COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 20399 sez. 41 del 19 settembre 2016
ACCERTAMENTO – RADDOPPIO DEI TERMINI – SUCCESSIONE DELLE NORME 2015
Motivazione
Con tre distinti ricorsi (n. 2452/15 per l’anno d’imposta 2007; n. 2454/15 per il 2008 e n. 2457/15 per il 2009), S. Antonio ha impugnato:
a) l’avviso di accertamento (…) per l’anno 2007 con cui si è proceduto al recupero a tassazione dei seguenti importi: ai fini IRES, un maggior reddito di impresa pari ad euro 79.937,00; ai fini IRAP, un maggior reddito pari ad euro 79.937,00; ai fini IVA, un maggior reddito pari ad euro 15.987,00;
b) l’avviso di accertamento (…) per l’anno 2008 con cui si è proceduto al recupero a tassazione dei seguenti importi: ai fini IRES, un maggior reddito di impresa pari ad euro 51.040,00; ai fini IRAP, un maggior reddito pari ad euro 51.040,00; ai fini IVA, un maggior reddito pari ad euro 10.208,00;
c) l’avviso di accertamento (…) per l’anno 2009 con cui si è proceduto al recupero a tassazione dei seguenti importi: euro 40.020,00 a titolo di costi indeducibili in quanto riferiti ad operazioni oggettivamente inesistenti (IVA indetraibile pari ad euro 8.004,00); euro 26.866,00 a titolo di costi indeducibili in quanto non adeguatamente documentati (IVA indetraibile pari ad euro 5.373,00: si precisa sin d’ora che questo avviso di accertamento riguarda anche i rapporti commerciali con la XXX s.r.l., ma rispetto alle contestazioni dell’Ufficio il ricorrente dichiara di prestare acquiescenza).
L’accertamento segue a indagini finanziarie effettuate nei confronti della YYYY s.r.l. che hanno portato a concludere che le prestazioni fatturate da detta società nei confronti della ditta individuale S. Antonio costituissero solo costi fittizi in quanto relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Il ricorrente deduce:
1) nullità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 4 L. n. 7.1.1929, avendo l’Agenzia delle Entrate omesso di redigere il verbale di chiusura delle operazioni di verifica richiesto dalla legge (PVC);
2) violazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, in quanto, avendo l’Ufficio omesso di redigere il PVC, aveva privato il contribuente della facoltà di presentare osservazioni e richieste suscettibili di essere valutate prima dell’emissione dell’atto impositivo; nella specie, non avendo l’Amministrazione finanziaria notificato alcun PVC, non aveva neanche fissato il giorno a partire dal quale sarebbero decorsi i 60 giorni di tempo per le suddette osservazioni;
3) decadenza dal potere di accertamento dell’Ufficio per essere stato emesso l’avviso oltre i termini previsti dall’art. 43 DPR n. 600/73 (entro il 31.12 del quarto anno successivo a quello della dichiarazione; in caso di omessa dichiarazione, entro il 31.12 del quinto anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata); l’avviso impugnato risultava notificato il 5.8.2014 (senza allegazione di notitia criminis), oltre la naturale scadenza del potere di accertamento fissata al 31.12.2012; né l’Ufficio poteva avvalersi del raddoppio dei termini di cui al comma 3 art. 43 cit., essendo tale beneficio condizionato all’inoltro della notitia criminis alla competente Procura della Repubblica antecedentemente allo scadere dell’indicato termine quadriennale.
Nel merito, il contribuente contesta che le violazioni imputate alla YYYY s.r.l. fossero da lui conoscibili (vedi pagg. 16-17 del ricorso) per le seguenti ragioni: 1) nessun contribuente poteva accedere all’Anagrafe Tributaria o alla piattaforma INPS per verificare gli adempimenti e/o le violazioni ascrivibili ad altro contribuente; 2) gli assegni emessi dallo S. erano stati regolarmente addebitati sui suoi c/c bancari, essendo irrilevante, ai fini della conoscibilità delle violazioni, la circostanza che la YYYY non li avesse fatti transitare sui propri c/c; 3) dalla visura camerale emergeva che la YYYY era attiva.
L’Ufficio, in sostanza, non aveva dimostrato l’esistenza di un accordo fraudolento con il fornitore, mentre il ricorrente aveva dimostrato che i costi in contestazione erano giustificati sulla base delle fatture emesse e dei pagamenti effettuati dopo l’avvenuta consegna dei beni o dei servizi.
Nella memoria di costituzione l’Agenzia delle Entrate sviluppa le seguenti controdeduzioni.
In via preliminare, la resistente chiede l’inammissibilità per tardività del ricorso, notificato oltre il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato (con avviso notificato il 6.8.2014, i 60 giorni sarebbero scaduti il 14.11.2014, mentre il ricorso risulta notificato il 30.1.2015).
Secondo l’Ufficio, siccome l’istanza di accertamento con adesione non aveva avuto alcun seguito, era evidente che la sua proposizione avesse come unico fine quello di dilazionare la scadenza del termine d’impugnazione; dunque, non poteva considerarsi influente ai fini della sospensione del termine di 90 giorni prevista dall’art. 6, comma 3, DLgs. n. 218/97.
Sui punti 1-2 del ricorso (violazione del contraddittorio), replica quanto segue.
Il richiamo all’art. 12 L. n. 212/2000 non è pertinente, posto che l’accertamento in esame non nasce dalle risultanze di una verifica fiscale compiuta dagli organi dell’Amministrazione finanziaria; dunque, l’Ufficio non poteva redigere nessun processo verbale di chiusura delie operazioni di verifica.
In secondo luogo, nella specie, il contraddittorio era stato assicurato al contribuente prima dell’emissione dell’atto impugnato, avendo l’Ufficio invitato lo S. a fornire informazioni in merito ai rapporti intercorsi con la YYYY s.r.l. e avendo il contribuente presentato una memoria illustrativa dell’attività esercitata e dei rapporti con la YYYY, copia delle fatture ricevute dalla suddetta nell’anno 2008 e degli assegni rilasciati a fronte delle suddette fatture.
Quanto alle deduzioni di cui al punto 3 (raddoppio dei termini per l’invio dell’avviso di accertamento), l’Agenzia richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011, secondo la quale il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dell’inizio dell’azione penale.
Nella specie, i fatti contestati integravano l’art. 2 DLgs. n. 74/2000.
In particolare, ed a confutazione delle deduzioni di merito oggetto del punto 4 (operazioni oggettivamente inesistenti), parte resistente rileva che, con riguardo alla società YYYY, era stato accertato che: aveva omesso di presentare dichiarazioni dei redditi e dell’IVA dal 2003 al 2010 e la dichiarazione mod. 770; non risultava aver effettuato acquisti; non aveva posizioni previdenziali aperte; quanto ai rapporti con lo S., gli assegni rilasciati dalla sua ditta non erano transitati sui c/c della YYYY, tutte presunzioni idonee a dimostrare che le prestazioni fatturate alla ditta S. costituissero costi fittizi in quanto relativi a operazioni oggettivamente inesistenti.
Il ricorrente ha depositato memoria di replica in data 30.5.2016, osservando quanto segue.
In ordine alla eccepita tardività del ricorso, obietta che il contraddittorio si è regolarmente instaurato con la presentazione di memoria di parte, chiudendosi, tuttavia, negativamente, in data 30.1.2015.
Sulla decadenza dal potere di accertamento dell’Ufficio per emissione dell’avviso di accertamento oltre i termini di cui all’art. 43 DPR n. 600/73 e 57 DPR n. 633/72, richiama due recenti interventi normativi.
Il primo, costituito dal DLgs. n. 128/2015, che aveva subordinato il ed raddoppio dei termini alla presentazione della denuncia entro il termine di decadenza ordinario, con applicazione agli atti notificati dopo l’entrata in vigore del decreto (2.9.2015); la norma transitoria prevedeva che erano fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento già notificati alla data del 2.9.2015.
Il secondo, costituito dalla legge di stabilità del 2016 (L. 28.12.2015 n. 208), che, ai commi 131 e 132 art. 1, riscrivendo integralmente la norma sui termini decadenziali del potere di accertamento, ha eliminato il c.d. raddoppio dei termini (entro il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o entro il 7° in caso di omessa dichiarazione) prevedendo che, per il passato, valgano le vecchie regole sul raddoppio, se la notifica era stata inviata entro la scadenza ordinaria del termine di decadenza.
Tale norma, secondo l’interpretazione adottata da certa giurisprudenza di merito, condivisa dal ricorrente, avrebbe implicitamente abrogato la normativa transitoria del DLgs. n. 128/2015.
Il contribuente si sofferma, poi, sulla natura dell’attività della sua ditta (sabbiatura di edifici) per spiegare la ragione dei rapporti con la YYYY come fornitrice (noleggio compressori, idropulitrici etc.).
Contesta, inoltre, che i rilievi fiscali sul fornitore potessero essere estesi in automatico ai cliente senza alcuna analisi distinta nei suoi confronti, atteso che non erano stati messi in dubbio dall’Amministrazione finanziaria l’inerenza degli acquisti di beni e servizi con l’attività svolta, l’entità delle spese sostenute, il prezzo pagato, la coerenza dei rispettivi codici di attività, omissione di adempimenti di carattere fiscale.
L’Agenzia delle Entrate aveva, in definitiva, erroneamente applicato le presunzioni.
Si conclude la memoria con il richiamo a recenti orientamenti della giurisprudenza di merito, affermanti il principio per cui le frodi dei fornitori non possono, da sole, giustificare le rettifiche al cliente.
In esito all’odierna udienza pubblica, disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, la Commissione ritiene che i ricorsi riuniti debbano essere accolti.
Va, infatti, accolta l’eccezione preliminare, sollevata dal ricorrente, in ordine alla nullità degli atti impugnati per tardività della loro notifica: l’Agenzia non avrebbe, infatti, comprovato l’invio, negli ordinari termini di decadenza, della notitia criminis alla Procura della Repubblica competente.
Sulla questione in esame, la Suprema Corte, anche di recente, ha chiarito che, ai fini del raddoppio dei termini di cui all’art. 43, comma 3, DPR n. 600/73, non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia, né, tanto meno, la produzione di questa in giudizio.
Come, infatti, affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita – secondo il Supremo Consesso – dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché “il raddoppio dei termini consegue dai mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” ed “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciale al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” (si vedano, da ultimo, Ordinanza Sez. 6, n. 9727 del 6.4.2016, Agenzia delle Entrate c. Soc. Elettra s.r.l., n. m.; Ordinanza Sez. 6, n. 11181 del 7.4.2016, Agenzia delle Entrate c. SAMA s.r.l., n. m.; conforme Ord. Sez. 6, n. 11171 del 27.4.2016, Agenzia delle Entrate c. Clara Garcovich s.r.l.).
Tale orientamento giurisprudenziale si è formato, tuttavia, antecedentemente alla introduzione nell’ordinamento di due disposizioni normative che hanno innovato il quadro di riferimento sulla materia in questione.
Nelle more del giudizio, infatti, è intervenuta la legge di stabilità per l’anno 2016, L. n. 208 del 28 dicembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio 2016, che, con il comma 130, ha riformulato, per la parte che qui interessa, l’art. 57 del DPR n. 633/72 come segue: “2. Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell’articolo 54 e nel secondo comma dell’articolo 5 devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata fa dichiarazione. 2. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l’avviso di accertamento dell’imposta a norma del primo comma dell’articolo 55 può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”.
Il successivo comma 131 ha disposto, con analoga formulazione sui termini di notifica degli avvisi di accertamento, la sostituzione dell’art. 43 del DPR n. 600/73.
Il comma 132, disciplinando il regime transitorio della novella, ha stabilito che “Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 131 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal DLgs. 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al perìodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del DL 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla L 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni”.
Ciò posto, va evidenziato come la norma da ultimo richiamata nulla dica sulla vigenza, o meno, dell’art. 2, comma 3, del DLgs. n. 128 del 2015 – entrato in vigore il 2 settembre 2015 secondo cui “Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Orbene, poiché entrambe le norme sopra trascritte – sia il comma 132 della legge di stabilità del 2016, sia il comma 3 dell’art. 2 del DLgs. n. 128 del 2015 – disciplinano la stessa materia e non può, conseguentemente, ritenersi applicabile il criterio della specialità, questo Collegio, in sintonia con recenti pronunce di merito CTR Milano, sez. distaccata Brescia, n. 2898 del 22.2.2016; CTR Roma, n. 951 del 19.1.2016), reputa che il comma 3 del richiamato art. 2 DLgs. n. 128/15 debba intendersi implicitamente abrogato dal comma 132 della legge di stabilità del 2016, entrato in vigore successivamente.
Siffatta interpretazione, con riferimento al caso di specie, in cui non è stata offerta prova circa l’avvenuta comunicazione all’Autorità Giudiziaria penale, della notitia criminis, conduce a ritenere illegittimo il raddoppio dei termini invocato dall’Ufficio e, conseguentemente, tardivi gli accertamenti notificati.
L’accoglimento dei ricorsi riuniti non involge la parte di quello, concernente i rapporti tra S. e la XXX s.r.l., per cui è stata prestata acquiescenza.
Per la peculiarità della materia trattata, si reputa di compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie i ricorsi riuniti nei limiti di cui in motivazione. Spese compensate
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