COMMISSIONE TRIBUTARIA Regionale di Roma – Sentenza n. 4812 sez. 38 del 16 settembre 2015
ACCERTAMENTO – INDAGINI BANCARIE A CARICO DI UN’ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE E DEGLI ASSOCIATI
FATTO
L’Agenzia delle Entrate di Roma, in esito ad indagini finanziarie condotte dalla GdF ed al conseguente PVC, procedeva ad accertamento ex art. 32 co. 2 DPR 600/73, sia nei confronti dell’Associazione di professionisti “Studio Legale Avvocati B.” ai fini Irap ed Iva e sia nei confronti degli associati, ai fini delle imposte dirette, avv. B.L. con quota pari al 90% e avv. B.A. con quota pari al 10%, per gli anni di imposta 2006 e 2007, recuperando a tassazione le maggiori imposte derivanti da operazioni in accredito ed in addebito sul conto corrente intestato all’associazione, nonché sui conti correnti personali e quelli intestati ai rispettivi famigliari.
Avverso gli atti accertativi proponevano distinti ricorsi l’Associazione e gli associati, lamentando vizi di legittimità e di merito e chiedendone l’annullamento.
La C.T.P. adita, con distinte sentenze, rigettava i ricorsi.
Avverso la sentenza in oggetto propone appello l’avv. B.A. lamentandone l’erroneità e l’illegittimità. Ribadisce al riguardo, preliminarmente, che entrambi i professionisti svolgevano la propria attività sia in maniera autonoma, con autonoma partita iva ed autonomi compensi, sia per il tramite dell’associazione, per quella parte di attività comune; sul punto pertanto lamenta l’illegittimità dell’Accertamento per aver considerato maggior reddito dell’associazione, quello che invece era reddito degli associati e viceversa. Lamenta inoltre l’illegittimità dell’Accertamento per illegittima ed irrituale acquisizione della documentazione finanziaria e conseguente inutilizzabilità della stessa, con riguardo ai conti intestati ai terzi. Nel merito precisa che, già prima dell’Accertamento, aveva giustificato gran parte delle operazioni bancarie rilevate dall’Ufficio, mentre in questa sede invoca l’applicabilità della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/14 con la quale, in relazione ai professionisti, diversamente che per gli imprenditori autonomi, si è ritenuto che i prelievi bancari non producano altro reddito presumibile e pertanto non possano considerarsi redditi omessi, ai sensi dell’art. 32, co. 2 DPR 600/73.
Ribadisce inoltre la doglianza, già espressa in prime cure ed erroneamente valutata da parte dei primi giudici, riguardante la omessa sottoscrizione dell’accertamento da parte del Direttore dell’Ufficio, precisando altresì sul punto che la delega in atti non riporta il nominativo del soggetto delegato. Infine lamenta l’erroneità dei calcoli formulati dall’Ufficio e conclusivamente insiste per l’annullamento dell’atto accertativo.
Con proprie controdeduzioni l’Ufficio chiede la conferma dell’impugnata sentenza, immune dalle lamentate censure. Osserva infatti che i primi giudici avevano individuato con chiarezza quale avrebbe dovuto essere la qualità della prova idonea a costituire un esimente, rispetto alla presunzione di maggiore redditività che deriva dagli accertamenti bancari e che tale prova non era stata fornita dalla parte contribuente. Nulla deduce l’Ufficio in ordine alla qualità del firmatario dell’Accertamento. Conclusivamente insiste per il rigetto del proposto appello.
Durante la discussione pubblica, la parte contribuente insiste sulla fondatezza delle proposte doglianze ed insiste per l’accoglimento del proposto appello. L’Ufficio non è presente.
DIRITTO
La Commissione, preso atto di quanto dedotto e prodotto dalle parti, ritiene fondata e meritevole di accoglimento la censura di carenza di motivazione mossa dalla parte contribuente avverso l’impugnata sentenza, in specie con riguardo alle movimentazioni bancarie relative ai versamenti, avendo i primi giudici più in particolare esaminato, ai fini del loro convincimento, le movimentazioni relative ai prelevamenti.
Ciò posto, al riguardo osserva che invece, con riferimento alle operazioni di prelevamento, nella specie, deve applicarsi la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/14 che, eliminando dalla formulazione dell’art. 32, co. 2 Dpr 600/73 le parole “o compensi”, ha mutilato la norma relativamente alla presunzione che i prelevamenti dai conti correnti, da parte dei lavoratori autonomi, possano essere considerati quali redditi imponibili.
Con riguardo alle operazioni di versamento, in relazione alle quali i primi giudici hanno omesso di motivare compiutamente, si osserva che nel caso di specie, ai fini della valutazione della legittimità degli accertamenti emessi nei confronti dell’associazione, non può essere sottovalutato il fatto che ciascuno dei due professionisti associati svolga una sua attività autonoma, con autonoma partita iva ed autonome dichiarazioni dei redditi; pertanto si ritiene che non poteva legittimamente imputarsi a maggior reddito dell’associazione, con ricaduta di maggior reddito su ciascuno associato per trasparenza, il presumibile maggior reddito, derivante dalle operazioni di versamento effettuate da uno degli associati sul proprio conto bancario, quando invece, tali operazioni, in mancanza di elementi dedotti dall’Ufficio che fondino una diversa prospettazione, avrebbero dovuto determinare maggior reddito del singolo associato.
Su quest’ultimo specifico punto poi, si osserva che, in relazione alla grande mole di operazioni riscontrate per un totale di €. 1.202.490,68 nei due anni in accertamento, in realtà, per il solo associato B.A., sono rimaste non giustificate operazioni di accredito pari ad €. 32.000,00 circa, per il 2006 (posto che si deve intendere giustificato il versamento di €. 10.000,12 riconducibile all’estinzione del libretto al portatore intestato al figlio del B.A.) ed operazioni di accredito pari ad €.22.000,00 circa per il 2007 (posto che i versamenti rilevati sul conto corrente della zia rimanevano nella disponibilità di quest’ultima, non risultando prelievi di “compensazione ” effettuati dal nipote), anche queste riconducibili al solo B.A.
Orbene siffatti dati, in materia di accertamenti bancari, devono necessariamente essere considerati nel più ampio contesto della situazione del contribuente B.A. in cui vanno ad inserirsi e, alla luce di questo principio, non si può non tenere conto in primo luogo dell’enorme mole di operazioni invece giustificate, nonché del reddito effettivamente dichiarato in entrambi gli anni in accertamento ed in secondo luogo, ai fini delle ragionevolmente possibili giustificazioni, che il conto corrente accertato era ad uso promiscuo, nell’ambito del quale appare plausibile la possibilità di versamenti in contanti, anche riconducibili alla famiglia e che il contribuente non sia nella ragionevole possibilità di giustificare a distanza di tanto tempo. Del resto, la stessa Ag. delle Entrate, con la Circ. n. 32/e del 2006, ammette che, nell’applicazione dello strumento accertativo per indagini bancarie, debba farsi sempre un raffronto con il tenore di vita del contribuente come si desume dal reddito dichiarato e con la misura delle operazioni non giustificate, rispetto al totale delle movimentazioni invece riscontrate e giustificate.
Infine, benché siano pure fondate, rimangono comunque assorbite, nell’accoglimento del proposto appello, le ulteriori doglianze di inutilizzabilità della documentazione bancaria afferente ai conti di terzi, perché acquisita in mancanza di autorizzazione, di illegittimità dell’accertamento per omessa sottoscrizione da parte del Direttore dell’Ufficio e di erroneità del computo dei maggiori compensi accertati, per l’evidente discordanza tra il dato riportato nel pvc ed il dato riportato nell’accertamento.
In considerazione della materia trattata e delle alterne vicende processuali, si compensano tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie l’appello del contribuente e compensa le spese.
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