COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 3515 sez. 4 del 17 giugno 2015
ACCERTAMENTO – PROCESSO TRIBUTARIO – CONTRIBUTO UNIFICATO – RADDOPPIO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) Con ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Rieti D.R. impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Rieti per l’anno d’imposta 2006. Nello specifico l’Amministrazione finanziaria, sulla base di una propria verifica fiscale generale operata a carico del contribuente, esercente l’attività di riparazioni meccaniche di autoveicoli, e richiamando il p.v.c. che ne era esitato, accertava, ai sensi degli artt. 38 e 39 del dpr 600/73 e dell’art. 54 del dpr 633/72, maggiori componenti positivi di reddito per € 72.847,00, costi indebitamente dedotti per € 8.331,00, interessi passivi non inerenti. Per l’effetto determinava le maggiori imposte dovute ai fini Irpef, Irap ed Iva.
Il contribuente eccepiva che i ricavi non dichiarati erano stati determinati dall’Ufficio, in applicazione degli studi di settore, sulla base di un errato ricalcolo delle rimanenze indicate in misura inferiore a quelle risultanti dai dati contabili; che i costi erano stati ritenuti eccedenti il 5% del valore dei beni strumentali sulla base di un’impropria valutazione dei beni strumentali; che gli interessi passivi erano deducibili, in quanto si riferivano a passività iscritte in bilancio e relative a due c/c bancari.
L’Agenzia delle Entrate, costituendosi in giudizio, confermava la legittimità del proprio operato ribadendo le irregolarità riscontrate nei prospetti relativi alle giacenze di magazzino, con particolare riferimento ad alcune tipologie di beni (batterie, marmitte). Rilevava l’incongruità dei crediti verso clienti esposi in bilancio, tra l’altro disconosciuti da un presunto debitore e faceva presente che gli interessi passivi non erano stati riconosciuti in quanto la parte non aveva esibito la copia del contratto di mutuo che li riguardava. Deduceva inoltre la corretta applicazione dello studio di settore.
La commissione tributaria provinciale di Rieti, con sentenza n. 39/1/13 depositata il 01/03/2013, respingeva il ricorso, compensando le spese.
2) Contro questa decisione propone appello il contribuente. La parte appellante articola le difese svolte in primo grado.
Resiste in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Rieti. L’Ufficio deduce l’assoluta genericità e ripetitività dei motivi di appello e propone appello incidentale per la statuizione in ordine alle spese.
Con note depositate il 28 aprile 2015 l’appellante rileva che la d.ssa S.V., la quale ha firmato l’avviso di accertamento, rientra tra i dirigenti illegittimi di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 17/03/2015. Per tale motivo formula eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento di cui si discute in quanto firmato da soggetto non legittimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Quanto dedotto da parte appellante nella citata memoria appare privo di rilevanza ai fini del presente giudizio.
Come la stessa parte riconosce (pag. 4 della memoria) l’Ufficio, su richiesta dello stesso ricorrente, ha depositato la delega in forza della quale la d.ssa S.V. ha sottoscritto l’atto impositivo. L’atto è stato quindi firmato dal soggetto che ratione temporis era delegato dall’Amministrazione finanziaria alla firma dell’atto impositivo. Con il che risultava confermata la provenienza dell’atto dalla P.A., a tutela delle garanzie proprie del contribuente. Nessun rilievo è stato sollevato dalla parte privata in relazione alla esaustività della produzione documentale.
La diversa eccezione, ora avanzata, di mancata prova della sussistenza della carriera direttiva – ammesso che tale prova potesse all’epoca essere fornita – rappresenta domanda nuova non ammissibile in questa sede e comunque da proporsi nel rispetto del contraddittorio e quindi con atto notificato all’amministrazione finanziaria.
3) I giudici di primo grado hanno ampiamente esplicitato le ragioni per le quali hanno ritenuto inattendibili le scritture contabili poste in essere dal contribuente, evidenziando le incongruenze emerse a seguito della verifica fiscale e del p.v.c. che ne è esitato. Hanno altresì valutato la correttezza del procedimento adottato dall’Ufficio per la determinazione dei ricavi sulla base dell’applicazione dello studio di settore e hanno compiutamente motivato la decisione in relazione ai costi, confermati non deducibili e agli interessi, ritenuti non imputabili non risultando comprovata la loro inerenza.
Osserva sui vari punti questo Collegio:
4) Nelle pagine 4 e 5 del p.v.c. sono chiaramente esposti gli esiti dei controlli sostanziali effettuati dai funzionari dell’amministrazione al fine della verifica della credibilità dei risultati economici rappresentati dalla ditta per l’anno d’imposta in esame.
Innanzi tutto, dalla semplice analisi dei dati di bilancio e di quelli della dichiarazione fiscale presentata dalla contribuente – ricavi per € 311.790,00; perdita di esercizio per € 12.900,00; reddito fiscale di € 1.741,00 – è emersa la scarsa redditività per l’anno 2006 dell’attività svolta dalla ditta verificata, che risulta pari allo 0,558%, non giustificata sulla base di fattori straordinari o eccezionali. Circostanza che assume importanza ancora più significativa per il motivo che il reddito d’impresa costituiva la fonte primaria del reddito del contribuente, titolare dell’azienda, con coniuge e due figli a carico.
Sono state poi evidenziate precise incongruenze nei prospetti relativi alla rimanenze iniziali ed alle rimanenze finali – tra l’altro esposte in modo assai sintetico e senza una distinzione precisa su alcune tipologie di beni (pneumatici e batterie) – essendo emerse alcune situazioni critiche debitamente precisate: i prezzi dei beni indicati per la valorizzazione delle rimanenze non corrispondono ai prezzi rilevati nelle fatture di acquisto; le quantità delle varie tipologie di prodotti riportati tra le rimanenze finali risultano quasi tutte pari al doppio di quelle indicate nelle rimanenze iniziali e comunque non sono coincidenti a quelle ricavabili dal raccordo degli acquisti e delle vendite con le giacenze iniziali e finali. Nel verbale giornaliero del 13/11/2009 il ricorrente ed attuale appellante sig. D.R., richiesto di dare giustificazione delle incongruenze rilevate, dichiarava: non saprei. Probabilmente i prospetti delle rimanenze non sono veritieri. Le rimanenze finali dovrebbero essere più o meno quelle iniziali.
I verbalizzanti hanno individuato ulteriori anomalie derivanti dal fatto che i costi del personale hanno di molto superato il reddito d’impresa (spese per € 118.312,00 a fronte di una perdita d’impresa per € 12.900,00) e che nello stato patrimoniale del bilancio di esercizio sono stati riportati crediti verso clienti nazionali per € 92.285.00 che lo stesso contribuente ha disconosciuto nel loro ammontare. Nel verbale giornaliero del 13/11/2009 sopra richiamato la parte precisava: le ricevute e le fatture vengono in genere pagate al momento dell’emissione o nel giro di qualche giorno, fatta eccezione per quelle emesse nei confronti degli enti o delle pubbliche amministrazioni per l’incasso delle quali i tempi sono un po’ più lunghi; ed ancora, quanto ai crediti ancora non incassati: non sono in grado di fornire un importo preciso, ma sicuramente si tratta di un importo minore di € 5.000,00.
Alla luce delle sopraindicate incongruenze l’Amministrazione finanziaria ha correttamente ritenuto che le scritture contabili non fossero attendibili ed ha proceduto ad effettuare la ricostruzione del volume di affari del contribuente sulla base del modello dello studio di settore allegato alla dichiarazione dei redditi della ditta , intervenendo peraltro a rettificare i dati esposti non risultati veritieri. In particolare, confermato il dato sulle rimanenze iniziali (€ 45.590,00) ha rettificato il dato relativo alle rimanenze finali che, indicate dalla parte in € 109.280,00, sono state modificate in € 52.000,00. Ciò in base alla stessa affermazione del contribuente, che aveva dichiarato a verbale essere le rimanenze iniziali e finali pressoché equivalenti.
Il ricalcolo dello studio di settore con l’aggiornamento dei vari campi, ma significativamente di quello afferente le rimanenze finali, ha portato ad un valore del ricavo di riferimento pari ad € 384.637,00 e quindi a componenti positivi di reddito non dichiarate pari ad € 72.847,00.
Prive di peso appaiono quindi le difese di parte appellante sia in relazione all’errore nel quale sarebbe incorso l’Ufficio nell’indicare le rimanenze finali in € 52.000,00 – non si tratta di errore, ma di aggiornamento motivato -, sia per quanto concerne l’impossibilità per il contribuente di effettuare un controllo sulla giusta applicazione dello studio di settore, trattandosi dello studio di settore indicato dall’appellante in sede di denuncia. La parte aveva quindi la possibilità di effettuare il ricalcolo dei ricavi determinati dall’Ufficio, verificandone l’esattezza.
5) Per quanto concerne i costi di manutenzione e riparazione eccedenti il 5% del valore dei beni strumentali, l’avviso di accertamento (rilievo 2) precisa in maniera dettagliata quali sono stati i costi delle manutenzioni e riparazioni che sono risultati eccedenti la quota fiscalmente deducibile. Sia nel ricorso introduttivo, che in questa sede, il contribuente si riporta genericamente ai dati bilancistici, senza alcun riferimento specifico alle situazione evidenziate dall’amministrazione finanziaria.
6) Circa il rilievo n. 3, con il quale l’Ufficio ha ripreso a tassazione interessi passivi su mutui non documentati, la parte non ha in alcun modo provato l’inerenza degli interessi all’attività di impresa.
Per le ragioni complessivamente esposte, l’appello del contribuente viene respinto.
Va diversamente accolto l’appello incidentale dell’Ufficio in relazione alle spese, che sono state compensate dal giudice di primo grado e che invece sono dovute all’amministrazione stante la soccombenza del ricorrente.
Al presente procedimento si applica l’art. 1.17 L. n. 228/2012, con il quale è stato modificato l’art. 13 DPR n. 115/2002 mediante l’inserimento del comma 1 quater. Deve pertanto darsi atto della sussistenza dei presupposti di applicazione della norma e dell’obbligo di pagamento di quanto previsto dal momento del deposito della presente pronuncia.
P.Q.M.
Respinge l’appello proposto del contribuente e per l’effetto conferma l’avviso di accertamento. Accoglie l’appello incidentale dell’Ufficio e condanna il contribuente al pagamento delle spese processuali del primo grado per € 1.800,00 e del secondo grado per € 1.800,00. Contributo unificato raddoppiato.
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