COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Piemonte sez. 5 sentenza n. 230 depositata il 9 febbraio 2017
ACCERTAMENTO – ATTIVITA’ AGRICOLA – AGRITURISMO
La parte ha offerto adeguata dimostrazione di un effettivo e concreto esercizio di attività agricola e di allevamento di bestiame nei confronti della quale l’attività agrituristica si pone in termini di complementarietà e connessione, con documentata produzione in atti della consistenza dell’azienda agricola, quanto ad estensione delle coltivazioni ed entità dell’allevamento di bestiame.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorsi tempestivamente depositati, la signora M.F. impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli, chiedendone l’annullamento, gli avvisi di accertamento notificatile dall’Agenzia delle Entrate con i quali, sulla base di una verifica condotta dall’Inps, era contestata la correttezza degli adempimenti di carattere assicurativo previdenziale nelle annualità dal 2005 al 2010 ed in particolare l’esercizio di normale attività di ristorazione senza avere mai assunto la caratteristica di attività connessa ed accessoria a quella agricola, essenziale ai fini del riconoscimento di impresa dedita ad agriturismo; conseguentemente l’Ufficio aveva operato controlli fiscali sulla base e, inquadrata l’attività in quella di ristorazione e rilevate incongruenze dalle stesse dichiarazioni fiscali presentate dalla parte per gli anni 2007 e 2008, aveva accertato maggiori ricavi e rideterminato il reddito d’impresa.
Le doglianze di parte ricorrente riguardavano: l’automatismo delle motivazioni riprese dal verbale Inps, l’inesistenza e la nullità del provvedimento per mancanza di sottoscrizione e la mancata redazione di p.v.c. in violazione dell’inderogabile principio di cui all’art. 12 della L. n. 212 del 2000 che aveva comportato l’impossibilità della parte accertata di poter introdurre nel termine essenziale di 60 giorni motivazioni idonee a configurare l’esercizio del diritto di difesa, con conseguente nullità dell’invito a comparire notificato successivamente all’adozione del provvedimento impugnato.
Veniva, altresì, eccepita violazione dell’art. 220 c.p.p. con la conseguente inutilizzabilità sia in sede previdenziale che tributaria di ogni elemento di prova raccolto ed in particolare di ogni dichiarazione resa dalla ricorrente.
Nel merito dell’accertamento, veniva invocata la nullità per la genericità dell’individuazione del provvedimento dell’Inps e per non essere stati mossi autonomi rilievi nel provvedimento dell’Agenzia che si era limitata a recepire le determinazioni di un diverso ufficio. In particolare si sosteneva che i prodotti utilizzati per l’esercizio dell’agriturismo potevano pervenire anche tramite lavorazioni esterne ovvero da prodotti derivati da cooperative e consorzi agricoli operanti in ambito locale o regionale di cui la ricorrente faceva parte, sicché si contestava il verbale elevato dall’Inps di Vercelli da cui discendeva il disconoscimento totale della natura agrituristica esercitata dalla ricorrente nonostante che essa avesse fornito in quella sede tutti gli elementi per dimostrarla.
In subordine si chiedeva la rideterminazione dell’eventuale maggior reddito e dell’Iva con riconoscimento dei costi e, in ulteriore subordine, l’annullamento o quanto meno la rideterminazione delle sanzioni.
L’Ufficio si costituiva ritualmente contestando ogni rilievo e chiedendo il rigetto dei ricorsi.
In particolare ribadiva come l’attività esercitata dalla ricorrente non potesse essere ritenuta accessoria ad una attività agricola principale, posto che cibi e bevande somministrati ai clienti risultavano acquistati da soggetti esterni, come dimostrato dalle relative fatturazioni.
Legittimamente dunque si era provveduto alla ricostruzione dei ricavi ed alla rideterminazione del maggiore reddito di impresa per le annualità in questione, avuto riguardo al comportamento antieconomico dell’attività di ristorazione avente redditività irrisoria ed alla percentuale di ricarico mediamente applicabile all’attività di ristorazione sulla base degli studi di settore.
Con sentenza 22.1/9.7.2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli, previa riunione dei ricorsi, riteneva infondati i rilievi della ricorrente in ordine alla mancata sottoscrizione degli atti impositivi ed alla pretesa illegittimità degli accertamenti perché emessi sulla scorta del processo verbale redatto dall’Inps; accoglieva tuttavia i ricorsi in ordine alla mancata redazione e comunicazione del p.v.c. e per l’effetto, ritenuto il rilievo assorbente, annullava gli accertamenti, disponendo la compensazione delle spese.
Avverso tale pronuncia ha proposto appello l’Ufficio, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 12, co. 7, L. n. 212 del 2000 e 1, L. n. 241 del 1990, in quanto l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di redigere un processo verbale prima dell’emissione dell’atto, essendosi trattato di attività di accertamento svoltasi senza verifica, ispezione od accesso presso la sede della contribuente e non sussistendo nell’ordinamento un generale obbligo di contraddittorio gravante sull’Ufficio prima di emettere l’accertamento. Nel merito ha riproposto integralmente le difese svolte in primo grado, sia per quanto riguarda i punti già esaminati dalla Commissione Provinciale che per quanto riguarda il merito dell’accertamento.
La signora F. ha depositato controdeduzioni ed appello incidentale chiedendo in principalità il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata.
In primo luogo si è insistito sulla nullità derivante dal mancato contraddittorio prima dell’emissione dell’accertamento, citando a sostegno la giurisprudenza comunitaria e della Corte di cassazione.
Lamenta poi la signora F. l’insussistenza della specifica riproposizione ex art. 56 D.Lgs. n. 546 del 1992 delle controdeduzioni ai motivi del ricorso introduttivo. Essendosi limitato l’Ufficio a richiamarle, vi sarebbe il mancato assolvimento dell’obbligo di riproposizione delle questioni ed eccezioni sollevate in primo grado con conseguente presunzione di rinuncia ad esse da parte dell’Ufficio.
Si sarebbe inoltre in presenza di accertamento induttivo ex artt. 39 co. 2 D.P.R. n. 600 del 1973 e 55 co. 2 D.P.R. n. 633 del 1972 e non invece di accertamento analitico-presuntivo ex artt. 39 co. 1 D.P.R. n. 600 del 1973 e 543 co. 3 D.P.R. n. 633 del 1972.
Assume ancora l’appellante incidentale che il Tribunale di Vercelli, con sentenza 7.11.2014 che si è riservata di produrre non appena depositate le motivazioni, ha accertato, in sede penale, l’effettiva esistenza dell’attività di agriturismo, avendo assolto la signora F. dal reato di cui all’art. 515 c.p. contestato a seguito dei rilievi dell’Inps.
La parte ha poi specificamente riproposto le domande ed eccezioni svolte in primo grado e dichiarate assorbite nella pronuncia della Commissione Provinciale per effetto dell’accoglimento della questione relativa al contraddittorio.
In primo luogo è stata ribadita la richiesta di declaratoria di inutilizzabilità delle prove sia orali (dichiarazioni della F.) che documentali (verbali dell’Inps) acquisite in asserita violazione del diritto di difesa, sul presupposto dell’applicabilità anche al procedimento amministrativo del disposto dell’art. 220 disp. att. c.p.p., per effetto della sanzione di inutilizzabilità delle prove illegittimamente raccolte prevista dall’art. 191 c.p.p.
Ulteriore doglianza riguarda la pretesa nullità degli avvisi per mancanza di motivazione, in quanto tratta meramente per relationem dal precedente verbale dell’Inps: ad avviso della parte l’Agenzia delle Entrate non avrebbe potuto limitarsi a recepire la valutazione di altra amministrazione, dovendo proporne una propria ed autonoma.
Lamenta ancora la signora F. la contraddizione in cui sarebbe incorso l’Ufficio, posto che gli avvisi di accertamento impugnati richiamano gli artt. 39, co. 1 lett. d) e 40 D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 D.P.R. n. 633 del 1972 e dunque un accertamento analitico contabile, mentre si è poi affermato procedersi ad accertamento induttivo.
In ogni caso, difetterebbero i requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni, tale non potendo essere il mero richiamo al ricarico minimo sul costo del venduto in quanto dato non certo ma tratto dagli studi di settore. Analoghi vizi sarebbero ravvisabili per quel che concerne il riferimento all’art. 54 D.P.R. n. 633 del 1972, posto che la rettifica non deriva da controllo contabile o da elementi raccolti ex art. 51 DPR citato.
Per quanto attiene alla pretesa violazione della normativa sull’attività di agriturismo, la parte, citata la normativa regionale in materia, afferma la sussistenza dei requisiti sia per quanto riguarda il tipo di attività agricola e di allevamento di bestiame svolta, sia tenuto conto delle giornate lavorative, sì da dimostrare che l’attività agrituristica si pone in rapporto di complementarietà e connessione. Ne sarebbe riprova l’esame della struttura dell’azienda agricola, quale risulta anche dalle fotografie aeree dei fondi, in ogni caso tenuto conto che la normativa prescrive che i prodotti propri siano utilizzati prevalentemente e non esclusivamente, come invece sostenuto dall’Inps e che la fornitura di cibi e prodotti possa avvenire anche attraverso lavorazioni esterne provenienti da consorzi o cooperative agricole operanti in ambito locale o regionale di cui l’azienda faccia parte. In particolare, le fatture di macellazione evidenziano la provenienza interna all’azienda della carne offerta alla clientela.
Ad avviso della parte, la scelta di adottare il regime ordinario del reddito per gli anni dal 2006 in poi non sarebbe in contraddizione con la natura di agriturismo dell’attività, trattandosi di facoltà concessa dalla legge.
Né sarebbe ravvisabile un comportamento antieconomico dell’attività di ristorazione in relazione al volume d’affari da settore agricolo, essendo stato dichiarato il reddito agrario come determinato catastalmente. Inoltre non sarebbero stati considerati dagli accertatori i redditi provenienti da locazioni ed i contributi PAC del periodo.
Riprendendo un argomento già introdotto ad altri fini, un ulteriore profilo di pretesa nullità degli accertamenti è ravvisabile, ad avviso della parte, nel ricorso in via esclusiva alla media percentuale di ricarico sul costo del venduto tratta dagli studi di settore, non trattandosi fatto noto da cui può trarsi la presunzione, tanto più che, secondo quanto affermato negli accertamenti, l’indice utilizzato è genericamente tratto da studi di settore per attività di ristorazione e senza che si sia tenuto conto dei relativi costi.
Quanto poi all’attività svolta, vengono contestate le conclusioni cui è pervenuto l’Inps per negare la natura di agriturismo in quanto: le giornate lavorative impegnate dalla signora F. per l’attività dell’azienda agricola sono congrue ai sensi della normativa regionale, essendole stato riconosciuto il possesso dei requisiti delle figure professionali operanti in agricoltura; i prodotti forniti provengono prevalentemente dall’azienda agricola o da cooperative di cui la stessa fa parte; quantunque non siano documentati i passaggi interni di prodotti dall’azienda agricola a quella di agriturismo, come contestato dall’Inps, la produzione di tali prodotti è documentata dalla consistenza dei fondi coltivati, quali risultanti dalle fotografie aeree; l’emissione di autofatture non è richiesta da alcuna normativa.
Il verbale dell’Inps è contestato poi anche per quanto riguarda i rilievi sulle posizioni assicurative da cui è conseguita la cancellazione della signora F. dalla gestione coltivatori diretti, basati sulle sue dichiarazioni secondo cui ella si occupa pressoché esclusivamente dell’attività agrituristica e soltanto occasionalmente di quella agricola, della quale si occupa unicamente il signor F.G. (per il quale infatti è stato riconosciuto il possesso dei requisiti per l’iscrizione negli elenchi dei coltivatori diretti), mentre alla cucina dell’agriturismo è dedita la signora M.M., madre della contribuente; ed ancora il fatto che, dall’esame del registro dei corrispettivi e delle fatture d’acquisto e dalle dichiarazioni della parte, è emerso che l’attività di agriturismo si svolge per quasi l’intero corso dell’anno con impegno giornaliero. Ad avviso dell’appellante incidentale, i suddetti assunti sarebbero smentiti da quanto sostenuto in precedenza in ordine all’impegno della signora F. nell’attività agricola, mentre la durata dello svolgimento dell’attività nel corso dell’anno non trova limitazioni normative. Ad avviso della parte, si tratta di motivazioni illegittime e infondate e comunque rilevanti esclusivamente ai fini della iscrizione negli elenchi dei coltivatori diretti.
In ogni caso, viene eccepita l’illegittimità dei verbali Inps per carenza di motivazione, comunque generici e privi di riferimenti alla situazione concreta, nonché per la già invocata inutilizzabilità delle dichiarazioni confessorie.
La parte ripropone poi, con appello incidentale, le doglianze ritenute infondate dalla Commissione Provinciale ed in particolare la mancata prova della sottoscrizione degli atti da parte di soggetto avente la qualifica dirigenziale richiesta e la nullità dell’accertamento per il richiamo per relationem ai verbali dell’Inps.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La giurisprudenza citata dall’appellante incidentale è inconferente, posto che Cass. S.U. n. 19667/2014 non ha affatto affermato l’imprescindibilità del previo contraddittorio in generale, bensì nello specifico caso dell’iscrizione di ipoteca ex art. 77, D.P.R. n. 602 del 1973.
È invece assolutamente consolidato il principio secondo cui “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. a tavolino” (Cass. Sez. Un. 9.12.2015, n. 24823); nello stesso senso e più diffusamente la giurisprudenza di legittimità ha precisato ha ancora più recentemente affermato che “le garanzie di carattere procedimentale predisposte dallo Statuto del contribuente trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, e non anche in relazione agli accertamenti conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in relazione agli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altri enti pubblici, da terzi, ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. verifiche a tavolino). La differenza tra le due ipotesi di verifica (“in loco” o “a tavolino”) giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità. Inoltre, l’insussistenza, nell’ordinamento tributario nazionale, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale non viola il diritto di difesa costituzionalmente tutelato, atteso che tale tutela attiene all’ambito giudiziale” (Cass. 2/5/2016, n. 8628).
Errata è dunque sul punto la pronuncia della Commissione Provinciale, assolutamente in contrasto con la lettera della norma e con la giurisprudenza formatasi sul punto.
In ordine alla pretesa inutilizzabilità delle prove, se può discutersi in ordine alle dichiarazioni contra se rese dal contribuente, peraltro irrilevanti nel caso di specie, lascia invero stupiti il riferimento alla prova documentale, in particolare i verbali dell’Inps, frutto di verifica di quell’Ente, ritualmente notificati alla contribuente e non impugnati. Si è in presenza di una ampia citazione di opinioni di dottrina per la gran parte riferita al procedimento penale, e dunque inconferenti, per altra parte non minimamente condivisibili dal momento che presuppongono una estensione delle garanzie dettate per il procedimento penale a quello amministrativo priva di supporto costituzionale prima ancora che legislativo e giurisprudenziale, tant’è che la stessa parte ha dovuto ricorrere alla distinzione tra necessità di assistenza del difensore e facoltà di farsi assistere, ma anche in questo caso con riferimento all’art. 12 dello Statuto, norma non applicabile al caso di specie in quanto volta a regolare accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’impresa.
Del tutto irrilevante è poi il “momento topico di passaggio dall’attività ispettiva al procedimento penale” (pag. 33 dell’appello incidentale), vertendosi su piani affatto diversi, posto che, come detto, non è in questione l’applicabilità del divieto di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p., posto a garanzia di difesa del soggetto potenzialmente sottoponibile ad indagini penali. Per convincersene ulteriormente, è sufficiente ricordare la consolidata giurisprudenza che distingue tra divieto di prova testimoniale e, al contrario, utilizzabilità nel procedimento tributario delle dichiarazioni rese da terzi, che non potrebbero avere invece ingresso nel processo penale.
Per quanto riguarda il preteso vizio di mancanza di motivazione per essersi trattato di mero richiamo per relationem al verbale dell’Inps, è sufficiente riportare il passo dell’avviso di accertamento in cui, dopo la premessa dell’essere il p.v. e gli allegati parte integrante dell’atto, si precisa che “a norma della L. n. 730 del 1985 della successiva L. n. 96 del 2006, l’attività di agriturismo si qualifica come attività di ricezione ed ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., attraverso l’utilizzazione della propria azienda, in rapporto di connessione e complementarità rispetto alla coltivazione del fondo, silvicoltura, all’allevamento di bestiame. Ancora, rientrano tra tali attività, la somministrazione sul posto di pasti e bevande costituiti prevalentemente da prodotti propri. Sono considerati di produzione propria le bevande ed i cibi prodotti e lavorati nell’azienda agricola, nonché quelli ricavati da materie prime dell’azienda agricola anche attraverso lavorazioni esterne. Nel caso de quo, dall’esame analitico della fatturazione effettuata durante il controllo, l’attività di ristorazione esercitata non può qualificarsi come attività agrituristica, in quanto i prodotti somministrati alla clientela provengono esclusivamente da ditte di distribuzione alimentare, né tantomeno l’azienda è stata in grado di dimostrare i cosiddetti passaggi interni dei prodotti aziendali”.
Il principio di adeguatezza della motivazione è dunque rispettato, senza che possa ravvisarsi una “insufficienza di motivazione per eccesso di motivazione” (locuzione che l’appellante incidentale ha tratto da Cass. n. 10680/2009 riportata pressoché per intero nell’atto), proprio perché l’Ufficio, nel passo di cui sopra, ha incentrato i suoi rilievi su di un profilo ben specifico (la provenienza dei prodotti) agevolmente percepibile anche da un contribuente eventualmente dotato di bassa capacità di comprensione.
Per quanto attiene all’individuazione del tipo di accertamento, è stato ancora di recente affermato che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli elementi considerati, ma nasce solo in seguito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. E’ legittimo l’accertamento analitico-induttivo fondato, non sulle risultanze dello studio di settore, ma sul reddito dichiarato dal contribuente, laddove lo stesso risulti particolarmente basso, ossia indicativo di un comportamento illogico ed antieconomico” (Cass. 20/7/2016, n. 14893), che è quanto sostenuto dall’Ufficio nel caso de quo, pur traendo spunto anche dagli studi di settore.
Da ultimo, non è in alcun modo condivisibile il rilievo di presunta inammissibilità dell’appello principale, per mancato assolvimento dell’obbligo di riproposizione delle questioni ed eccezioni sollevate in primo grado che, non esaminate dai primi giudici, sono state invece tutte richiamate ed accennate adeguatamente seppure in sintesi, senza che sussistesse per il principio di devoluzione, l’obbligo di integrale riscrittura e senza, dunque, che abbia il benché minimo fondamento la tesi di una intervenuta rinuncia, come sostenuto dall’appellante incidentale.
Del tutto infondate, dunque, erano e sono le doglianze di parte contribuente sui punti sin qui esaminati; ritiene peraltro la Commissione che nel merito l’appello principale dell’Ufficio non possa trovare accoglimento.
Se, infatti, è invalso nei tempi recenti un abusivo ricorso alla struttura ed alla relativa normativa agevolata in materia di agriturismo, non pare che il caso di specie possa essere ricondotto ad una tale distorsione.
La parte ha offerto adeguata dimostrazione di un effettivo e concreto esercizio di attività agricola e di allevamento di bestiame nei confronti della quale l’attività agrituristica si pone in termini di complementarietà e connessione, con documentata produzione in atti della consistenza dell’azienda agricola, quanto ad estensione delle coltivazioni ed entità dell’allevamento di bestiame.
Si è in presenza di una situazione in cui, come è stato accertato, la signora F. è titolare dell’agriturismo, la madre opera in cucina, come verificato dagli ispettori dell’Inps, il figlio svolge attività di macellazione e riveste la qualifica di coltivatore diretto.
In un tale contesto in cui il carattere familiare del complesso dell’attività appare evidente, a fronte degli elementi portati dalla contribuente, la prova dell’insussistenza delle condizioni per riconoscere l’attività di agriturismo avrebbe dovuto essere fornita dall’Ufficio in termini ben più rigoroso e pregnanti che non il mero riferimento al fatto che i prodotti venduti nell’agriturismo provengano anche da soggetti esterni e che la signora F. non risulti più iscritta nella gestione coltivatori diretti, giacché tale cancellazione non equivale alla perdita della qualità di imprenditore agricolo, tutto ciò specie se si considera che il verbale dell’Inps si basa pressoché esclusivamente sulle dichiarazioni della stessa signora F. che, del tutto onestamente, ha rappresentato la vera essenza della complessa attività.
L’insufficienza degli elementi posti a fondamento dell’accertamento ne comporta l’illegittimità ed il conseguente annullamento.
Per effetto del rigetto dell’appello principale e di quello incidentale, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
rigetta l’appello principale e l’appello incidentale.
Compensa le spese del presente grado.
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