Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo sez. 5 sentenza n. 1176 depositata il 12 dicembre 2018
MASSIMA
Le Convenzioni bilaterali tra stati volte a evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio non possono applicarsi in caso di adesione al regime della direttiva “Madre-Figlia”.
Testo:
Con atto di appello la società impugna la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara Sezione II^ sentenza n. 136 del 06.10.2016 con la quale i primi Giudici rigettavamo il ricorso e condannavano la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Ufficio liquidate in C. 3.500,00 di cui ?. 500,00 per diritti.
La società nel suo atto di gravame contesta le argomentazioni dei primi Giudici ritenendo in punto di diritto che non vi è cumulabilità del regime Comunitario (Direttiva Madre-Figlia) con il regime convenzionale (Convenzione Italia Svizzera).
Nel merito osserva la nullità del provvedimento di diniego per difetto di motivazione del diniego per non essere stati indicati i mezzi dì prova utilizzati dall’Ufficio posti a fondamento del provvedimento.
Nello specifico l’appellante si sofferma sui motivi argomentativi che hanno indotto il primo Collegio a rigettare il ricorso ed in particolare: -Sulla sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 15 dell’accordo e sulla relativa prova fornita dalla società; -Sull’assoggettamento ad imposte si fini dell’accordo UE- Svizzera; -Sull’assenza di alcun regime di vantaggio in capo alla Holdings Companies; -Sull’irrilevanza della decisione della Commissione Europea del 12.02.2007.
Propone istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ex art. 267 sul trattato dell’UE.
Conclude l’appellante chiedendo la riforma dell’appellata sentenza con riconoscimento del diritto di rimborso della somma di E 147.591,00 oltre interessi come per legge, con vittoria di spese.
Con controdeduzioni all’appello l’Ufficio osserva che la società neanche in II^ grado produce documentazione per dimostrare la doppia imposizione subita ossia la dichiarazione dei redditi Rigo 61° ossia l’esenzione dalla doppia imposizione.
Per assurdo continua l’Ufficio si arriverebbe ad avere una doppia non imposizione. Cosicché, ove non si verifichi alcuna doppia imposizione nessuna restituzione di imposta può essere concessa e tanto meno la pretesa in applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni (Cass.29455/08).
Quanto al principio di reciprocità questo è un principio immanente cfr Cass. 12595/04. L’Ufficio ha rispettato l’art. 1 della legge 241/90 e l’art. 27 della COST. In particolare l’appellato COP richiama la sentenza della Suprema Corte di Cassazione 8439/2004, nonché 19069/2014.
Quanto poi ai requisiti di cui all’art. 15 dell’accordo ed alla decisione della Commissione Europea del 12.02.2007, il COP ribadisce che la documentazione prodotta è inidonea a dimostrare la spettanza del rimborso. In particolare viene richiamata la Risoluzione 93/E del 10.05.2007 che trova conforto nella decisione della Commissione Europea del 13.02.2007.
Dalla documentazione prodotta non vi è prova di assoggettamento ad imposizione in Svizzera.
Infatti, ai fini della realizzazione della doppia imposizione è necessario che si realizzi una duplice incisione su medesimo patrimonio, in Italia e nello stato estero che va provato, non potendo assumere rilievo un assoggettamento meramente astratto o potenziale o futuro ma non effettivo. Cfr Commissione Europea comunicazione 11.11.11, così da non creare una doppia non imposizione , viene anche richiamata la sentenza della Cassazione 4771/2017, CTR Abruzzo 740/2017. Infine, l’Ufficio obietta che alcuna discriminazione è stata posta in essere Causa C-374/04.
Conclude il COP chiedendo il rigetto dell’appello, con vittoria di spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Esaminati gli atti di causa il Collegio ritiene la sentenza dei Primi Giudici sia meritevole di conferma con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado che vengono liquidate in €. 7.000,00.
Gli articolati motivi addotti dall’appellante società a sostegno del proprio gravame non possono essere condivisi. 1. Occorre infatti, premettere che sia la Direttiva “Madre Figlia” CEE 23/7/90 n. 435, invocata dall’Ufficio, che la Convenzione Italia-Svizzera muovono da un’unica esigenza: evitare le doppie imposizioni.
La Direttiva “Madre-Figlia” è intervenuta a regolare ex novo l’imposizione dei dividendi tra gli Stati membri dell’UE sovrapponendosi in una parte considerevole delle fattispecie, alle regole contenute nella Convenzione Italia-Francia.
Quest’ultima, in particolare, stabilisce il principio della tassazione dei dividendi nel Paese di destino mitigato dal principio della concorrenza (ciascuna metà dei dividendi sottoposta ad imposizione nei rispettivi Paesi contraenti); al contrario la Direttiva stabilisce l’esclusione della tassazione dei dividendi nel Paese di destino.
Al fine di comporre tale antinomia non può non farsi riferimento all’art. 12, comma 2 delle Preleggi secondo cui “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
A tal proposito, soccorre, nel caso di specie, la Relazione 5 marzo 1992 allo schema di Decreto Legislativo recante il regime fiscale applicabile alle società madri e figlie di Stati membri della Comunità economica europea per il recepimento della Direttiva n. 90/435/CEE in attuazione della delega di cui all’art. 35 della legge 19 febbraio 1992, n. 142″ che, pur non assurgendo a fonte normativa come affermato da parte appellante assume indubbia valenza ermeneutica.
Dopo aver premesso, infatti, che “obiettivo del decreto è l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle norme comunitarie dirette all’armonizzazione dei criteri di tassazione dei redditi derivanti dalla partecipazione di società di capitali e di enti assimilati in altre società ed enti della stessa natura, con particolare riguardo ai dividendi distribuiti da società o enti residenti in un altro Stato membro ad altre società, residenti in altro Stato membro, quando ricorrano rapporti di partecipazione qualificati ” ha espressamente affermato che “la Direttiva è intesa a rimuovere il fenomeno della doppia imposizione,sia economica che giuridica, dello stesso reddito, cui dà luogo la autonoma regolamentazione fiscale ad opera degli Stati comunitari, e che si traduce nella imposizione in capo alla società partecipata (o ‘figlia”) dell’utile derivante dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale e, in capo alla società partecipante (o “madre’), nell’applicazione sia della ritenuta alla fonte sui dividendi nello Stato di residenza della società ‘figlia”, sia nella imposizione del dividendo nello Stato di residenza della percipiente, salvo l’adozione, convenzionale o diretta, dì taluni correttivi”. Il regime in atto al momento del recepimento della Direttiva prevedeva, nel caso di distribuzione dì dividendi a società non residenti, l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
L’art. 27-bis del DPR n. 600, modifica detto regime adeguandolo alla Direttiva n. 90/435/CEE.
In buona sostanza, come si legge nella citata Relazione, con il comma I “viene, in via ordinaria, mantenuto l’obbligo per il sostituto d’imposta di applicare la ritenuta, nella misura ordinaria o convenzionale, quando gli utili sono distribuiti, ed è attribuito il diritto alle società “madri” estere ad ottenere l’integrale rimborso dallo Stato italiano della ritenuta stessa, secondo le procedure di legge, su istanza del sostituto in possesso dei requisiti, soggettivi ed oggettivi, di legge”.
In alternativa, al successivo comma 3, è stata prevista “la facoltà alla società “madre” estera di chiedere alla società ‘figlia” italiana di effettuare, sotto la propria responsabilità, il pagamento degli utili senza la preventiva applicazione della ritenuta, subordinatamente alla produzione di apposite certificazioni”.
Si legge, infine, nella Relazione che “Restano impregiudicate le diverse e specifiche disposizioni contenute in alcune convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni (esempio Francia, Regno Unito) e in particolare il regime delle ritenute alla fonte applicabile in forza delle stesse convenzioni. Ciò in quanto dette convenzioni realizzano già l’eliminazione della doppia imposizione e, pertanto, rappresentano un regime alternativo a quello previsto dalla Direttiva.
2. La Convenzione Italia-Svizzera, invece, dopo aver premesso anch’essa, nel “preambolo”, di avere come compito quello di “evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio”, per quanto concerne la tassazione dei dividendi, all’art. 10, comma 2 prevede che :
? “i dividendi pagati da una società residente di uno Stato ad un residente dell’altro Stato sono imponibili in detto altro Stato”;
? “Tuttavia tali dividendi sono imponibili anche nello Stato di cui la società che paga i dividendi è residente in conformità della legislazione dì detto Stato, ma se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere:
Il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società assoggettabile all’imposta sulle società che ha detenuto direttamente o indirettamente nel corso di un periodo di almeno 12 mesi precedenti la data di delibera di distribuzione dei dividendi, almeno il 10 per cento del capitale della società che paga i dividendi; Il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi, in tutti gli altri casi.
Il sistema previsto dalla Convenzione, pertanto, è quella della tassazione dei dividendi sia nello Stato-fonte che in quello di destino; la duplicazione di imposizione viene , però, corretta mediante il meccanismo del pagamento, da parte del Tesoro italiano, di una somma parametrata al credito d’imposta(intero o metà) previsto dal successivo art. 4, alle lettere a) e b). In virtù di tali previsioni, infatti: a) Un residente in Svizzera che riceve dividendi distribuiti da una società residente dell’Italia, i quali darebbero diritto ad un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano pari a detto credito d’imposta, diminuito della ritenuta alla fonte con l’aliquota prevista al paragrafo 2, lett.b), quando si tratta: di una persona fisica che include l’ammontare lordo dei dividendi nel suo reddito lordo determinati affini dell’applicazione francese sul reddito; di una società, diversa da quelle indicate al paragrafo 2-a) che include l’ammontare lordo dei dividendi nella base imponibile dell’imposta francese sulle società. b) Una società residente dell’Inghilterra, indicata al paragrafo 2-a o soggetta alla legislazione francese applicabile alle società madri che riceve da una società residente dell’Italia dividendi che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista al paragrafo 2″.
In definitiva, il legislatore, comunitario e nazionale, hanno inteso, con due diversi sistemi, evitare la doppia imposizione dei dividendi: a. l’uno prevedendo l’esclusione della tassazione nello Stato di destino (art. 4 Direttiva “madre-figlia”) nonché l’esenzione da ritenuta alla fonte nello Stato-fonte (art. 5); b. l’altro, prevedendo la tassazione nello Stato di destino e nello Stato-fonte, con una ritenuta alla fonte del 5% o del 15% (art. 10) ma riconoscendo alla società-madre residente nello Stato di destino il diritto a metà del credito d’imposta spettante ad un residente in Italia se avesse ricevuto i medesimi dividendi. La Convenzione prevede, naturalmente, che la concessione del credito d’imposta sia subordinata alla condizione che il percettore sia soggetto per tali redditi all’imposta in Francia, circostanza, quest’ultima, che deve essere certificata dalle Autorità fiscali francesi, unitamente all’esistenza dei requisiti previsti per fruire dei benefici convenzionali.
Tertium non datur. Ritiene il Collegio che non sia possibile applicare contemporaneamente sia la Convenzione contro le doppie imposizioni che la Direttiva madre-figlia”. Come detto, entrambe hanno lo scopo di evitare che un reddito transfrontaliero riceva una doppia imposizione: prima nello Stato della fonte e poi in quello dì destino. Allorché viene richiesta l’applicazione della Convenzione nello Stato della fonte del reddito non si può dì contro applicare la Direttiva madre-figlia nello Stato di destino del reddito in quanto si otterrebbe, in tal modo, una doppia NON imposizione. Come già affermato da questa Commissione “si perverrebbe alla illogica conclusione che essa determinerebbe l’assoluta e completa sottrazione dei redditi in questione da qualsiasi imposizione tributaria, con effetto addirittura opposto a quello che la Convenzione voleva disciplinare ed evitare (e cioè l’imposizione doppia)” (cfr. CTR Abruzzo, sent. n. 85/01/05 del 16/11/2005, CTR Abruzzo sentenza 845/06/14 del 10.07.14Y., Ritiene, in definitiva, questo Collegio che non possa l’appellante società dapprima detassare nel Paese di destino il reddito derivante dagli utili distribuiti dalle controllate residenti in Italia (conformemente a quanto previsto dalla Direttiva) e poi, richiedere il credito d’imposta (nella misura della metà di quello, come detto, che sarebbe spettato ad un residente in Italia) previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b).
Quest’ultima disposizione, infatti, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di controdeduzioni non può essere estrapolata dal contesto nella quale è inserita, vale a dire dal sistema di tassazione previsto dalla Convenzione. Né può condividersi l’assunto dell’odierna appellata teso ad affermare la spettanza del credito d’imposta a prescindere dall’effettiva tassazione dei dividendi nello Stato di destino. perché una tale lettura della norma sarebbe in contrasto con la ratio dell’intera Convenzione.
Ciò che, in entrambe le ipotesi, difetta in atti, a parere di questo Collegio, è la dimostrazione di aver subito una doppia imposizione. Nel primo caso, infatti, come affermato dai Primi Giudici, il sistema stesso adottato dall’Italia (art. 96-bis TUIR) e dalla Francia in attuazione della Direttiva è quello della detassazione degli utili nel Paese di destino. Nel secondo caso, la documentazione in atti non comprova in alcun modo l’avvenuta tassazione dei dividendi in Inghilterra.
I contenuti della sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea CE 540/2007 sono stati recepiti correttamente dall’Amministrazione Finanziaria, giusta Circolare 32/2011 in cui sono state fissate le condizioni soggettive ed oggettive per ottenere il rimborso, infatti, qualora i soggetti UE beneficiari dei dividendi non posseggano i requisiti previsti per l’applicazione della Direttiva madre-figlia, di cui all’art. 27-bis del DPR n. 600 del 1973, trova applicazione il regime “ordinario” e la misura della ritenuta ridotta, da applicare in sede di esame delle istanze di rimborso relative ai dividendi erogati prima del 1° gennaio 2008, per effetto dell’aliquota di imposta IRES vigente prima del 1° gennaio 2008, è pari all’1,65 per cento.
In ordine poi alle competenze e spese del grado di Giudizio, il Collegio ritiene in forza del principio di soccombenza di condannare la società al pagamento delle spese del grado in ?7.000,00.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo Sezione V^ di L’Aquila- definitivamente pronunziando, così provvede: Respinge l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado che vengono liquidate in ?.7.000,00.
Così deciso in L’Aquila il 01.03.2018
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