COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ROMA – Sentenza 30 dicembre 2013, n. 210
Tributi – IVA – Centro media – Attività di intermediazione – Remunerazione mediante diritti di negoziazione – Presupposto IVA – Derivazione contrattuale
Svolgimento del processo
Il signor M. M., in qualità di legale rappresentante prò tempore della società S. N. S.r.l., con sede in Roma, piazza Indipendenza i i/B, concessionaria di pubblicità per alcune testate giornalistiche, come in atti rappresentata e difesa, impugnava l’avviso di accertamento numero RCB30703019 con il quale l’Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale 1 di Roma recuperava complessivi euro 86.800,00 per illegittima detrazione IVA, per l’anno d’imposta 2004, oltre sanzioni, interessi ed accessori per un importo pari ad euro 63.268,75.
Contestava il recupero effettuato dall’Ufficio, sulla base di un verbale della polizia Tributaria della Guardia di Finanza, che non aveva riconosciuto l’IVA detratta sugli importi corrisposti a titolo di “premi impegnativa”, “diritti di negoziazione” “diritti di intermediazione” come sono usualmente chiamati gli importi riconosciuti da una casa madre ai centri satelliti in questo caso centri media, in quanto considerati cessione di denaro e non corrispettivi di prestazioni. Si rifaceva a giurisprudenza di merito conforme che da tempo aveva chiarito che, seppure non previsti in un contratto scritto, come in questo caso, tali premi, comunque denominati, erano corrisposti a fronte di un’obbligazione di risultato assunta dai centri media a raggiungere determinati risultati, qualitativi o quantitativi, in termini di volume di pubblicità raccolta. Concludeva per l’annullamento dell’avviso impugnato. L’Agenzia delle Entrate si costituiva ed insisteva per la legittimità del proprio operato.
La Commissione Tributaria Provinciale adita, sentenza 470/13/10 depositata il 27.10.2010 accoglieva il ricorso condannando l’Ufficio soccombente al pagamento delle spese dì giudizio. Secondo i primi giudici, infatti, le somme erogate dalla ricorrente ai centri media dovevano considerarsi effettuate per prestazioni di servizi e come tali rientranti nel campo di applicazione dell’IVA.
Con appello regolarmente notificato alla controparte e depositato presso la segreteria della Commissione Tributaria competente, l’Agenzia delle Entrate lamentava la carenza di motivazione della sentenza e, nel merito, che i premi corrisposti riguardavano un’attività già svolta e non da svolgere e quindi non potevano rientrare nel campo dell’imposta ai sensi del comma 2 dell’articolo 3 del DPR 633/72.
La società si costituiva, ed anche con memorie aggiunte, ribadiva le tesi difensive ed in particolare che i diritti di negoziazione o overcommission riconosciute ai centri media rientravano in una prassi commerciale largamente diffusa ed erano diretti a remunerare il maggior impegno svolto da centri sia in termini di attività da gestire che di investimenti da effettuare per ampliare gli obiettivi di vendita di spazi pubblicitari ovvero la platea degli inserzionisti rispetto a quelli costituenti il portafoglio. Concludeva per la conferma della decisione impugnata.
Motivi della decisione
L’Ufficio appellante censura la decisione di prime cure per violazione dell’articolo 36 del D.Lgs. 546/92, per carente motivazione.
Tale censura non è fondata e va respinta.
La sentenza, a norma dell’articolo 36 del D.Lgs. 546/92, deve contenere una succinta esposizione dei fatti e dare conto delle motivazioni che hanno portato alla conclusione esposta nel dispositivo.
Il giudice nella motivazione della sentenza, che l’art. 132 c.p.c. vuole concisa, non è tenuto a valutare singolarmente tutte le fonti di prova e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalie parti. E’ sufficiente invece che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi i soli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento per cui si devono ritenere disattesi, per Implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze non considerati. In questo caso, seppure con motivazione concisa, i primi giudici hanno chiaramente espresso l’iter logico giuridico seguito per arrivare a ritenere imponibili i premi corrisposti ai centri media al raggiungimento di determinati obiettivi, ragioni che sono state puntualmente contestate dall’Ufficio nell’appello e perciò chiaramente desumibili dalla decisione impugnata. La motivazione per relationem del resto, ovvero con riferimento ad altra sentenza o documentazione di parte o dell’Ufficio è ammissibile qualora comunque dal contesto della decisione sia possibile desumere le ragioni che hanno portato il giudice alla conclusione esposta nel dispositivo.
“Il giudice, infatti non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4 c. p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter” argomentativo seguito ( Cass. Civ. 407/2006).
Con il secondo motivo l’Ufficio censura la decisione impugnata per aver ritenuto detraibile PIVA sui diritti di negoziazione erogati.
Tale motivo è fondato e va accolto.
La prassi commerciale di corrispondere premi di fine anno, comunque denominati è stata da tempo distinta dalla giurisprudenza di legittimità in due categorie i premi propriamente detti ed i bonus quantitativi o qualitativi: i primi senza alcuna connessione con gli obblighi contrattuali ed i secondi invece, subordinati al raggiungimento di un risultato, ad esempio un maggiore e predeterminato volume dì vendite, quale frutto di un’attività aggiuntiva svolta in connessione con quella contrattuale e remunerata con sconti o abbuoni incidenti sul prezzo finale di vendita dei beni o delle prestazioni.
I premi annuali, cui i diritti di negoziazione o overcommission sono assimilati, sono stati definiti infatti come “un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio ai cliente al raggiungimento di un determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti […] e senza alcun collegamento causale con singole e determinate cessioni imponibili distinguendoli dai bonus quantitativi/qualitativi che rappresentano “una componente che incide direttamente sul prezzo della merce compravenduta o del servizio scambiato riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni compiute” (Cass. 5006/2007). Ne consegue che i primi non rientrano nel campo di applicazione dell’IVA a differenza dei secondi da includere nella eventuale nota di credito ai sensi dell’articolo 26 del DPR.633/72.
L’Agenzia delle Entrate nella risoluzione del 17 settembre 2004 n. 120, ha ribadito che l’erogazione dei bonus quantitativi di fine anno, essendo subordinati al raggiungimento di un predeterminato volume di vendite, è assimilabile al pagamento di una remunerazione specifica e ulteriore rispetto a quella ordinaria. Dette somme si configurano quali incentivi corrisposti in vista dell’incremento del numero delle vendite future e si traducono in una corrispondente riduzione dei prezzi originariamente applicati dalla società all’atto della cessione dei prodotti. Tali bonus pertanto sono da assoggettare al medesimo trattamento riservato agii abbuoni o sconti previsti contrattualmente di cui all’articolo 26 comma 2 del DPR. 633/72 in relazione ai quali è ammessa la possibilità di emissione da parte del cedente di note dì accredito con IVA a favore della controparte.
Naturalmente la scriminante per considerare tali erogazioni di denaro in una categoria piuttosto che in un’altra, e quindi dentro o fuori dal campo di applicazione dell’IVA, di dipende dagli accordi contrattuali sottostanti che devono trovare adeguata documentazione sia sostanziale che contabile.
In questo caso come giustamente opposto dall’Ufficio, dalla documentazione presentata non emerge alcun impegno specifico, quale può essere il raggiungimento di un determinato fatturato connesso all’effettivo sostenimento di una determinata obbligazione di fare, ma al contrario si afferma che l’attività di intermediazione svolta dai centri media viene remunerata dalia provvigione pagata dalle società inserzioniste sull’investimento pubblicitario dalle stesse effettuato e che tale compenso soddisfa ed estingue qualsiasi altra pretesa tra le parti.
La possibilità perciò di inquadrare i diritti di negoziazione di cui si discute tra i bonus e quindi assoggettabili ad IVA, secondo la definizione offerta alla giurisprudenza di legittimità, viene meno e quindi il recupero dell’imposta effettuato va confermato.
D’altro canto le affermazioni della società appellata, segnatamente a pagina 9 delle controdeduzioni, che rifacendosi ad affermazioni dell’Autorità del Garante della Concorrenza sulla diffusione di tali strumenti di pagamento comunque denominati, sostiene che “il centro media svolge una serie di attività aggiuntive, rispetto a quelle svolte a favore degli inserzionisti, le quali richiedono un maggiore impegno sia in termini di attività da gestire che dì investimenti da effettuare, che trova una specifica remunerazione nei diritti di negoziazione” rimangono del tutto indimostrate. L’ulteriore e specifico tacere che secondo la resistente troverebbe conferma negli accordi contrattuali convenuti con i centri media e finalizzati al raggiungimento di maggiori obiettivi di vendita di spazi pubblicitari ed all’acquisizione di un maggior numero di inserzionisti non emerge dagli atti di causa sia perché la stessa società ha ammesso, anche in sede di discussione pubblica, che tali diritti di negoziazione venivano riconosciuti sulla base di una prassi commerciale diffusa in assenza di una specifica clausola contrattuale scritta, e sia perché le fatture depositate sono estremamente generiche e non descrivono le prestazioni a fronte delle quali sono state emesse.
In conclusione il Collegio respinge il primo motivo d’appello ed accoglie il secondo.
La soccombenza parziale e l’evoluzione ancora in corso della giurisprudenza di merito giustificano la regolazione delle spese come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie in parte l’appello dell’Ufficio. Spese compensate per entrambi i gradi giudizio.
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