COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 2219 sez. 6 del 20 aprile 2016

REGISTRO – AGEVOLAZIONI PER L’ACQUISTO DELLA PRIMA CASA – DECADENZA

Il ricorrente si era opposto all’avviso di liquidazione relativo alla revoca delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa, per mancato trasferimento della residenza entro l’anno nel comune ove era sita la nuova abitazione.

La commissione tributaria provinciale di Roma aveva respinto il ricorso, condannando alle spese il contribuente, sul presupposto che il ricorrente pur avendo la sua sede di lavoro nel luogo ove avrebbe dovuto trasferire la residenza, non aveva trasferito la residenza come dichiarato nel rogito.

Il contribuente appella la sentenza chiedendone la riforma.

Richiama giurisprudenza sia di legittimità sia giurisprudenza di legittimità a proprio favore, fa presente che la norma (art. 1, nota 2 bis della Tariffa, parte 1 allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) che disciplina la fattispecie quando segue: “Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso…, devono ricorrere le seguenti condizioni:

… che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività…”.

L’Ufficio ha solo contestato il mancato trasferimento della residenza nel comune dove è situato l’immobile dimenticando, come stabilito e non contestato, che il luogo di lavoro era posto nel comune dove è stato riacquistato l’immobile.

L’Ufficio si costituisce in giudizio richiamando l’interpretazione della corte di cassazione con la sentenza n. 21282 del 2013, secondo cui “decade dall’agevolazione chi, avendo reso la dichiarazione di voler stabilire la propria residenza nel comune ove è situato l’immobile acquistato, non ottemperi a tale impegno, pur svolgendo nel medesimo comune la propria attività lavorativa. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto. La norma, che parla espressamente soltanto della dichiarazione di voler trasferire la propria residenza, deve necessariamente comprendere anche la diversa dichiarazione di volersi trasferire nel luogo di lavoro. E, poiché entrambe le dichiarazioni debbono, a pena di decadenza dal beneficio, esser formulate al momento della registrazione dell’atto, consegue che il contribuente, non avendo tempestivamente dichiarato di voler utilizzare l’abitazione in luogo di lavoro diverso dal Comune di residenza, è decaduto dal diritto all’agevolazione”.

I fatti non sono controversi. Il contribuente, residente in Genzano di Roma, con sede di lavoro a Aprilia (Roma), aveva acquistato un immobile in questa ultima città, dichiarando nel rogito, al fine di godere delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa, l’intenzione di “trasferire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile qui acquistato”. Il trasferimento non è mai avvenuto.

La norma (art. 1, nota 2 bis della Tariffa, parte 1 allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) che disciplina la fattispecie stabilisce quando segue: “Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso…, devono ricorrere le seguenti condizioni:

… che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività… In caso di dichiarazione mendace, … sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte”.

La cassazione, con la sentenza n. 26740 del 2013 ha affermato che “la nota 2^ bis, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, subordina, per quanto qui interessa, alla lett. a), il godimento dell’agevolazione alla ricorrenza di precisi collegamenti territoriali… tra l’acquirente e il comune in cui è ubicato il bene, prevedendo, come si desume dal tenore letterale della norma – che utilizza avverbi disgiuntivi -, due distinti criteri il primo fondato sulla residenza, e il secondo riferito alla sede di lavoro (dell’acquirente o del suo datore di lavoro). Da tanto logicamente consegue che l’impegno di trasferire la residenza, da assumere in seno all’atto, e la sanzione di decadenza per il relativo inadempimento riguardano solo l’acquirente che invochi l’omologo criterio territoriale, e non anche il caso in cui si faccia valere il criterio della sede di lavoro (diversamente opinando, infatti, tale secondo criterio territoriale non avrebbe alcun senso, esaurendone il primo l’ambito di rilevanza), in consonanza con lo scopo perseguito dall’agevolazione, che consiste nell’incentivare l’investimento del risparmio nella proprietà di una unità immobiliare specificamente nel Comune “di residenza” o “di lavoro” dell’interessato. La circostanza, sottesa nella censura, secondo cui il contribuente avrebbe chiesto l’applicazione del beneficio invocando il (solo) criterio della residenza è, in sé, priva di autosufficienza, né diversamente da quanto opinato dall’Ufficio, deriva dall’assunzione del relativo impegno da parte del contribuente, non essendo precluso al contribuente far valere più criteri concorrenti, ai fini del conseguimento dell’unico trattamento agevolato richiesto”.

Il contrasto con la precedente decisione della stessa corte (n. 21282 del 2013) non può, invero, trascurare il rilievo testuale, mosso dallo stesso giudice della legittimità, per cui, in effetti, “l’impegno di trasferire la residenza, da assumere in seno all’atto, e la sanzione di decadenza per il relativo inadempimento riguardano solo l’acquirente che invochi l’omologo criterio territoriale, e non anche il caso in cui si faccia valere il criterio della sede di lavoro (diversamente opinando, infatti, tale secondo criterio territoriale non avrebbe alcun senso, esaurendone il primo l’ambito di rilevanza)”.

Questa ultima lettura della norma in questione pare la più coerente col testo normativo e con la ratio sottesa. Diversamente opinando e accogliendo la soluzione sposata dall’Ufficio, aderente alla sentenza n. 21282 cit., si adotterebbe, tra l’altro, una soluzione interpretativa analogica, non consentita, ai sensi dell’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale, per una norma agevolala e, quindi, eccezionale quale l’art. 1, nota 2 bis, Tariffa, parte 1 allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.

Il netto contrasto sul punto nella giurisprudenza di legittimità impone la compensazione delle spese di lite anche per il grado.

P.Q.M.

La CTR di Roma, sez. 6, accoglie l’appello, compensando le spese tra le parti.