COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ROMA – Sentenza 09 luglio 2013, n. 189
Tributi – Processo tributario – Procedimento – Sanzione per lite temeraria – Applicabilità nel processo tributario – Legittimità
Svolgimento del processo
Con il gravame proposto in data 2/03/2012, il sig. L. F. appella la sentenza della CTP di Roma – Sez. 28 n. 525/28/11 del 13/10/2011 – 18/11/2011, che ha accolto (con compensazione delle spese di giudizio) il suo ricorso presentato contro il preavviso di fermo amministrativo n. 097 2010 000053432 per addebiti tributari vari per complessivi euro 5.405,49, emesso da E.G. s.p.a., in quanto fondato su cartelle già annullate, su cartelle in contestazione e su cartelle mai notificate, avendo ritenuto il giudice tributario viziata la modalità di notifica dell’atto (ricevuto dal portiere dello stabile in cui il contribuente non risiedeva più) e quindi la nullità dell’atto stesso.
Con l’atto di appello il contribuente eccepisce l’illegittimità della sentenza per avere la CTP di Roma dichiarata la compensazione delle spese senza che ricorresse l’ipotesi di soccombenza reciproca e senza l’indicazione dei giusti motivi che potessero giustificarla, come previsto dall’art. 15 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dal combinato disposto di cui all’art. 1, comma 2, e art. 92 c.p.c., nonché per aver omesso di pronunciarsi sulla domanda formulata di lite temeraria ex art. 96 c.p.c., poiché l’operato del concessionario della riscossione si era basato su tutti atti già annullati, con evidente mala fede e colpa grave dell’autore, integrante il reato di stolking finanziario. A sostegno delle proprie ragioni il contribuente ha allegato all’appello specifica documentazione. Conclude chiedendo la condanna della controparte alle spese del doppio grado di giudizio, quantificate in euro 8.100,00, nonché al risarcimento dei danni per lite temeraria, da liquidarsi in euro 11.556,60 ovvero secondo equità.
Con atto prodotto in data 20/11/2012 si è costituita in giudizio l’appellata Equitalia Sud s.p.a., chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza del gravame proposto, sostenendo che il concessionario della riscossione è estraneo dalla formazione del ruolo, spettante unicamente all’ente impositore, e quindi non è titolare del rapporto sostanziale fra ente e contribuente, essendo solo legittimato a provvedere alla sua riscossione; eccepisce, inoltre, la carenza di giurisdizione del giudice adito relativamente alla richiesta di risarcimento del danno per comportamento illecito dell’Amministrazione finanziaria, spettante unicamente al giudice ordinario; nel merito della vicenda sostiene il dovere del concessionario di procedere alla riscossione finché dall’estratto telematico ricevuto risulti la sussistenza del ruolo formato dall’ente impositore e quindi fin tanto non sia comunicato un provvedimento di sgravio; afferma la regolarità delle notifiche effettuate delle cartelle di pagamento, alcune direttamente al destinatario (e per le quali pende ricorso) ed altre al portiere dello stabile (che avendole accettate e sottoscritte, ha lasciato supporre trattarsi della residenza di fatto del contribuente), ovvero ad addetto alla ricezione; in particolare, ritiene che il contribuente avrebbe dovuto impugnare a mezzo di querela di falso il comportamento del portiere, stante il carattere fidefacente dell’operato dell’agente postale; fa, infine, presente che per sua natura il fermo amministrativo, soprattutto se non iscritto nei pubblici registri, non può produrre alcun danno patrimoniale. Conclude chiedendo la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice tributario a favore del giudice ordinario relativamente alla richiesta di risarcimento dei danni ed il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza, con la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di giudizio (da distrarsi) ovvero, in mancanza, la compensazione delle spese fra le parti.
Con memoria prodotta in data 23/04/2013 ha replicato l’appellante, sostenendo: a) l’inammissibilità della costituzione in giudizio di Equitalia Sud s.p.a ed il difetto di ius postulandi per violazione dell’art. 182 c.p.c., per carenza di procura alle liti, per estraneità al giudizio di primo grado e per difetto di rappresentanza giudiziale del soggetto agente; b) l’irregolarità delle notifiche delle cartelle impugnate; c) la legittimità della richiesta di lite temeraria.
All’esito del dibattimento del giorno 13 maggio 2013, la causa è passata in decisione.
Motivi della decisione
L’appello è parzialmente fondato e va quindi accolto nei limiti e per i motivi di seguito esposti.
L’appellante si è innanzi tutto lamentato che la CTP di Roma abbia compensato le spese del giudizio senza che ne ricorressero i presupposti. Prevede al riguardo la vigente normativa (combinato disposto dell’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 92, comma 2, del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 26) che “1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile”.
Quest’ultima disposizione stabilisce a sua volta che “1. Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’articolo 88, essa ha causato all’altra parte. 2. Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. 3. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”.
Poiché nella sentenza impugnata la CTP di Roma non ha voluto o potuto esplicitare in motivazione le gravi ed eccezionali ragioni che giustificassero la decisione al riguardo assunta, dovendosi supporre che anche per il primo giudice valga il brocardo latino “ubi voluit dixit, ubi noluittacuit”, la sentenza è sul punto illegittima in quanto immotivata e quindi meritevole di riforma nel senso richiesto dall’appellante.
Per quanto riguarda, invece, la richiesta applicazione della cd. lite temeraria [recte: responsabilità aggravata), che come è noto è la sanzione, prevista dall’art. 96, comma 1, del codice di procedura civile (“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”), applicabile anche al rito tributario, che punisce il comportamento processuale della parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede e colpa grave, essendo consapevole della infondatezza della propria pretesa o difesa, si ritiene non sussistano le condizioni per accogliere la richiesta dell’appellante.
Va osservato in proposito che l’appellato concessionario della riscossione non ha (ovviamente) promosso il giudizio di primo grado e neppure questo in grado di appello, avendo fatto acquiescenza alla sentenza di prima istanza, che nel suo contenuto di merito non risulta contestata da nessuna parte in causa; in entrambi i giudizi il concessionario si è limitato ad esplicitare il proprio diritto di difesa, costituzionalmente garantito, facendo tra l’altro presente che i motivi di doglianza formulati dall’attore sul proprio operato sono dovuti, quanto meno in parte, ad attività di competenza dell’ente impositore che non gli a-vrebbe tempestivamente comunicato l’annullamento o la modifica della pretesa tributaria, escludendo quindi ogni finalità persecutoria da parte sua. Né del resto l’appellante ha potuto fornire in tal senso un’apprezzabile prova contraria. In definitiva, dunque, non sembrano ricorre i presupposti per l’applicazione della sanzione per responsabilità aggravata e la relativa richiesta non può essere accolta.
Le spese seguono la soccombenza (art. 15 del D. Lgs. n. 546 del 1992 ed art. 91 c.p.c.). Considerate le condizioni di fatto e di diritto sulle quali si è svolta la vicenda dedotta, appare congruo liquidare le spese di giudizio in complessivi euro 1.000,00 per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie l’appello relativamente alle spese di giudizio, che liquida per entrambi i gradi in euro 1.000,00. Rigetta la richiesta di lite temeraria.