COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ROMA – Sentenza 12 gennaio 2017, n. 7

Riscossione e misure cautelari – Cartella esattoriale – Equitalia – Notifica diretta tramite il servizio postale – Ammissibilità

Fatto e diritto

L’Ufficio notificava in data 29/12/2011 avviso di accertamento agli effetti Irap, Ires e Iva a carico di G. srl, avendo questa omesso di presentare le relative dichiarazioni fiscali.

La notificazione veniva effettuata a mezzo posta (art. 14 L. n. 890/82) e successivamente, per irreperibilità del destinatario, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con deposito presso la casa comunale e contestuale invio di raccomandata, pervenuta il 20/1/2012.

La ricorrente ritirava il plico il 24/1/2012 successivo e impugnava l’atto con ricorso spedito il 23/3/2012, deducendone la insufficienza di motivazione, in quanto fondato su elaborazioni prive di indicazioni circa il soggetto bancario di provenienza e per errata imputazione alla G. anche delle movimentazioni del sig. C., unico intestatario dei conti correnti.

L’Ufficio si costituiva in giudizio per resistere, eccependo la inammissibilità del ricorso perché presentato oltre il 60^ giorno dalla data di notificazione, che l’Ufficio riteneva – essere quella di ricezione della raccomandata informativa (20/1/2012) e non quella di effettivo ritiro dell’atto, avvenuta il 24/1/2012.

La Commissione tributaria provinciale dichiarava la inammissibilità del ricorso per decorso dei termini stabiliti dall’art. 21 D.Lgs. n. 546/92.

Appella la soc. G., sostenendo la erroneità della sentenza perché la data di notificazione andrebbe individuata nel 24/1/2012, data di avvenuto ritiro dell’atto, così come stabilito nella decisione n. 3 del 14/1/2010 della Corte costituzionale.

Sostiene, altresì, l’inidoneità sotto il profilo probatorio degli elenchi elaborati dall’Ufficio e la illegittimità della imputazione alla G. di movimentazioni bancarie ascrivibili al sig. B.C., amministratore della società, in proprio.

Reitera, poi, la censura di iniquità dell’accertamento per sproporzione rispetto al volume di affari e di erroneità del metodo seguito dall’Ufficio nel determinare il reddito, fondato su sommatoria di dati fra loro disomogenei.

Controdeduce l’Agenzia delle entrate, sostenendo la legittimità della pronuncia di inammissibilità del ricorso di I grado per tardività, in quanto la notifica è stata correttamente effettuata ai sensi dell’art. 140 cpc, secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 35 del 2010 (perfezionamento della notifica alla data di ricevimento della cd. raccomandata informativa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla spedizione). Nel caso di specie la data di ricezione della raccomandata era il 20/1/2010, da cui la tardività del ricorso).

Eccepisce, poi, la mancanza di specificità dei motivi di ricorso di I grado e la infondatezza nel merito delle censure proposte avverso l’atto di accertamento, nonché il valore di presunzione legale iuris tantum degli accertamenti effettuati dall’Ufficio, superabile con prova contraria del contribuente (nella fattispecie, non avvenuta) e la legittimità, nel caso di società a ristretta base sociale, degli accertamenti estesi a soggetti terzi legati alla attività d’impresa (amministratori, dipendenti, coniuge e familiari conviventi).

Replica la società appellante con memoria aggiunta, ribadendo le ragioni dell’appello.

La Commissione, visti gli atti e letta la documentazione depositata rileva quanto segue.

In primo luogo, va affermata la tempestività del ricorso di I grado, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici che lo hanno ritenuto inammissibile perché tardivo rispetto alla data di ricevimento della raccomandata informativa (20/1/2012) relativa alla notifica dell’accertamento ex art. 140 c.p.c.. Invero, stante l’espresso richiamo dell’art. 60 del D.P.R. 600/1973, la notificazione degli atti tributari deve essere eseguita secondo le disposizioni contenute negli artt. 137 e ss. del c.p.c.

La richiamata normativa dispone che qualora non sia possibile eseguire la notificazione mediante la consegna in mani proprie al destinatario ex art. 138 c.p.c., ovvero, qualora questi non sia reperito nel domicilio che risulta all’ufficio notificatore, né siano reperite persone idonee a ricevere la notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c., deve applicarsi il meccanismo sussidiario previsto dall’art. 140 c.p.c.

Esso prevede tre distinti adempimenti a carico del messo notificatore:

il deposito di copia dell’atto presso la casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi;

l’affissione dell’avviso di deposito, in busta chiusa e sigillata, sulla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario;

la spedizione al destinatario di una raccomandata con avviso di ricevimento per avvisarlo dell’avvenuto deposito.

L’avviso al destinatario della notificazione, secondo l’art. 48 Att., deve contenere: 1) il nome della persona che ha chiesto la notificazione e del destinatario; 2) l’indicazione della natura dell’atto notificato; 3) l’indicazione del giudice che ha pronunciato il provvedimento notificato o davanti al quale si deve comparire con la data o il termine di comparizione; 4) la data e la firma dell’ufficiale giudiziario.

Punto fondamentale della questione è quello di stabilire con certezza il momento di perfezionamento della notifica, potendo esso concretizzarsi in un momento diverso per quanto riguarda il notificante e per quanto riguarda il destinatario.

Se infatti per il notificante la notifica può dirsi perfezionata al momento del compimento dell’ultima delle tre formalità previste dalla norma (invio della raccomandata), non altrettanto può affermarsi per quanto riguarda il destinatario.

Al riguardo è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 3 del 14.01.2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c. nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa “anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione”.

La Corte ha statuito che l’art. 140 cit., facendo decorrere i termini per la tutela in giudizio del destinatario da un momento anteriore alla concreta conoscibilità dell’atto a lui notificato, viola i parametri costituzionali del contribuente per il non ragionevole bilanciamento tra gli interessi del notificante e quelli del destinatario, in una materia nella quale, invece, le garanzie di difesa e di tutela del contraddittorio devono essere improntate a canoni di effettiva parità.

Quindi, i termini per la tutela in giudizio del destinatario cominciano a decorrere dal ricevimento della raccomandata e il documento che di fatto testimonia la concreta conoscibilità dell’atto da parte del destinatario è l’avviso di ricevimento, da allegare all’originale del documento notificato, in assenza del quale, non potendosi dimostrare in altro modo che l’atto è effettivamente pervenuto nella sfera conoscitiva del destinatario, la notificazione è inesistente.

Secondo la citata sentenza il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario, in quanto, in caso contrario, il destinatario soffrirebbe di una riduzione dei termini per lo svolgimento delle successive attività difensive, giacché questi comincerebbero a decorrere da un momento anteriore rispetto a quello dell’effettiva conoscibilità dell’atto” (Sent. 23 gennaio 2004, n. 28; ord. 12 marzo 2004, n. 97).

Nella fattispecie, la ricorrente ha impugnato l’avviso di accertamento con ricorso spedito il 23/3/2012, da ritenersi tempestivo, secondo la ricordata interpretazione della Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. n. 546/92 in quanto coincidente con il 60^ giorno successivo al 24/1/2012, data di ritiro dell’atto presso la casa comunale effettuato in pendenza e prima dello scadere del termine di 10 giorni dalla data (18/1/2012) di spedizione della raccomandata informativa.

La Commissione può, quindi, affrontare il merito della questione sottoposta al suo giudizio, incentrata su tre punti:

– inidoneità a supportare l’accertamento dei prospetti a questo allegati, recanti la ricostruzione delle movimentazioni bancarie elaborate dall’Ufficio, affetti da gravi e ripetuti errori e frutto di elaborazioni di parte, privi delle fonti di provenienza: l’Ufficio avrebbe dovuto allegare l’informativa bancaria in qualsiasi forma pervenutagli, per consentire alla ricorrente di fornire sufficiente giustificazione delle relative operazioni;

illegittima imputazione alla soc. G. di movimentazioni bancarie ascrivibili al sig. B. C. in proprio e non quale amministratore della società;

– iniquità dell’accertamento che ha condotto alla quantificazione di redditi presunti sproporzionati rispetto al volume d’affari, ottenuti attraverso una sommatoria di dati disomogenei ed errati, ai quali è stata applicata una percentuale di redditività del 40%, determinata in maniera arbitraria e presuntiva, in assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.

Va ricordato, ai fini del decidere, che alla società G. veniva notificato un avviso di accertamento con cui si rideterminava l’imponibile ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.

La società controllata era a ristretta base sociale, i cui soci C.E. (socio al 5%) e C.L. (socio al 95%), nonché l’amministratore C. B., sono legati da vincoli di parentela.

Per l’anno 2006 né la società né i soci né l’amministratore presentavano dichiarazioni fiscali (la società si limitava a presentare la comunicazione annuale dei dati IVA).

Prima dell’emissione dell’atto di accertamento, a seguito di autorizzazione all’acquisizione dei conti bancari e postali, la società contribuente e il suo amministratore venivano convocati presso l’Ufficio per fornire la documentazione contabile relativa al 2006 e giustificare i movimenti bancari dei conti intestati, senza risposta all’invito da parte dei soggetti interessati.

Pertanto, l’Agenzia, in base ai documenti in suo possesso, procedeva al recupero dell’importo di Euro 45.248,00 quali versamenti non giustificati, dell’importo di Euro 74.666,55 quali prelevamenti non giustificati risultanti dai conti della società, con delega ad operare ai signori C.B. e C.L.; dell’importo di Euro 69.390,59 quali versamenti non giustificati e dell’importo di Euro 84.041,73 quali prelevamenti non giustificati, rilevati dalle movimentazioni finanziarie dei conti intestati all’amministratore della società sig. C.B.. Invero, non avendo quest’ultimo presentato dichiarazioni né percepito alcun reddito l’Ufficio considerava le rilavanti movimentazioni finanziarie non giustificate effettuate sui suoi conti correnti con somme derivanti dall’esercizio dell’attività svolta dalla società.

Pertanto, l’Ufficio rideterminava il reddito imponibile ai fini IRES e IRAP in Euro 109.339,00, applicando una percentuale di redditività pari al 40%(riferibile all’attività del settore) alla somma dei versamenti effettuati e prelevamenti non giustificati, per un totale di Euro 273.347,00.

Ai fini IVA, i versamenti non giustificati, pari ad Euro 114.639,00 venivano considerati corrispettivi non annotati, su cui risultava dovuta un’imposta pari ad Euro 22.928,00. I prelevamenti non giustificati venivano presuntivamente ricondotti ad acquisti non fatturati, con conseguente violazione dell’obbligo di regolarizzazione mediante autofattura ed applicazione della sanzione di Euro 31.741,00.

Tutto ciò premesso, ritiene la Commissione che l’avviso di accertamento contestato, fondato sulle risultanze degli accertamenti effettuati sui conti correnti del soggetto accertato, sia esente dai vizi denunciati dalla società contribuente.

Invero, le norme che attribuiscono all’Ufficio il potere di svolgere indagini bancarie (art. 32, comma 1, DPR n. 600/73 per le imposte dirette e art. 51, comma 2, DPR n. 633 per l’Iva) introducono una presunzione legale iuris tantum, che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, in base alla quale sia i prelevamenti sia i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno imputati a ricavi conseguiti dal medesimo nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione).

L’onere della prova rispetto alle risultanze dei movimenti intestati al contribuente spetta a quest’ultimo (Corte cost. n. 225/05), da fornirsi non con generici elementi probatori ma attraverso analitica dimostrazione della irrilevanza di ciascuna singola operazione rispetto al calcolo dell’imponibile (Cass. n. 16650 del 2011; 9146/10), mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (ex plurimis, sent. 21132/11; ord. n. 587/10).

Nel caso di specie, la società contribuente non ha fornito elementi utili a contestare, con valida prova contraria, le asserzioni dell’Ufficio, né con chiarimenti nella fase precedente all’accertamento, né in fase contenziosa, limitandosi a denunciare generici errori materiali (senza indicarne il tipo) e senza offrire elementi giustificativi in relazione alle operazioni di conto corrente contestate dall’Ufficio.

Infondata si rivela, altresì, la censura riguardante la pretesa illegittimità dell’accertamento per la parte di reddito derivante dall’imputazione alla società delle operazioni bancarie sul conto intestato all’amministratore sig. C.B., che non sarebbe assistita dai requisiti di legge previsti in materia di presunzioni, in quanto viene pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza della Cassazione che le indagini sui conti e le relative prove presuntive circa la riferibilità dei movimenti sugli stessi rilevati all’attività d’impresa, possano estendersi ai conti intestati ai soci e agli amministratori delle società di capitali a ristretta base azionaria e ai loro congiunti(salvo prova contraria da parte del contribuente, nella specie non fornita).

L’applicabilità del regime di presunzioni semplici alla fattispecie consente, infine, di respingere la censura relativa alla ritenuta sproporzionalità del reddito societario, avendo l’Ufficio operato sulla base di una serie di plurimi elementi convergenti, riportati nella motivazione dell’accertamento, non validamente contrastati da prove contrarie della contribuente.

Per le suesposte considerazioni la Commissione dichiara la tempestività del ricorso di I grado e respinge l’appello.

Le spese di entrambi i gradi di giudizio vengono poste a carico della parte soccombente e liquidate nella misura di Euro 3000,00.

P.Q.M.

Dichiara la tempestività del ricorso di I grado, respinge l’appello. Spese a carico della parte soccombente di Euro 3000,00 per entrambi in gradi.