Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo sezione 6 sentenza n. 879 depositata il 25 ottobre 2019
La norma che prevede la presunzione legale di redditività degli investimenti nei Paesi cd. “offshore” è retroattiva.
Presunzione legale di redditività degli investimenti nei Paesi cd. offshore (Art. 12 D.L. n. 78/2009) – Norma procedimentale retroattiva – Sussiste – Incide esclusivamente sul metodo di acquisizione della prova – Sussiste
Testo:
La Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, con sentenza nr. 207/1/2018 del 12 marzo 2018 e depositata il 4 maggio 2018, accoglieva il ricorso presentato da L.D. avverso l’avviso di accertamento con il quale veniva richiesto il pagamento per maggiori redditi accertati per l’anno di imposta 2009.
Ha proposto appello la difesa erariale sostenendo l’erronea interpretazione dei fatti di causa avendo i giudici di prime cure esaminato la questione senza valutare gli elementi di prova offerti da essa amministrazione, atteso che la ricostruzione posta a base dell’avviso impugnato poggiava sui seguenti elementi di prova:
l) PVC della Guardia di Finanza;
2) Istanza di autotutela/adesione presentata dalla parte;
3) Dichiarazione riservata delle attività emerse presentata ai sensi dell’art. 13 bis del D.L. 78/2009 conv. in L. 102/2009 presentata in data 29.04.2010 tramite intermediario BANCA M. spa.
Dal confronto di tale documentazione probatoria è derivato l’atto impugnato in applicazione della normativa vigente (D.L.78/2009 conv. in L. 102/2009) che legittima l’A.F. all’imputazione di maggiori redditi in capo al contribuente che ha omesso di dichiarare tutte le transazioni finanziarie con lo Stato di San Marino a lui riferibili.
Gli elementi presi a base per la rideterminazione del reddito omesso, per l’anno 2009, sono noti alla Parte ricorrente in quanto in parte sono stati ricompresi nella dichiarazione riservata delle attività emerse ai sensi dell’art. 13 bis del D.L. 78/2009 (per complessive Euro 129.000,00), mentre l’importo di euro 20.00,00, accertato dall’Ufficio, ne è rimasto escluso per il 2009. Dalla dichiarazione riservata delle attività emerse ai sensi dell’art. 13 bis del D.L. 78/2009 si evince che il ricorrente ha “scudato” l’importo di euro 118.355,10 riferito ad un bonifico del 05.05.2010 da SM a UE avente per Ordinante A. SA e beneficiario il ricorrente L.D., ed analoga dicitura compare nei 2 bonifici di euro 10.000,00 cadauno, rispettivamente del 28 e 29 aprile 2010, riferite ad attività finanziarie effettuate le 2009, di cui al recupero a tassazione nell’atto impugnato.
Il D.L. 78/2009 ha introdotto il sistema per il rientro di capitali detenuti in uno stato o territorio a regime fiscale privilegiato di cui ai DD.MM. 04.05.1999 e 21 nov. 2001, in violazione degli obblighi dichiarativi di cui al D.L. 167/1990, con un vantaggio fiscale ma non ha vietato il controllo delle operazioni di rientro con possibilità di riscontro, per gli Uffici Finanziari, di quanto dichiarato dai contribuenti che hanno utilizzato lo strumento introdotto dall’art. 12 del citato decreto.
Nella specie il contribuente, per l’anno d’imposta 2009, risultava residente in Italia e di conseguenza i redditi da lui prodotti sono assoggettati all’imposizione in Italia, nè ha mai dimostrato di aver pagato le imposte nel Paese dove presta la sua attività lavorativa.
La qualificazione del maggior reddito accertato, quale “reddito diverso” non incide sull’imponibilità ai fini IRPEF e addizionali.
L’Ufficio ha, infatti, applicato le relative aliquote sull’importo accertato di euro 20.000,00, né ha potuto riconoscere detrazioni o deduzioni, in quanto la parte non ha richiesto alcunchè, né ha esibito documentazione a riprova. Per cui la parte avrebbe dovuto dimostrare il contrario, ma non ha portato alcuna prova a riscontro di quanto sostenuto.
Ha chiesto, pertanto, la riforma dell’impugnata sentenza con vittoria delle spese di lite.
Si è costituito in giudizio il contribuente chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado, con vittoria di spese. In particolare ha evidenziato, quanto alla presunta valenza probatoria dell’istanza di annullamento in autotutela/adesione presentata dal contribuente, essere certa l’assoluta inconsistenza giuridica di quanto asserito dall’Ufficio, giacchè è stata prodotta dal contribuente proprio per sollevare l’eccezione, ivi riproposta, di illegittimità dell’avviso di accertamento per assenza di prova.
Quanto infine alla portata probante della dichiarazione riservata delle attività emerse a suo tempo presentata dal contribuente, seppure evidenzi la detenzione di attività all’estero, non può di certo costituire prova di una transazione ritenuta “non scudata” che, si ribadisce, andava provata attraverso la produzione della documentazione bancaria relativa.
Non è la mera rilevazione di un singolo presupposto di fatto che fa scattare l’inversione dell’onere della prova, bensì la circostanza più complessa che i capitali investiti all’estero, che devono sempre essere ricondotti al contribuente controllato, siano detenuti in violazione del disposto di cui all’art. 4 commi l, 2 e 3 del D.L. n.167/90.
Nel caso specifico, né la Guardia di Finanza né l’Agenzia delle Entrate forniscono la prova che i bonifici bancari asseritamente effettuati integrino detenzione di attività all’estero, tant’è che il soggetto ordinante è una società non riconducibile e non ricondotta al contribuente medesimo.
Nessuna indagine finanziaria è stata eseguita sui conti correnti della ricorrente, nonostante siano state indicate nell’atto movimentazioni “da e verso”.
Ne consegue che per quanto concerne la rilevanza probatoria, va considerato che l’ufficio impositore non è legittimato a fondare le presunzioni su cui basare la maggior pretesa impositiva nei confronti della ricorrente facendo riferimento a dati (si ribadisce comunque non provati) asseritamente rinvenuti presso altre aziende o economie terze. L’art. 12 c. 2 D.L. n. 78/2009 prevede l’applicazione della presunzione legale relativa di redditi sottratti a tassazione a condizione che eventuali investimenti ed attività di natura finanziaria siano detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministero delle finanze 4 maggio 1999 ed al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001.
Ma, come precisato dalla circolare n. 31/E del 28 agosto 2015 par. 4.1, la Repubblica di S. Marino è stata eliminata dalla lista degli Stati e territori aventi regime fiscale privilegiato con decreto del Ministero dell’Economia del 12 febbraio 2014.
Le movimentazioni finanziarie indicate nell’avviso di accertamento riportano tutte date riferibili all’anno 2010. Di conseguenza l’ufficio non è legittimato, nel silenzio della norma e secondo il principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, ad attribuire l’intero maggior reddito all’anno 2009. All’udienza di discussione la causa è stata decisa come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente respinta l’eccezione reiterata in tale giudizio da parte del contribuente circa la nullità dell’avviso di accertamento per aver l’amministrazione omesso di procedere al preventivo contraddittorio. E’ principio ormai consolidato quello secondo cui non sussiste un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale rilevabile dalla legislazione nazionale ma che tale obbligo deriva, per le sole imposte armonizzate (fra cui l’IVA), dalla legislazione comunitaria (Cass. SU 9 dicembre 2015 n. 24823). L’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, è valido, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo [cfr. Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 20/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1778; Corte di Cassazione – Ordinanza 07 marzo 2018, n. 5408, secondo cui “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604). Cass., ord., 31 marzo 2017, n. 8378; Cass. 24 febbraio 2016, n. 3583].
In sintesi l’omissione del contraddittorio obbligatorio non comporta di per sé l’illegittimità dell’accertamento; illegittimità che può essere infatti dichiarata solo se il contribuente dimostra, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato. Va ulteriormente respinta l’eccezione di decadenza sollevata dal contribuente circa il potere dell’amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento. La presunzione legale di redditività degli investimenti nei Paesi cd. “offshore”, ex art. 12, commi 2, 2-bis e 2-ter, D.L. n. 78/2009, nasce proprio come tentativo di disincentivare la detenzione di denaro, da parte dei contribuenti residenti, in quei paesi non collaborativi con l’amministrazione fiscale italiana.
Tale norma prevede che i capitali investiti nei c.d. “paradisi fiscali e non indicati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi debbano essere equiparati a redditi sottratti a tassazione, salvo prova contraria del contribuente inadempiente. L’art. 12, commi 2, 2-bis e 2-ter, D.L. n. 78/2009 prevede che: “In deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella gazzetta ufficiale della Repubblica italiana del 10 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273 senza tenere conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 471, sono raddoppiate. 2-bis.
Per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 43, primo e secondo camma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57 , primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono raddoppiati. 2-ter.
Per le violazioni di cui ai commi l, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, riferite agli investimenti e alle attività di natura finanziaria di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono raddoppiati”.
Alla luce dei principi dello Statuto del contribuente, l’irretroattività delle disposizioni tributarie riguarda solo quelle norme che regolano gli elementi costitutivi del rapporto tributario, c.d. “norme sostanziali”, mentre non rileva per le disposizioni che disciplinano esclusivamente il procedimento attuativo e/o applicativo del tributo, c.d. norme “procedimentali”.
Ad avviso di questa commissione l’art. 12 ha natura squisitamente procedimentale e, dunque, risulta applicabile retroattivamente: invero l’introduzione del djsposto di cui all’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78/2009, non sembra apportare alcuna modifica alla natura sostanziale del rapporto tributario potendo incidere esclusivamente sul m~todo di acquisizione della prova che è questione evidentemente procedurale in quanto attinente alla fase di controllo.
Nel merito l’appello deve essere respinto.
La presente vicenda processuale prende le mosse da un controllo eseguito dalla GdF all’esito del quale, in data 28.7.2016, veniva notificato al professionista delegato il p.v.c., da cui era dato evincere:
Le operazioni ispettive condotte dalla GdF di Pescara sono derivate dallo sviluppo degli esiti di indagini di polizia giudiziaria condotte dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Forlì su delega della competente Procura della Repubblica che hanno consentito di acquisire, presso taluni Istituti di credito italiani, documentazione finanziaria e bancaria relativa a movimentazioni finanziarie da e verso San Marino, effettuate, nel periodo compreso fra il 1 gennaio 2006 e il 24 luglio 2014, da una vasta platea di persone fisiche residenti in Italia o emigrate dall’Italia verso la Repubblica del Titano; dette informazioni sono state sottoposte a mirate analisi per individuare le posizioni potenzialmente connesse a fenomeni di evasione fiscale, fra le quali è emersa quella del soggetto ispezionato.
Si è proceduto quindi ad effettuare un controllo fiscale riguardo alle indicate movimentazioni finanziarie da e verso la Repubblica di San Marino e/o altri stati esteri, nonché alle consistenze finanziarie e investimenti detenuti all’estero, partendo dalle risultanze delle menzionate indagini di polizia giudiziaria, per il periodo dal 01.01.2010 a1 27.05.2016, ai fini delle Imposte sui Redditi.
Dalla dichiarazione riservata delle attività emerse ai sensi dell’art. 13 bis del D.L. 78/2009 si evince che il L. aveva “scudato” l’importo di euro 118.355,10 riferito ad un bonifico del 05.05.2010 da SM a UE avente per Ordinante A. SA e beneficiario il ricorrente L.D., ed analoga dicitura compare nei 2 bonifici di euroo 10.000,00 cadauno, rispettivamente del 28 e 29 aprile 2010, riferite ad attività finanziarie effettuate le 2009, di cui al recupero a tassazione nell’atto impugnato.
Deve darsi atto che i documenti, come sostenuto dalla difesa del contribuente, non sono stati allegati al p.v.c. nè prodotti in giudizio ed il che impedisce a questa stessa commissione di poter valutare la fondatezza della pretesa avanzata dall’erario.
In tale contesto non può che essere ribadito il principio in virtù del quale anche nel processo tributario vale la regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 cod. civ. e, pertanto, in applicazione della stessa, l’amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa: in presenza, quindi, di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine ricavati da verifiche operate dalla Guardia di finanza ed a fronte delle contestazioni mosse dal contribuente circa l’attendibilità dei relativi esiti, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’ amministrazione finanziaria e non può prescindere dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione (Cass. n. 955 del 2016; cfr. anche Cass. nn. 21509 del 2010, 1946 del 2012) e dei relativi documenti su cui detta pretesa si fonda.
Per tali motivi l’appello deve essere respinto. Resta assorbita ogni altra censura.
Considerato il contrasto giurisprudenziale sul tema affrontato, il rigetto delle eccezioni preliminari sollevate dal contribuente ed il rigetto dell’appello, sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede: respinge le eccezioni sollevate dal contribuente; respinge l’appello; compensa tra le parti le spese di lite.
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