e c), oltre ad una autodichiarazione attestante la sussistenza del requisito sub d) suddetta diposizione.
Quindi alcun obbligo sussisterebbe della ulteriore certificazione di cui al precedente punto doglianza.
4) SUSSISTENZA DEGLI ALTRI REQUISITI PREVISTI DALL’ART. 27 BIS, CO. 1, LETT. A), B) E D), DEL DPR N. 600/’73.
La stessa ha fatto presente che sussistono i requisiti sostanzialmente richiamando e ripetendo i precedenti concetti.
Ha chiesto quindi l’accoglimento dell’appello e la condanna della controparte alla refusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Si è costituita l’AGENZIA resistendo puntualmente alle avverse motivazioni di gravame e riportandosi sostanzialmente alle pregresse argomentazioni già propugnate davanti ai giudici della COMMISSIONE PROVINCIALE.
Ha chiesto quindi il respingimento dell’appello e la condanna della controparte alla refusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
All’udienza odierna le parti hanno illustrato oralmente i propri argomenti ed hanno concluso chiedendo rispettivamente l’accoglimento ed il respingimento dell’appello.
La Commissione si è riservata la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e va pertanto respinto con le relative conseguenze in ordine agli aggravi espensivi a carico della parte soccombente.
Allo scopo di onorare nel miglior modo l’obbligo motivatorio e di dar quindi doverosa ed esaustiva risposta alle richieste dell’appellante, è opportuno argomentare partitamente in relazione ai singoli punti di doglianza oggetto di devoluzione anche se essi devono essere assemblati in modo che vengano ridotti a due, ossia l’eccezione di rito dell’ultrapetizione e l’esame del merito.
1) ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 112 DEL CPC E DELL’ART. 1, CO. 2, DEL D.L.VO N. 546/92 NONCHÉ DEL PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE DI CUI ALL’ART. 115 DEL CPC.
Sul punto va detto che la doglianza è infondata poiché la questione posta dalla parte appellante è di tale ampiezza circa i presupposti della spettanza del rimborso che, com’è del tutto evidente, la questione meritava di essere vagliata ed approfondita in tutti i suoi aspetti tanto più che ci muoviamo nell’ambito del medesimo thema decidendum e della stessa disposizione di legge e che l’argomento trattato dai giudici di prime cure era stato introdotto esplicitamente anche dalla parte resistente.
Si rammenti sul punto che in materia di formazione del silenzio-rifiuto sui richiesti rimborsi la prova in sede giudiziaria è di natura libera potendo le parti addurre tutte le argomentazioni che ritengano opportune e proficue difettando sostanzialmente un provvedimento portante dell’Amministrazione finanziaria che abbia vagliato il merito della richiesta.
Ebbene, come sopra detto, l’argomento sul quale i giudici di prime cure hanno deciso è stato chiaramente ed esplicitamente introdotto dall’AGENZIA sicché, per converso, la stessa ben avrebbe avuto titolo di dolersi del difetto motivatorio qualora vi fosse stata un’omissione di esame.
2) 2.1) ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 BIS, CO. 1 LETT. C, DEL DPR N. 600/73 E COMUNQUE PER ERRONEA VALUTAZIONE DEL MATERIALE PROBATORIO ALLEGATO, EVENTUALE SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON RIMESSIONE DELLA QUESTIONE INTERPRETATIVA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA.
2.2) ERRONEITÀ E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 BIS CO. 2, DEL DPR N. 600/73.
2.3) SUSSISTENZA DEGLI ALTRI REQUISITI PREVISTI DALL’ART. 27 BIS, CO. 1, LETT. A), B) E D), DEL DPR N. 600/’73.
Sul punto va chiarito che allorquando viene impugnato il silenzio rifiuto formatosi a seguito dell’istanza di rimborso, il contribuente assume sostanzialmente la veste sostanziale attorea ed è quindi tenuto a dimostrare in punto di fatto che non si sia in presenza di alcuna delle ipotesi che rendano illegittimo il silenzio e quindi il rifiuto.
Naturalmente l’Ufficio, come del resto sopra accennato, non risultando vincolato da un proprio provvedimento merituale esplicito e quindi da una propria motivazione restrittiva del campo dell’indagine, ha piena libertà di prova utile a resistere all’avversa domanda.
Orbene, è opportuno rammentare che la norma portante, per quanto oggi ci riguarda, è da individuare nell’art. 27 bis del DPR n. 600/’73 nella parte in cui prevede che una società residente in stato membro dell’U.E. che detenga una partecipazione non inferiore al 20% di una società che distribuisce gli utili ha diritto al rimborso della ritenuta alla fonte di cui all’art. 27 del suddetto DPR se è soggetta nello stato di residenza ad una delle imposte indicate nella direttiva n. 435/90 CEE del Consiglio d’Europa emanata il 23.7.90 sempreché non godano di particolari ipotesi di opzione o di esenzione.
Sostiene la parte contribuente che la locuzione “è soggetta” deve essere interpretata nel senso che basterebbe la mera astratta previsione soggettiva dell’assoggettamento affinché possa sorgere il diritto al rimborso non essendo affatto necessario che si dia prova dell’effettivo e concreto assolvimento dell’imposta.
Orbene, detta tesi è palesemente improponibile poiché in contrasto con la ratio della norma.
Difatti essa consiste, come è evidente, nello scopo di evitare che una società abbia ad essere gravata due volte dell’imposta così determinandosi un conseguente indebito depauperamento patrimoniale discriminatorio e quindi pernicioso per la libera circolazione dei capitali e contrario alla libera concorrenza nell’ambito dell’Unione.
Ad accogliere la tesi difensiva della parte privata si incorrerebbe in una evidente aporia giacché la società residente in un altro stato unionale pur astrattamente soggetta al regime tributario ben potrebbe essere inadempiente per evasione o per mancato accertamento così finendo per ottenere un indebito arricchimento a fronte di un previsto evitamento dell’indebito depauperamento che si vuole scongiurare.
Ne deriverebbe pertanto una sorta di doppia non imposizione in entrambi gli Stati con conseguente indebito arricchimento.
Si rammenta che uno dei cardini storici della scienza ermeneutica prevede che è “incivile” decidere in basa ad una “particula” della legge che deve essere invece “…tota perspecta…” per giungere a scoprire la “volutas legislatore”, volontà che non può essere logicamente diversa rispetto a quella che abbiamo sopra dimostrato.
Se ciò è vero, per confutare la tesi che avversiamo basta allargare il campo della lettura della legge giungendo ad una sua interpretazione sistematica rinvenendo il supporto nel disposto dell’art. 27, terzo comma, del DPR in questione che, quale norma interna, prevede espressamente ed in via generale che “… i soggetti non residenti … hanno diritto al rimborso dell’imposta … che dimostrino di aver pagato all’estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello stato estero..”.
Né può dirsi, come pure è stato affermato, che la normativa interna non sia una fedele e tralaticia trasposizione della direttiva comunitaria poiché interpretando anche quest’ultima nel senso voluto dalla parte appellante si incorrerebbe nella medesima aporia che sopra abbiamo avversato.
Anche in questo caso possiamo far riferimento ad un altro basilare canone interpretativo che prevede che nell’estrarre il significato dalla legge ed in presenza di plurime soluzioni deve optarsi per quella che ragionevolmente conduca a rispettarne lo spirito che, com’è del tutto evidente e come sopra dimostrato, in altro non può consistere che nella volontà di scongiurare l’inammissibile duplicazione dell’aggravio fiscale.
Ebbene, la S.C. GROUP COOPERATIEF U.A. mai ha dimostrato di aver sborsato alcunché né di aver usufruito di deduzioni o di detrazione nello Stato di propria residenza con la conseguenza che non ha soddisfatto l’onere che su di essa incombeva e che la conduce alla soccombenza.
Certamente l’anodina e generica certificazione apposta in calce all’affermazione della parte privata dall’ufficio fiscale olandese non soddisfa per nulla l’indefettibile condizione richiesta poiché dalla stessa non apprendiamo affatto dell’avvenuto effettivo e materiale esborso operato dalla società contribuente.
Ciò posto e come già sopra preannunciato, l’appello va dunque respinto sulla base delle suestese argomentazioni.
Consegue all’esito del processo l’obbligo per la parte soccombente di ristorare quella vittoriosa delle spese sostenute per permanere in giudizio per entrambe le fasi che si liquidano come da dispositivo una volta tenuto conto in primis del valore economico della controversia e poi della natura delle questioni giuridiche trattate, del pregio delle argomentazioni sviluppate e dell’impegno complessivamente profuso dal funzionario che ha rappresentato l’Ufficio.
P.Q.M.
Respinge l’appello e per l’effetto condanna la società S.C. GROUP COOPERATIEF U.A. a rifondere all’AGENZIA DELLE ENTRATE le spese del giudizio che si liquidano in 12.000,00 euro, oltre eventuali conseguenziali.
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