Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo sezione 6 sentenza n. 761 depositata il 18 settembre 2019
Sanzioni tributarie – legittimo affidamento – Sussite
Massima:
In tema di sanzioni tributarie la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall’art. 10, commi l e 2, della L. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni. Costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 370 del 09/01/2019)
Testo:
1. Con sentenza n. 142/02/2018, depositata il 21/03/2018, la Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettava il ricorso proposto dalla contribuente, F. società consortile per azioni, avverso l’avviso di accertamento n. xx del 16/03/2016, con cui l’Agenzia delle dogane richiedeva alla predetta società, con riferimento all’anno di imposta 2013, il pagamento delle accise sull’energia elettrica dalla medesima autoprodotta e poi fornita ai consorziati della provincia di PESCARA. Atto impositivo emesso sulla base della nota prot. n. xxx del 13/12/2013 con cui l’amministrazione delle dogane, modificando il proprio precedente orientamento, aveva precisato che la nozione di «autoproduttore» rinvenibile nel d.lgs. n. 79 del 1999 (c.d. decreto Bersani), secondo cui tale è anche chi produce energia elettrica e la utilizza per uso proprio e degli appartenenti al consorzio, non è applicabile alla materia fiscale.
2. I giudici di primo grado rigettavano il ricorso sostenendo che alla contribuente non poteva essere riconosciuta la qualità di autoproduttore di energia elettrica, essendo diversa la nozione di autoproduttore ricavabile dal d.lgs. n. 79 del 1999 (c.d. Decreto Bersani) rispetto a quello ricavabile dall’art. 52, comma 3, T.U.A. (d.lgs. n. 504 del 1995) e che non sussisteva nel caso di specie la violazione del principio di buona fede e legittimo affidamento sia perché «l’attribuzione del codice ditta ed il rilascio della licenza non possono costituire i presupposti per l’esenzione dal pagamento dell’accisa», spettante solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 52 T.U.A., sia perché l’Agenzia delle Dogane aveva emanato già nel dicembre 2013, e quindi in data anteriore all’anno oggetto di accertamento, la cui dichiarazione era stata presentata nell’anno 2014, un chiarimento con cui aveva modificato il precedente orientamento (ovvero quello che autorizzava la società ad operare in esenzione di accisa di cui al provvedimento n. 2008/xxx del 18/03/2008).
3. Avverso detta statuizione ha proposto appello la società contribuente sulla base dei seguenti motivi: a) nullità della sentenza di primo grado per violazione degli artt. 52, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 504 del 1999 e 2, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 1999, in combinato disposto con gli artt. 2602 e 2615 ter e segg. cod. civ.; b) nullità della sentenza di primo grado per violazione del legittimo affidamento della Società ai sensi degli artt. 10 e 11 della L. n. 212/2000; c) nullità della sentenza di primo grado per omessa pronuncia sulla violazione dell’art. 11 della legge n. 212 de1 2000.
4. Ha chiesto, quindi, riformarsi l’impugnata sentenza con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
5. Si è costituita in giudizio l’Agenzia appellata che ha ribadito e sviluppato le argomentazioni già addotte in primo grado e fatte proprie dal giudice di prime cure, chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese.
6. All’esito della discussione in pubblica udienza, la Commissione ha pronunciato il dispositivo in calce trascritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Precisato preliminarmente che oggetto del presente giudizio è l’atto con cui l’amministrazione doganale ha ripreso a tassazione le accise che la società contribuente non aveva versato nell’anno 2013 sull’energia elettrica autoprodotta, ma fornita alle società consortili aventi sede nella provincia di PESCARA, ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e vada rigettato.
2. Quanto al primo motivo di appello (nullità della sentenza di primo grado per violazione degli artt. 52, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 504 del 1999 e 2, comma , del d.lgs. n. 74 del 1999, in combinato disposto con gli artt. 2602 e 2615 ter e seg. cod. civ.), è sufficiente richiamare, ai fini del suo rigetto, peraltro in conformità ad un precedente di questa Commissione regionale in ipotesi del tutto analoga e relativo alla stessa società contribuente (cfr. CTR Abruzzo, sent. n. 1082/04/2017, le cui argomentazioni vanno integralmente condivise), il principio giurisprudenziale di legittimità, al quale correttamente si sono attenute la Commissione di primo grado e la CTR nella sentenza sopra richiamata, secondo cui «In tema di addizionale all’imposta sul consumo di energia elettrica, l’art. 6 del d.l. 28 novembre 1988, n. 511, convertito in legge 27 gennaio 1989, n. 20, nel testo vigente per il periodo dal l gennaio 2000 al 31 dicembre 2003, prevede l’esenzione dalle addizionali locali soltanto in relazione all’energia elettrica autoprodotta ed impiegata per uso proprio, statuendo espressamente che essa si applica nel caso di esercizio delle attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica, e non può, pertanto, intendersi riferita anche all’energia proveniente da un consorzio autoproduttore ed utilizzata da imprese aderenti al consorzio, in quanto persone giuridiche diverse dal produttore» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23529 del 12/09/2008; conf. Cass. n. 8293 del 2014, Cass. n. 12444 Del 2019).
2.1. Ne consegue, come sopra anticipato, il rigetto del primo motivo di appello.
3. Anche il secondo motivo di appello, là dove l’appellante sostiene che la CTP aveva erroneamente escluso la sussistenza sub specie di un’ipotesi di legittimo affidamento rilevante ai sensi dell’art. 10, comma 2, legge n. 212 del 2000, idonea a far ritenere illegittima la pretesa erariale, è infondato e va rigettato.
3.1. E’ orientamento giurisprudenziale, dal quale non v’è ragione di discostarsi quello secondo cui «il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dall’art. 10, comma l, della legge 27 luglio 2000, n. 212 ( Statuto dei diritti del contribuente), trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., espressamente richiamati dall’art. 1 del medesimo statuto, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa. La previsione dell’art. 10 dello Statuto – a differenza di altre che presentano un contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente – è dunque espressiva di principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario anche prima della legge, sicché essa vincola l’interprete, in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione, risultando così applicabile sia ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, sia ai rapporti fra contribuente ed ente impositore diverso dall’amministrazione finanziaria dello Stato, sia ad elementi dell’imposizione diversi da sanzioni e interessi, giacché i casi di tutela espressamente enunciati dal comma 2 del detto art. 10 riguardano situazioni meramente esemplificative, legate a ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21513 del 06110/2006).
3.2. In senso conforme si è espressa anche Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 4614 del 28/02/2018, che, richiamando la pronuncia del 2006, ribadisce che «il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dall’art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 ( Statuto dei diritti del contribuente), trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.,espressamente richiamati dall’art. 1 del medesimo statuto, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa (Cass., Sez. V, n. 21513 del2006, rv. 594566).
3.3. Più recentemente Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 370 del 09/0112019, Rv. 652305, ha affermato che «In tema di sanzioni tributarie la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall’art. 10, commi l e 2, della L n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni».
3.4. In tale pronuncia si legge che:
– «Costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono»;
– «i casi di tutela espressamente enunciati dal comma secondo del cit. art. 10 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti non limitano peraltro la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti»;
– «Si è quindi ulteriormente precisato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10195 del 18/05/2016) che proprio le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000».
3.5. La tesi dell’appellante, secondo cui illegittimo affidamento opererebbe anche con riferimento ai tributi, non può essere condivisa alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra citati, non potendosi valorizzare, a fronte del chiaro dettato normativo, la circostanza che nel caso di specie l’Agenzia delle Dogane aveva concesso alla società contribuente l’autorizzazione ad operare in esenzione di accisa, con provvedimento n. 2008/A2725 del 18/03/2008. Infatti, sulla base di tale autorizzazione l’amministrazione finanziaria non può richiedere interessi e sanzioni per mancato assoggettamento ad accise dell’energia elettrica autoprodotta e fornita alle società consorziate, relativamente agli anni d’imposta precedenti al 2013, ai sensi dell’art. 10, comma 2, legge n. 212 del 2000, ma non il tributo, che invece è dovuto.
4. Infondati sono il secondo motivo d’appello, là dove la società appellante deduce la violazione dell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente ed il terzo motivo, con cui deduce la nullita’ della sentenza di primo grado, per omessa pronuncia sul motivo di impugnazione dell’atto impositivo con cui aveva dedotto la violazione di quella disposizione.
5. Va esaminato preliminarmente il terzo motivo che è infondato in quanto il un motivo di ricorso avverso l’atto impugnato, anche ove esistente, non può comportare la riforma dell’impugnata sentenza, spettando al giudice di secondo grado colmare detta lacuna, essendo noto che il giudizio di appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia (cfr. Cass. n. 3559 del 2010; n. 17127 del 2007).
6. Infondata è anche la tesi dell’applicabilità al caso di specie della disposizione di cui all’art. 11, comma 3, della legge n. 212 del 2000, sostenuta dall’appellante nel secondo motivo.
6.1. L’art. 11 citato così recita: «1. Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La presentazione dell’istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria.
2. La risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente. Qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del periodo precedente, è nullo.
3. Limitatamente alla questione oggetto dell’istanza di interpello, non possono essere irrogate sanzioni nei confronti del contribuente che non abbia ricevuto risposta dall’amministrazione finanziaria entro il termine di cui al comma 1.
4. Nel caso in cui l’istanza di interpello formulata da un numero elevato di contribuenti concerna la stessa questione o questioni analoghe fra loro, l’amministrazione finanziaria può rispondere collettivamente attraverso una circolare o una risoluzione tempestivamente pubblicata ai sensi dell’art. 5, comma 2.
5. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono determinati gli organi, le procedure e le modalità di esercizio dell’interpello e dell’obbligo di risposta da parte d eli’ amministrazione finanziaria.
6. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, relativo all’interpello della amministrazione finanziaria da parte dei contribuenti».
6.2. Sulla base di tale ultima disposizione è stato emanato il Decreto del 26 aprile 2001 n. 209 – Min. Finanze (recante “Regolamento concernente la determinazione degli organi, delle procedure e delle modalità di esercizio dell’interpello e dell’obbligo di risposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 5”) che dispone espressamente: all’art. l, comma 2 che “il contribuente dovrà presentare l’istanza di cui al comma 1, prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello”; all’art. 3, comma 3 – prescrivendo i requisiti di ammissibilità della istanza di interpello – che “L’istanza deve, altresì, contenere l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che si intendono adottare”; ed all’art. 5, comma 1, che “La risposta dell’ufficio finanziario ha efficacia esclusivamente nei confronti del contribuente istante, limitatamente al caso concreto e personale prospettato nell’istanza di interpello. Tale efficacia si estende anche ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili allafattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione finanziaria” prevedendo al comma 4 che l’Ufficio, in caso di risposta negativa, recupera l’imposta e gli interessi senza irrogazione di sanzioni pecuniarie “in riferimento al comportamento già posto in essere dal contribuente, qualora la risposta dell’ufficio su istanze ammissibili ma prive delle indicazioni di cui all’art. 3, comma 3, non pervenga nel termine di cui all’art. 4, comma 1″ (id est entro gg. 120 dalla data di consegna o ricezione della istanza), disciplinando quindi una particolare ipotesi determinatasi in conseguenza del ritardo nella risposta fornita dalla Amministrazione al contribuente (peraltro in presenza di istanza incompleta).
6.3 Dall’esame delle citate disposizioni emerge chiaramente che il carattere preventivo dell’interpello è connaturale alla stessa “ratio legis” della L. n. 212 del 2000, art. 11, in quanto mezzo attuativo dei principi di chiarezza, imparzialità, affidamento e cooperazione che informano lo Statuto del contribuente e che convergono verso lo scopo di fornire a quest’ultimo le informazioni indispensabili a conformare la propria attività alla corretta interpretazione delle norme fiscali, nonché di prevenire la insorgenza di controversie tributarie. Ne segue, logicamente, che l’acquisizione delle informazioni richieste alla Amministrazione finanziaria deve necessariamente precedere la condotta tenuta dal contribuente nell’esercizio della propria attività economica (come peraltro è dato evincere anche dalla locuzione “interpretazione o comportamento prospettato dal richiedente” – art. 11, comma 2 della Legge – e dalla esenzione da sanzione pecuniaria del comportamento attuato dal contribuente successivamente alla scadenza del termine stabilito per ricevere la risposta, quando questa sia poi risultata negativa), solo in tal caso potendo giustificarsi una efficacia vincolante, per entrambe le parti del rapporto tributario, dell’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria delle norme applicabili alla specifica fattispecie concreta. Diversamente opinando l’istituto dell’interpello verrebbe a risolversi in una mera richiesta di “consulenza giuridica” avente ad oggetto un rapporto tributario già insorto, che se da un lato non potrebbe raggiungere gli scopi voluti dalla norma, dall’altro non potrebbe precludere il potere di accertamento impositivo della P.A. atteso che la verifica della corretta applicazione della norma che regola lo specifico tributo deve attuarsi in base allo strumento tipico predisposto dall’ordinamento tributario fondato sull’attività di controllo (ex post) demandata agli Uffici finanziari competenti (cfr. in motivazione, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16331 dell?/07/2014, Rv. 632522, così massimata: «Il contribuente è tenuto a proporre interpello ex art.11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, prima di porre in essere, nell’esercizio della propria attività economica, la condotta oggetto della richiesta· di informazioni all’Amministrazione finanziaria, atteso che, diversamente, non si giustificherebbe l’efficacia vincolante, per entrambe le parti del rapporto tributario, dell’interpretazione fornita dall’Amministrazione medesima delle norme applicabili alla specifica fattispecie concreta»).
6.4. Va altresì precisato che nessuna delle sopra citate disposizioni prevede particolari modalità di forma dell’istanza di interpello, cosicché deve ritenersi sufficiente, ai fini della qualificazione di un’istanza come di interpello ex art 11 dello Statuto, che la stessa sia circostanziata e specifica e che concerna l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione di quelle disposizioni. Peraltro, neppure il Decreto ministeriale 26 aprile 200l n. 209 (recante il “Regolamento concernente la determinazione degli organi, delle procedure e delle modalità di esercizio dell’interpello e dell’obbligo di risposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 5”) impone specifiche prescrizioni formali nella presentazione di un interpello, fatta eccezione per il suo contenuto sostanziale (“L’istanza deve, altresì, contenere l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che si intendono adottare”- art. 3, comma 3).
6.5. Ciò posto ritiene la Commissione che nel caso di specie l’appellante non ha dimostrato di aver presentato idonea istanza di interpello, tale non potendosi considerare l’istanza che il Consorzio F., ora F. risulta aver inoltrato in data 22/02/2008 all’Agenzia delle Dogane di Foggia, perché, non essendo stata prodotta in giudizio, non è possibile verificare se la stessa fosse specifica, circostanziata e contenesse l’esposizione delle condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie applicabili al caso di specie, nonché l’esposizione chiara ed univoca del comportamento da tenere e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che la società contribuente intendeva adottare.
6.6. Peraltro, il contenuto di quell’istanza neppure può essere desunta dalla risposta fornita dal Direttore dell’Ufficio delle dogane di Foggia in data 18/03/2008 con nota protocollo n. 2008/ A2725 (allegato n. 4 al ricorso in primo grado), in essa facendosi riferimento esclusivamente ad un’istanza diretta ad ottenere l’autorizzazione ali’ applicazione dell’esenzione dal pagamento dell’accisa, senza alcuna ulteriore indicazione sul contenuto della stessa.
6.7. Né può essere considerata istanza di interpello quella avanzata dal consorzio in data 07/07/2008, essendo la stessa diretta ad ottenere l’attribuzione del codice ditta «in regime di esenzione dal versamento dell’Accisa per l’energia elettrica come Autoproduttore», come si legge nell’oggetto della richiesta (allegato n. 3 al ricorso in primo grado), che peraltro difetta dei requisiti sostanziali sopra indicati per poter essere considerata istanza di interpello ex art. 11 della legge n. 212 del 2000 e del decreto ministeriale 26 aprile 2001 n. 209.
7. In estrema sintesi l’appello va rigettato e le spese interamente compensate tra le parti in ragione della particolare complessità delle questioni trattate specie con riferimento a quella da ultimo esaminata.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione staccata di Pescara, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 921/2018 R.G.A., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede: – respinge l’appello e compensa le spese processuali.
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