Commissione Tributaria Regionale per l’Umbria, sezione 3, sentenza n. 13 depositata il 13 gennaio 2020

Accertamento – Documentazione contabile – Mancata esibizione – Responsabilità professionista – “Culpa in vigilando” contribuente – Sussiste – Comportamento fraudolento professionista – Esclusione.

Massima:

Per essere esente da responsabilità sanzionatorie il contribuente, in caso di omessa trasmissione di atti rilevanti ai fini fiscali (denuncia dei redditi) da parte del professionista abilitato, deve dimostrare di avergli fornito la provvista di quanto dovuto all’Erario e di aver vigilato sull’adempimento del mandato. La colpa è esclusa solo a fronte di un comportamento fraudolento del professionista finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (cfr. Cass.24385/16).

Testo:

A seguito di controlli la Guardia di Finanza accertava numerose e rilevanti violazioni fiscali da parte della xxxxx, esercente attività di trasporti merci, ovvero l’omessa dichiarazione per l’anno 2013 in quanto presentata solo al termine della verifica, procedendo al riesame dei ricavi e dei costi e rinvenendo varie violazioni tra cui il mancato storno del valore delle immobilizzazioni per alcuni automezzi. L’Ufficio, condividendo la verifica effettuata, ha determinato l’avviso di accertamento rideterminando il reddito ai fini Ires, Irap ed iva non riconoscendo le detrazioni per l’omessa dichiarazione. In sede di accertamento con adesione l’Ufficio ha proposto rettifica dei costi in 625.422,09 euro anziché in 529.076,69 euro confermando tutto il resto. Con il ricorso la società xxxxx ha dedotto l’infondatezza della pretesa tributaria, la violazione dell’obbligo di motivazione dell’accertamento, la violazione del principio della capacità contributiva, lamentando la responsabilità del commercialista citato in giudizio per responsabilità civile, facendo presente quanto all’iva di avere un credito da utilizzare in compensazione. Ha ritenuto penalizzante la proposta dell’Ufficio, in sede di adesione, di riconoscimento dei costi solo per 625.432,00 euro ritenendo per l’anno 20 13 esservi una perdita fiscale. Con sentenza n. 466/2018, depositata il 26 settembre 2018, la CTP di Perugia ha accolto il ricorso limitatamente alla rettifica dell’ammontare totale dei costi deducibili, come proposto dall’Ufficio in sede di adesione, per il resto respingendo il ricorso in considerazioni delle gravi violazioni accertate. Ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite, quantificate in 10.000,00 euro. La società xxxxx ha proposto appello per i seguenti motivi:

l) carente valutazioni delle eccezioni di merito esposte in primo grado:

la CTP non avrebbe per nulla motivato la propria decisione, non utilizzando la documentazione depositata, che comproverebbe in realtà per l’anno 2013 in contestazione una perdita fiscale di 685.775,00 non avendo il commercialista effettuato per sua colpa tutta una serie di adempimenti a vantaggio della società;

nel giudizio pendente nei confronti di xxxxx e xxxxx essi sono stati rinviati a giudizio per la sola IVA e non per IRES e IRAP;

2) violazione art. 112 c.p.c. corrispondenza tra chiesto e pronunciato:

il primo giudice non avrebbe esaminato tre motivi del ricorso (infondatezza pretesa tributaria, violazione obbligo motivazione dell’accertamento, capacità contributiva);

3) difetto motivazione assoluto della sentenza:

la CTP si sarebbe limitata ad aderire in modo del tutto acritico alla tesi dell’Ufficio;

4) difetto di motivazione ed illogicità anche del capo della sentenza sulle spese:

la condanna al pagamento di l 0.000 euro sarebbe del tutto illogica, non potendo la xxxxx essere ritenuta soccombente. Si è costituita l’Agenzia delle Entrate chiedendo il rigetto dell’appello.

In sintesi ha evidenziato in punto di fatto come l’appellante durante le verifiche non abbia esibito la documentazione contabile prevista dalle vigenti norme tributarie e civilistiche. Ciò ha determinato necessità di verificare i ricavi ed i costi utilizzando la banca dati “spesometro integrato” con un reddito da accertare pari a 815.238,36 euro. Il vero amministratore di fatto sarebbe stato sempre xxxxx xxxxx apparendo il xxxxx (amministratore e socio unico dal 3 luglio 2013) come una “testa di legno”;

la sentenza sarebbe motivata seppur succintamente come consente la legge;

la contabilità sarebbe stata alterata negli anni come ammesso dallo stesso xxxxx;

quanto al rilievo IVA esso sarebbe allo stato definitivo non avendo la ricorrente mosso alcuna censura con il ricorso introduttivo del giudizio;

la sentenza di primo grado sarebbe a suo dire corretta anche in punto di spese, essendo la xxxxx soccombente in primo grado in senso sostanziale. All’udienza pubblica del 18 novembre 2019, uditi i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione. Motivi della decisione 2.- L’appello è infondato e va respinto. 3.- Preliminarmente va rilevato la definitività dell’accertamento impugnato quanto all’iva, non avendo xxxxx dedotto “in parte qua” motivi di gravame, come eccepito dall’Ufficio.

4. – Non merita anzitutto condivisione il denunziato VIZIO di difetto di motivazione della sentenza appellata. L’articolo 118, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, è applicabile al processo tributario per il rinvio operato dall’articolo l del Dlgs 546/1992. La disposizione, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge 69/2009, prevede che “La motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”, mentre il richiamato n. 4) dell’articolo 132 dispone – analogamente all’articolo 36 del Dlgs 546/1992 – che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Secondo il costante insegnamento della Cassazione ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, sub specie di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero quando indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (ex multis Cassazione sezione VI, ordinanza n. 25856 del 15 dicembre 2016; id. 1756/06; id. 9113/12)”

Nel caso di specie, la motivazione della sentenza appellata, seppur indubbiamente assai succinta, consente comunque ad avviso di questa Commissione di pervenire alla ricostruzione dell’iter logico si da escluderne la nullità.

5. – La sentenza di primo grado, pur nella sinteticità che la caratterizza, ha dato infatti assorbente rilievo alle gravi violazioni tributarie commesse dall’odierna appellante, la quale durante le verifiche non ha esibito la documentazione contabile prevista dalle vigenti norme tributarie e civilistiche. La documentazione solo successivamente presentata si è poi rivelata complessivamente del tutto inattendibile, come d’altronde ammesso dallo stesso xxxxx quale amministratore di fatto ex art. 3 7 comma 3 d.P.R. 600/73, senza che possa invocarsi- come fatto dall’appellante- l’esimente dell’inadempimento del professionista incaricato di tenere la contabilità, non avendo fornito sufficienti elementi idonei a comprovare l’assenza di colpa in vigilando. Per giurisprudenza costante – da cui la Commissione non ravvisa ragioni per discostarsi – il contribuente, se vuole essere esentato da responsabilità sanzionatorie in caso di omessa trasmissione della dichiarazione da parte del professionista abilitato, deve dimostrare di aver fornito al medesimo professionista, poi denunciato all’autorità giudiziaria, la provvista di quanto dovuto all’Erario e di avere vigilato sul puntuale adempimento del mandato, dimostrare l’assenza di colpa in vigilando, nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (ex plurimis Corte di Cassazione, ordinanza n. 19422 del20 luglio 2018). Va poi ribadito come ai fini della deducibilità dei costi è indispensabile l’iscrizione delle quote di ammortamento dei beni strumentali nel registro dei cespiti ammortizzabili (ex multis Cassazione 30 novembre 2016, n. 24385).

6. – Non rilevante infine nemmeno il motivo d’appello di violazione dell’art. 112 c.p.c . Posto che l’omesso esame di alcuni motivi di ricorso non comporta l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado, bensì il riesame della questione controversa da parte del giudice d’appello (Comm. trib. reg., Milano, sez. XXIV, 24 maggio 2018, n. 23 79) la pretesa tributaria azionata dall’Ufficio appare, per le ragioni già precedentemente indicate, pienamente fondata.

7. – Infine, non merita adesione nemmeno il motivo di appello mosso avverso la statuizione sulle spese. Il giudice di prime cure ha infatti correttamente applicato il criterio legale della soccombenza, non sussistendo “gravi ed eccezionali ragioni” per discostarsene, risultando xxxxx soccombente in senso sostanziale in primo grado, avendo la CTP accolto il ricorso limitatamente alla rettifica dell’ammontare totale dei costi deducibili, per il resto pienamente confermando l’operato dell’Ufficio e respingendo il ricorso. La disposizione di cui al comma 2 dell’art. 92 c.p.c., con la modifica introdotta dall’art. 45, comma 11, l. n. 69 del2009, consente di compensare le spese di lite e, quindi di derogare alle regole della soccombenza, quando sussistono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere esplicitamente indicate nella motivazione. Rispetto alla precedente previsione normativa, che consentiva la compensazione delle spese quando “concorrono altri giusti mortivi” il legislatore ha inteso restringere i casi di compensazione, limitandoli alle sole circostanze in cui ricorrano gravi e straordinarie motivazioni (ex multis Comm. trib. reg., Milano, sez. VII, 24 maggio 2013, n. 80).

8. – Per i suesposti motivi l’appello è infondato e va respinto. Le spese di lite del giudizio d’appello seguono la soccombenza, secondo dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale dell ‘Umbria, definitivamente pronunciando, respinge l’appello. Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, in misura di 8.000,00 (ottomila//00) euro, oltre accessori di legge.