COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 2122 sez. 9 del 10 aprile 2015
IVA – SOMMA A TITOLO DI ACCONTO O DI CAPARRA CONFIRMATORIA – REGIME FISCALE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società ricorrente, come rappresentata e difesa propone appello alla sentenza n. 458/24/2013 del 6/12/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che ha respinto il ricorso, compensando le spese, avverso l’avviso di irrogazione di sanzioni n. … notificato in data 22/12/2010 con il quale l’ufficio sanzionava l’omissione di fatturazione ed assoggettamento ad IVA del 10% di un acconto di euro 845.000,00 versato in occasione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, in quanto non ha ritenuto che potesse trattarsi di caparra come sostenuto in giudizio perché tale è l’indicazione della scrittura privata a nulla rilevando le scritture contabili aziendali esibite è né assume rilevanza la notifica fatta ad un amministratore decaduto perché la tempestiva impugnazione sana ogni irregolarità della notifica.
Con l’appello contesta la decisione perché il Primo Giudice non ha tenuto conto che la volontà dei contraenti era quella di versare una caparra confirmatoria come registrato nelle rispettive contabilità esibite ma ritenute insufficienti perché il testo del contratto preliminare indica il termine acconto.
Insiste che la notifica dell’atto è stata fatta ad un amministratore non più in carica e che la società aveva indicato, in sede di contestazione dell’atto prodromico all’avviso di irrogazione sanzionici domicilio ai fini della procedura presso lo studio dei difensori che non hanno ricevuto nessuna notifica e quando il legale rappresentante della società ha avuto conoscenza dell’atto in data 14/2/2011, erano già scaduti i termini a disposizione dell’ufficio di cui al comma 7 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 472/97 per l’irrogazione della sanzione avendo presentato le proprie deduzioni la società in data 5/2/2010.
Conclude con la richiesta di riforma della decisione opposta e condanna dell’ufficio al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio.
Si costituisce in giudizio l’ufficio per contestare l’eccezione di parte sull’insufficiente motivazione della sentenza in quanto la stessa contiene le ragioni che hanno indotto a ritenere legittimo il provvedimento sanzionatorio e ribadisce che la somma corrisposta nel preliminare di vendita deve sempre essere interpretata come acconto e deve essere assoggettata ad IVA.
Conclude con la richiesta di rigetto dell’appello e deposita nota spese di euro 12.847,80.
All’odierna trattazione in Pubblica Udienza le parti si rimettono alle rispettive ragioni come in atti.
Indi la causa viene posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello della società istante è infondato e va reietto.
Il “thema decidendum” è l’assoggettamento o meno ad I.V.A. della somma versata in occasione di un contratto preliminare di compravendita in cui, al punto 2, è scritto:
“il corrispettivo della compravendita viene fissato dalle parti in euro 2.000.000,00 (duemilioni/00) da versarsi in quanto ad euro 845.000,00 (ottocentoquarantacinquemila/00) entro e non oltre il 16 agosto 2004 e per il residuo al momento della stipula del rogito notarile” e più avanti al n. 8 è scritto:
“le parti del presente contratto preliminare espressamente pattuiscono che qualora il rogito notarile non dovesse intervenire entro il suddetto termine del 31 dicembre 2004 la … restituirà alla … la somma di euro 845.000,00 (ottocentoquarantacinquemila/00) ricevuta in acconto …”.
La dazione, al momento della stipula di un contratto preliminare una somma di denaro o di altre cose fungibili può effettuarsi a vario titolo: acconto, caparra penitenziale e caparra confirmatoria.
La definizione della funzione di tale somma riveste, quindi, un’importanza fondamentale ai fini della individuazione della disciplina tributaria a essa applicabile, con particolare riferimento alle imposte indirette, in quanto, anche nel caso in cui l’operazione di trasferimento immobiliare è soggetta ad I.V.A., il trattamento fiscale del preliminare sarà diverso a seconda che preveda il versamento di una somma a titolo di acconto o di caparra confirmatoria.
Il versamento di un acconto, rappresentando l’anticipazione del corrispettivo pattuito, assume rilevanza ai fini IVA con il conseguente obbligo di emissione della relativa fattura con addebito dell’imposta e con l’aliquota applicabile “ratione temporis”.
La caparra, invece, sia confirmatoria ex art. 1385 c.c., sia penitenziale ex art. 1386 c.c., prevista da un’apposita clausola contrattuale non costituisce il corrispettivo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi, in quanto assolve una funzione risarcitoria e non è soggetta ad IVA per mancanza del presupposto oggettivo di cui agli artt. 2 e 3 del DPR n. 633/72.
Nella scrittura privata “de qua” non è stata prevista alcuna clausola contrattuale specifica di riferimento al versamento della somma a titolo di caparra, anzi, al punto 8 si indica espressamente che sarà restituita la somma versata in acconto in caso di risoluzione del contratto.
Ergo, la volontà delle parti è stata quella di considerare il versamento di euro 845.000,00 quale acconto e non quale caparra.
All’uopo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3833 del 22/8/1977, seguite dalle pronunce n. 6067/1989 e 10874/1994, ha sancito che, ove sia dubbia l’effettiva intenzione delle parti, le somme versate anteriormente alla formale stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive devono ritenersi corrisposte a titolo di anticipo o di acconto sulla prestazione dovuta in base all’obbligazione principale e non già a titolo di caparra potendosi ritenere che le parti si siano tacitamente assoggettate ad una pena civile ravvisabile nella funzione della caparra.
Nella fattispecie, la mancata previsione di un’apposita clausola contrattuale che indichi la natura della somma versata (tra l’altro indicata nello stesso atto quale acconto) comporta che la stessa somma sia assoggettata ad IVA a nulla rilevando il fatto che nelle scritture contabili esibite in atti tale somma sia stata contabilizzata come caparra da entrambe le parti in causa.
È di tutta evidenza che il contabile, fondandosi sulle sue conoscenze ragioneristiche, non trovandosi di fronte ad una fattura assoggettata ad IVA, abbia registrato l’operazione come caparra, ma ciò non è di nessuna rilevanza ai fini dell’interpretazione della volontà delle parti al momento della stipula del contratto preliminare di compravendita.
Assume rilievo, invece, il fatto che la somma sia stata restituita per intervenuta risoluzione del contratto, in quanto, se fosse stata versata a titolo di caparra, sarebbe stata trattenuta da chi l’ha ricevuta e se fosse stata versata a titolo di caparra-acconto prezzo sarebbe stata assoggettata comunque ad IVA come ribadito dalla risoluzione del Ministero delle Finanze n. 197/E dell’1/8/2007.
In definitiva, sia dalla lettura del contratto che dal comportamento concludente delle partici evince chiaramente che la somma “de qua” è stata versata a titolo di acconto sul prezzo della compravendita e non di caparra né confirmatoria né penitenziale, per cui l’avviso di irrogazione di sanzioni impugnato è legittimo e può spiegare integralmente i suoi effetti.
Quanto all’eccezione sulla insufficiente motivazione del Primo Giudice, la giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che per ottemperare all’obbligo di motivazione della sentenza è sufficiente che il giudice di merito indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri fatti e rilievi che, sebbene non specificatamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.
Il Primo Giudice ha indicato tali elementi ed esposto le ragioni che lo hanno determinato a decidere in un senso piuttosto che nell’altro, per cui la sentenza non appare viziata da insufficiente motivazione.
Del resto, la tempestività del ricorso introduttivo è sintomatica di una piena conoscenza dell’atto notificato indipendentemente dagli eventuali suoi indimostrati vizi di notifica ed, in tal senso, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19854 del 5/10/2004, nonché Cassazione Tributaria nn. 7498 del 12/04/2005, 15849 del 12/7/2006, 15554 del 2/7/209, hanno statuito il principio di diritto applicabile alla fattispecie che la tempestiva proposizione del ricorso sana i vizi della notifica.
Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, l’appello della società istante deve essere rigettato ed alla soccombenza deve seguire la condanna al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di Roma, sezione definitivamente pronunciando, così decide:
Rigetta l’appello e condanna l’appellante alla rifusione delle spese per €.2.000,00.
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