COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 1573 sez. 35 del 25 febbraio 2015
RISCOSSIONE – CARTELLA DI PAGAMENTO – RESPONSABILITA’ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA – BENEFICIO DELLA PREVENTIVA ESCUSSIONE – TUTELA MEDIANTE IMPUGNAZIONE DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO NELLA SUA PARTE PRECETTIVA – SUSSISTENZA
Svolgimento del processo
La s.r.l. unipersonale P. di R.I. – PRI impugnava davanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma la cartella di pagamento notificatale in data 3.11.2011 da E.S. s.p.a. con la quale le veniva chiesto il pagamento della somma complessiva di euro 1.136.928,35, a titolo di imposta IVA, interessi e sanzioni, nella sua qualità di responsabile solidale della s.r.l. A.T. imprenditoriali in quanto cessionario di ramo di azienda.
La ricorrente, richiamati le condizioni e i limiti della responsabilità solidale del cessionario di azienda, deduceva la nullità e illegittimità della cartella per violazione del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, del limite rappresentato dal valore dell’azienda ceduta (essendo stato fissato in euro 532.351,61 il corrispettivo della cessione di ramo di azienda), per omessa individuazione dei debiti riferibili al ramo di azienda ceduto, carenze di motivazione, varie violazioni procedimentali e in particolare inesistenza della notificazione della cartella, con notifica diretta a mezzo posta senza redazione della relata di notifica.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio resistendo al ricorso. Si costituiva anche E.S. s.p.a., deducendo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito l’infondatezza dell’impugnazione.
La Commissione di primo grado accoglieva il ricorso dichiarando l’illegittimità della cartella di pagamento impugnata. Al riguardo attribuiva rilievo alla violazione del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, cioè dell’impresa cedente, a norma dell’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso a questa Commissione regionale. Sostiene che la previsione di un beneficio d’escussione ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva e non impedisce al creditore di agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo e che nella specie la notifica al debitore solidale della cartella di pagamento – atto conclusivo dell’iter che conduce alla formazione del titolo esecutivo, da parificare al precetto – è appunto servita all’Amministrazione finanziaria per munirsi di un titolo esecutivo da far valere in caso di infruttuosa escussione del debitore principale. Peraltro il beneficio di escussione potrà essere fatto valere dalla società P.I. di Roma a seguito della notificazione da parte del concessionario di qualunque atto di esecuzione.
L’Agenzia appellante, tuttavia, ha chiesto la riforma solo parziale della sentenza impugnata, dovendosi riconoscere la validità della cartella di pagamento nel limite di euro 532.351.
E.S. s.p.a., costituendosi in giudizio, ha ribadito l’eccezione di proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito ha dedotto che i limiti della responsabilità del condebitore non precludono l’emanazione della cartella di pagamento e possono eventualmente essere fatti valere solo in sede esecutiva.
Il P. di R.I. s.r.l., costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’appello. Sottolinea che la cartella di pagamento non ha efficacia ai fini meramente cognitivi, in quanto non solo assume valore di titolo esecutivo, ma con lo stesso si preannuncia l’esecuzione, sì che essa fa parte dell’azione esecutiva.
Al riguardo ricorda che la stessa contiene l’intimazione di pagare entro il termine di 60 giorni dalla notificazione, fa decorrere gli interessi di mora e implica il pagamento anche dell’aggio di riscossione. Peraltro proprio nella specie Equitalia aveva fatto seguire alla cartella la notificazione di un’intimazione di pagamento comprensiva degli ulteriori interessi, procedendo poi a un pignoramento presso terzi, nonostante la impugnazione della cartella.
Eccepiva infine l’inammissibilità dell’appello sotto il profilo della genericità delle relative argomentazioni, facenti riferimenti ad un precedente non identificato, e della mancata allegazione dei documenti richiamati come allegati alla pag. 4. Dopo la trattazione in pubblica udienza, il collegio ha rinviato la finale deliberazione in camera di consiglio a norma dell’art. 35 D.Lgs. n. 546 del 1992.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve rilevarsi che l’appello è stato notificato tempestivamente mediante messo speciale il 14.5.2014 (a fronte di sentenza di primo grado depositata il 15.11.2013) e poi depositato entro il termine di legge, con i relativi allegati.
Preliminarmente è anche opportuno ricordare che con l’appello è stata chiesta solo la parziale riforma della sentenza impugnata, non contestandosi l’annullamento della cartella per gli importi eccedenti la somma di 532.351.
Ritiene la Commissione che l’appello, sia pure in tali termini delimitato, meriti solo parziale accoglimento.
I rilievi della parte appellante sulla natura e l’efficacia della cartella di pagamento sono fondamentalmente esatti. Questo atto ha da una parte la funzione di portare a conoscenza del contribuente l’estratto di ruolo, cioè di notificargli il ruolo di riscossione compilato dell’ente impositore per la parte che lo riguarda, facendo così decorrere i termini per la sua impugnazione (realizzabile con la c.d. impugnazione della cartella, che per tale parte è in realtà impugnazione del ruolo). Si ha così la formazione del titolo esecutivo ed anche, ove il ruolo, come peraltro nel caso in esame, non sia preceduto da un precedente atto di accertamento, la formazione dello stesso accertamento impositivo.
La cartella però ha anche la funzione prodromica dell’esecuzione forzata, di minacciare il ricorso alla medesima in caso di mancato pagamento nel termine fissato. Sotto questo profilo la cartella ha una funzione analoga all’atto di precetto, che non è un atto dell’esecuzione forzata ma è funzionale alla medesima, tanto che apre la strada all’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.).
Deve anche tenersi presente come in materia tributaria sia strutturato il sistema delle tutele del contribuente riguardo agli accertamenti e le esecuzioni.
A norma dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992 “restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602”. Peraltro, la normativa sulla riscossione delle imposte, pur avendo abbandonato la totale esclusione delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi davanti al giudice ordinario, le ha nettamente limitate, nell’ottica sistematica di riservare al giudice tributario la soluzione di ogni aspetto di rilievo sostanziale e procedurale correlato alla disciplina tributaria. Infatti a norma dell’art. 77, comma 1, lett. a) e b), l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c. è ammessa solo per contestare la pignorabilità dei beni e le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. (opposizioni agli atti esecutivi) non possono riguardare la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo.
Ne consegue che non appare condivisibile la tesi (pur affermata recentemente dall’ordinanza della Cassazione, Sez. VI-5, n. 49 del 3 gennaio 2014), secondo cui il beneficio di escussione riguarda la successiva fase di esecuzione. Infatti con la cartella di pagamento, tra l’altro si intima il pagamento sostanzialmente immediato e si minaccia il ricorso all’esecuzione in caso di mancato pagamento. Nella successiva fase di esecuzione, poi, il contribuente risulta sprovvisto di idonei mezzi di tutela, perché non può proporre l’opposizione all’esecuzione, in quanto in effetti l’unico strumento a sua disposizione avente funzione analoga all’opposizione all’esecuzione è proprio l’impugnazione della cartella (può anche rilevarsi che il precedente richiamato dalla suindicata ord. n. 49/2014, cioè Cass. n. 13183/1999, si riferisce – come l’analoga più recente Cass. n. 1040/2009 – a ipotesi di responsabilità solidale in ambito civilistico tra socio e società e in tale contesto afferma l’ammissibilità del ricorso ad un’azione di cognizione nei confronti del socio pur in presenza del beneficio di escussione).
Sorge però a questo punto il problema di contemperare l’esigenza logico giuridica di assicurare al contribuente la possibilità di far valere in giudizio il beneficio di escussione, che costituisce l’oggetto di una possibile eventuale eccezione, con la disciplina normativa del procedimento funzionale all’accertamento e alla riscossione delle imposte. Infatti in alcuni casi, come quello di cui alla fattispecie in esame (in cui si è fatto riferimento all’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973), è prevista la unificazione della fase dell’accertamento e di quella prodromica all’esecuzione della notificazione della cartella, con la fissazione di termini di decadenza per quest’ultimo adempimento (art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973). Peraltro termini di decadenza per la notificazione della cartella sono previsti anche per l’ipotesi di autonomo svolgimento della fase dell’accertamento (art. 25 cit.).
Al fine di pervenire a una ricostruzione interpretativa coerente con la regolamentazione complessiva dei poteri di accertamento e di riscossione in materia tributaria, nonché con le esigenze costituzionali di adeguatezza delle tutele in giudizio, di cui all’art. 24 Cost., appare necessario delineare il seguente modello di soluzione.
L’Amministrazione finanziaria potrà procederà attenendosi agli schemi procedimentali delineati in genere dalla legge, ivi compresa la notificazione della cartella di pagamento. Se il contribuente riterrà di avvalersi del beneficio di escussione (che, come già detto, costituisce oggetto di una possibile eccezione) potrà impugnare per tale motivo la cartella e il giudice – se riscontrerà che l’eccezione è fondata – non procederà ad un ordinario (e totale) annullamento dell’atto, ma solo all’annullamento di una parte del contenuto e dell’efficacia della cartella (che secondo lo schema normativo ha una pluralità di funzioni e di effetti): la cartella rimarrà efficace come notificazione dell’estratto di ruolo (con i relativi accertamenti) e come manifestazione (solo) in linea di principio della volontà di procedere anche esecutivamente, mentre viene per il momento paralizzata l’intimazione dell’immediato pagamento a pena di esecuzione forzata e quindi la sua attitudine (per il momento) a giustificare il passaggio agli atti esecutivi; questa efficacia potrà essere eventualmente riattivata (quando l’Ufficio riterrà di poter dimostrare di avere compiuto le attività o le verifiche necessarie sotto il profilo del beneficio di escussione) mediante notifica di (nuova) intimazione di pagamento analoga a quella prevista dall’art. 50, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1972 per l’ipotesi di esecuzione non iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento (intimazione che sua volta potrà formare oggetto di impugnazione per quanto riguarda verifiche relative al beneficio di escussione). Quest’ultima ipotesi normativa (art. 50) in effetti dimostra che è in qualche maniera scindibile l’effetto di notifica della cartella di prevenzione delle decadenze comminate in caso di inerzia dell’Amministrazione finanziaria e l’effetto di concreta minaccia dell’esecuzione forzata, che può venir meno (in questo caso per il decorso del tempo), senza produrre effetti più radicali.
In conclusione, fermo restando che per quanto riguarda l’importo superiore a euro 532.351,61 non è inciso l’annullamento (pieno) della cartella pronunciato dal giudice di primo grado essendo in tal senso limitato lo stesso atto di appello, per il resto la cartella impugnata non deve essere totalmente annullata ma la portata e gli effetti dell’annullamento devono essere limitati nei termini sopra precisati.
Deve dunque procedersi al conseguente accoglimento parziale dell’appello.
Per completezza di motivazione, deve rilevarsi che non sono state riproposte dall’appellata le altre eccezioni prospettate in primo grado e non accolte dalla sentenza impugnata (anche se in ragione del loro assorbimento).
Considerato l’esito del giudizio, le spese di entrambi i gradi sono compensate.
P.Q.M.
La Commissione accoglie parzialmente l’appello come da motivazione. Spese compensate.
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