Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo sezione 7 sentenza n. 237 depositata il 08 marzo 2019
Contributo Unificato Tributario – dovuto per ogni ampliamento del thema decidendum – sussiste – art. 71 del DPR 131/86 richiamato dall’art 16, comma l-bis del T.U.S.G – sanzione per per omesso versamento – gradualità – sussite
Testo:
Con sentenza n. 709/2/2016 del 29.9.2016 e depositata in data 11.10.2016 la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara accoglieva parzialmente il ricorso proposto da D.V. titolare della ditta individuale nonchè quale legale rappresentante della società U. e U. srl. di D.V. avverso il provvedimento del 12.11.2014 avente ad oggetto l’applicazione della sanzione per l’omesso versamento del contributo unificato in relazione al procedimento iscritto al n.300/2014 RGA. Avverso detta statuizione hanno proposto appello i contribuenti ritenendo il provvedimento affetto da illegittimità ed affidando l’impugnazione ai seguenti motivi: violazione o falsa applicazione di norme di legge, nella specie art. 12 co. 2 D.Lgs. 546/1992, avendo il primo giudice rapportato il contributo unificato all’imponibile e non al tributo dovuto che, per previsione normativa, costituisce il valore della lite rilevante ai fini del computo del contributo unificato; – omessa motivazione con riguardo alla determinazione del contributo unificato nei termini fatti propri dall’amministrazione finanziaria; – vizio di ultrapetizione in relazione, non avendo essi appellanti mai dedotto alcunchè circa la presunta illegittimità dell’atto di irrogazione della sanzione, a seguito della previsione di cui al co. 3 bis dell’art. 14 del DPR 115/2002. Hanno chiesto, pertanto, la riforma dell’impugnata sentenza con vittoria di spese del doppio grado. Si è costituita in giudizio l’amministrazione finanziaria appellata, respingendo punto per punto le argomentazioni poste a sostegno dell’impugnazione, chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo, a sua volta, appello incidentale con riguardo ai punti 4,5,6 delle controdeduzioni da intendersi qui richiamati, con vittoria di spese processuali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’art. 13, comma l, del d.P.R. n. 115 del 2002 ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un «contributo unificato» fissato secondo i due criteri, alternativi o concorrenti, della materia e della proporzione al valore della controversia, che sostituisce il sistema previgente basato sul pagamento di una marca da bollo da versare anticipatamente al momento dell’iscrizione a ruolo e sul versamento di diritti di segreteria (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, recante «Disciplina dell’imposta di bollo»). L’applicazione del contributo unificato è stata estesa al processo tributario dall’art. 37, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) – convertito, con modificazioni, dall’art. l, comma l, della legge 15 luglio 2011, n. 111 – che ha modificato l’art. 9 del d.P.R. n. 115 del 2002. Quest’ultima disposizione stabilisce, al primo comma, che il contributo unificato di iscrizione a ruolo è dovuto per ciascun grado di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario. Quanto alla determinazione del contributo, l’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce criteri diversi per il processo civile, amministrativo e tributario. Nel primo, per la quantificazione del contributo – come determinato dai primi sei commi del predetto art. 13 – vengono in rilievo sia la materia che il valore della controversia; nel secondo – disciplinato dal comma 6-bis del medesimo articolo – è stato adottato il criterio della differenziazione per materia; nel processo tributario – per i ricorsi davanti alle commissioni tributarie – il successivo comma 6-quater stabilisce importi crescenti per scaglioni di valore delle liti. L’art. 14 del d.P.R. n. 115 del 2002 fissa i criteri per l’individuazione degli obbligati al pagamento e per la determinazione del valore dei processi. Nel processo civile il valore, fissato mediante rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo. Per quanto riguarda il processo amministrativo è prevista una disciplina specifica per i ricorsi in materia di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture e contro i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti. Nel processo tributario il comma 3-bis dell’art. 14, nel testo precedente le modifiche apportate dalla legge n. 147 del 2013, prevedeva che: «[ … ] il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito». L’art. 12, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – precedentemente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma l, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23» – stabiliva che «Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste». L’art. l, comma 598, della legge n. 147 del 2013 ha modificato il menzionato comma 3-bis dell’art. 14, specificando che il valore della lite è determinato «per ciascun atto impugnato anche in appello». A seguito delle modifiche alla disciplina della difesa tecnica, introdotte dal citato d.lgs. n. 156 del 2015, il riferimento al “valore della lite” è stato spostato dal comma 5 (che ha assunto un contenuto diverso) del citato art. 12 al precedente comma 2. Parallelamente, il richiamo al «comma 5», contenuto nell’art. 14 del d.P.R. n. 115 del 2002 è stato sostituito (dall’art. 10, comma 2, del citato d.lgs. n. 156 del 2015) con quello al comma 2 del medesimo art. 12.
Il contributo unificato, dunque, che ha natura di entrata tributaria, deve essere versato al momento del deposito dell’atto introduttivo del giudizio tributario innanzi la competente Commissione Tributaria, intendendosi per atto introduttivo del giudizio non solo il ricorso principale ma anche ogni atto processuale, autonomo rispetto a quello introduttivo, che comporti sostanzialmente un ampliamento del thema decidendum, come per esempio, tra gli altri, l’appello/ricorso incidentale ed i motivi aggiunti. L’importo del contributo unificato tributario deve essere determinato in relazione al valore della controversia che si intende instaurare che, per il processo tributario, corrisponde al valore dell’atto impugnato. Fatta questa doverosa premessa appare corretta l’interpretazione data dal primo giudice in ordine alla determinazione del CUT sulla base del valore degli atti impugnati, come descritto nell’invito al pagamento notificato dall’amministrazione ai contribuenti, per l’importo di Euro 3.750,00, detratto l’importo già corrisposto e, quindi, Euro 2.250,00 oltre alle sanzioni. Nessun mistero, come sostenuto dagli appellanti, sulla quantificazione delle somme, per come evincibile dall’atto impugnato nel quale si è fatto riferimento in base agli importi rideterminati dall’ufficio impositore sulla base degli esiti degli accertamenti svolti dal CTU, limitatamente alle operazioni bancarie prive di giustificazione, e riportati negli allegati della memoria di costituzione. Quanto al dedotto vizio di ultrapetizione, il motivo, nei limiti in cui si possa riconoscere ad esso autonomia rispetto alle censure sollevate , è infondato alla luce della lettura complessiva degli atti da cui si evince che la Ctp ha operato una ricostruzione dei criteri utilizzabili per determinare il valore della controversia, sostanzialmente oggetto del primo motivo. Va respinta, inoltre, la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. dell’amministrazione. La Corte di Cassazione, con sentenza 03 giugno 2013, n. 13899, ha statuito che compete al giudice tributario pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno da lite temeraria avanzata dal contribuente in quanto l’art. 96 c.p.c.: a) è applicabile al processo tributario in virtù del generale rinvio di cui all’articolo l, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992; b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’articolo 2043 cod. civ., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità; c) non detta tanto una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda sia proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati. Ciò premesso e tornando la caso in esame risulta che l’ufficio ha esercitato i propri compiti funzionali, provvedendo a trasmettere l’invito al pagamento del contributo unificato e conseguentemente delle sanzioni. Si tratta di una situazione che non lascia intravedere una deviazione dai principi di correttezza e lealtà di comportamento che caratterizzano un equo rapporto fra cittadino-contribuente e amministrazione finanziaria e tale comportamento non può essere inquadrato nell’ambito della colpa grave, per il sol fatto di avere dato corso, correttamente, all’azione di recupero del credito vantato dall’amministrazione finanziaria. Ne consegue che l’appello principale deve essere dunque respinto. Con riguardo all’appello incidentale in relazione al punto 4) dell’atto di controdeduzioni, non vi è spazio, in linea di puro diritto, per ritenere nullo l’appello principale: invero le ragioni su cui si fonda l’atto di gravame consentono di individuare i punti e le questioni della sentenza impugnata, tal che il motivo di impugnazione deve essere respinto. Per le ragioni innanzi dette, va respinto anche il motivo concernente il vizio di ultrapetizione pure avanzato dall’amministrazione finanziaria. Con specifico riguardo alle sanzioni occorre dire che la sanzione applicata del 200% dell’importo non versato a titolo di CUT, correttamente è stata ridotta al 100%. Ciò in considerazione del fatto che l’art. 71 del DPR 131/86 espressamente richiamato dall’art. 16, comma l-bis del T.U.S.G. prevede una sanzione amministrativa che va dal 100% al 200% della maggiore imposta dovuta nel caso di specie CUT non versato. In mancanza di particolari motivi (recidiva ecc.), che nel caso di specie non risultano evidenziati dall’Ufficio, è normale applicare la sanzione minima prevista dalla legge. Ogni ulteriore profilo resta assorbito. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando . ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede: Respinge l’appello principale; respinge l’appello incidentale; spese compensate.