COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 92 sez . 21 del 14 gennaio 2016
SANZIONI – VISTO DI CONFORMITA’ INFEDELE – CAF
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso spedito per la notifica il 19.12.2012, indi depositato il 17.01.2013, A.L. in proprio e S.G., legale rappresentante p.t. del CAAF Lazio e Basilicata CGIL s.r.l., impugnavano l’atto di contestazione, con irrogazione della sanzione di € 133.902,00, n. …/2012, relativo all’anno di imposta 2006, emesso in data 26.10.2012 e notificato in date 2 e 6.11.2012, contestazione ex art. 39 D.Lgs. n. 241/1997, fondata sul rilascio di 519 visti infedeli di conformità sui 730 presentati da vari contribuenti e sottoposti a verifica. I ricorrenti lamentavano di non poter essere chiamati a rispondere dei mancati adempimenti dei contribuenti e delle loro false documentazioni. Chiedevano l’annullamento dell’atto impugnato.
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale del Lazio, costituendosi in giudizio, resisteva e chiedeva il rigetto del ricorso.
I ricorrenti depositavano memorie illustrative.
Con sentenza n. 25160/54/14, in data 11.11-03.12.2014, l’adita Commissione Tributaria Provinciale di Roma, accoglieva il ricorso e compensava le spese di giudizio, ritenendo che il CAAF e il suo Direttore non potessero rispondere per responsabilità di altri (mancata presentazione della documentazione evidenziata in dichiarazione ovvero falsità dichiarate al CAAF), senza che analoga inadempienza non venga contestata al CAAF, attraverso la contestuale informazione al responsabile dell’assistenza fiscale o al professionista che ha rilasciato il visto di conformità ex D.M. n. 164/1999.
Con atto spedito per la notifica e notificato il 26.5.2015, indi depositato il 17.6.2015, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale del Lazio, proponeva appello avverso detta sentenza, affidandosi a tre motivi: 1) violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo il CAAF ricorrente, nel ricorso di primo grado, sollevato l’eccezione della mancata contestuale informazione del controllo e chiesto l’annullamento dell’atto impugnato per tale mancata comunicazione, 2) violazione dell’art. 2 D.M. n. 164/1999, non avendo il CAAF posto in essere i controlli propedeutici al rilascio del visto, 3) violazione degli artt. 35 e 39 D.Lgs. n. 241/1997, quali norme sanzionatorie nei soli confronti dei CAAF, indipendentemente dalla sanzione che verrà poi irrogata al singolo contribuente.
Si costituivano A.L. in proprio e G.S., legale rappresentante p.t. del CAAF Lazio e Basilicata CGIL s.r.l., resistendo all’appello e ribadendo le doglianze contenute nel ricorso di primo grado. Chiedevano rigettarsi l’appello.
Gli appellati, inoltre, depositavano memoria illustrativa.
All’udienza del 1.12.2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo, l’Ufficio appellante lamenta che il ricorso sia stato accolto sulla base di un profilo (mancata contestuale informazione del controllo al CAAF) che i ricorrenti in primo grado non hanno dedotto nel ricorso introduttivo e che non hanno posto a base della richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
Il motivo è fondato.
È, infatti, inammissibile dedurre un motivo di illegittimità della pretesa tributaria, diverso da quelli dedotti con il ricorso introduttivo, nella memoria illustrativa ex art. 32 D.Lgs. n. 546/1992, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” rispetto all’invocato annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2 (Cass., n. 22662/2014).
Conseguenza di ciò è che il giudice tributario deve limitarsi a verificare la legittimità dell’operato dell’Ufficio senza effettuare una diversa qualificazione della fattispecie sottoposta al suo esame, pena il vizio di ultrapetizione, atteso che è precluso al giudicante il potere amministrativo tributario sostanziale spettante all’amministrazione, mediante l’accoglimento della domanda basato su ragioni diverse da quelle addotte dal contribuente sulla scorta della pretesa azionata dall’amministrazione (Cass., n. 5929/2010; n. 2531/2002, n. 2340/2001).
Nella fattispecie, nel ricorso di primo grado non è contenuto alcun riferimento alla circostanza che, nel caso di controllo o di richiesta di documenti o di chiarimenti ai contribuenti, non sia stata data contestuale informazione anche al responsabile dell’assistenza fiscale che ha rilasciato il visto di conformità ai sensi dell’art. 26 D.M. n. 164/1999, né è stato chiesto l’annullamento dell’atto impugnato a causa di detta mancata comunicazione.
2) Con il secondo motivo di appello, si eccepisce violazione dell’art. 2 D.M. n. 164/1999, non avendo il CAAF appellato posto in essere i controlli propedeutici al rilascio del visto di conformità sulle 519 dichiarazioni dei redditi presentate da vari contribuenti.
Il motivo è fondato nei termini appresso esposti.
Ai sensi degli artt. 35 D.Lgs. n. 241/1997 e 2 D.M. n. 164/1999, il rilascio del visto di conformità, da parte del responsabile dell’assistenza fiscale, implica il riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto.
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 16, comma 3, D.M. n. 164/1999, nel prospetto di liquidazione, sottoscritto dal responsabile dell’assistenza fiscale, oltre agli elementi di calcolo ed al risultato del conguaglio fiscale, sono evidenziate “le eventuali variazioni intervenute rispetto ai dati indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente a seguito dei controlli effettuati tenuto conto delle risultanze della documentazione esibita e delle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili le detrazioni d’imposta e lo scomputo delle ritenute d’acconto”.
Nella fattispecie, le singole violazioni riscontrate dall’Ufficio ed evidenziate tutte nell’atto di contestazione impugnato danno chiaramente conto che la verifica – preliminare al visto di conformità, dalla legge demandata al responsabile dell’assistenza fiscale – sia stata del tutto carente, posto che le detrazioni d’imposta, gli oneri deducibili e le ritenute d’acconto indicate nelle dichiarazioni dei redditi di cui è stato rilasciato il visto di conformità non hanno trovato riscontro nella documentazione fornita dal contribuente ed esaminata dal CAAF appellato.
Più nel dettaglio, nelle motivazioni analitiche dei singoli recuperi, poste nella colonna di destra delle pagine di cui si compone l’atto di contestazione, emergono non solo delle ipotesi in cui il contribuente non ha prodotto, in tutto o in parte, la documentazione giustificativa, ma anche altre e numerose ipotesi in cui la documentazione prodotta dal contribuente non ha giustificato le detrazioni d’imposta o gli oneri deducibili, dando chiara contezza del mancato assolvimento dell’onere di verifica da parte del responsabile dell’assistenza fiscale (a solo titolo di esempio possono essere citati i seguenti recuperi: al punto 5, la detrazione per inquilini di immobili adibiti ad abitazione principale viene riconosciuta per soli sei mesi, perché l’acquisto dell’immobile avviene nel mese di luglio dell’anno di imposta considerato; al punto 6, l’assegno di mantenimento versato è indetraibile, poiché la sentenza di separazione prevede che il mantenimento sia dovuto soltanto in favore dei figli e non del coniuge; al punto 10, gli interessi passivi per mutuo ipotecario non sono deducibili, poiché il mutuo non è finalizzato all’acquisto di abitazione principale; al punto 19, le ritenute irpef indicate divergono da quelle risultanti dal CUD, mentre non è stata calcolata la franchigia per le spese sanitarie; al punto 202, gli interessi passivi per mutuo ipotecario sono detraigli nei limiti del 50%, poiché il contratto è intestato a due soggetti; al punto 203, l’assegno di mantenimento versato è detraibile nella misura di € 3.600,00, al netto della quota destinata al mantenimento dei figli; al punto 263, l’importo degli interessi passivi può essere detratto pro quota tra tutti gli intestatari del mutuo; al punto 417, si riconosce la detrazione della quota di assegno di mantenimento riguardante l’ex coniuge, non anche la quota versata per i figli; al punto 454, viene azzerato l’importo per assegno di mantenimento, poiché destinato ai figli e non al coniuge; al punto 563, non spetta la detrazione per inquilini, poiché il contratto non rientra tra quelli che ciò consentono ex lege n. 431/1998). È evidente come nei casi esposti il visto di conformità non può ritenersi indotto da alcuna condotta dolosa o gravemente colposa dei contribuenti, né era necessaria alcuna valutazione di merito sulla genuinità e veridicità della documentazione dai contribuenti esibita; l’apposizione del visto, senza le necessarie e doverose variazioni ex art. 16, comma 3, D.M. n. 164/1999, è invece da imputare unicamente ad una carente attività di verifica e di riscontro da parte del responsabile dell’assistenza fiscale che ha generato l’infedeltà del visto di conformità.
L’accoglimento dei motivi esposti assorbe ogni ulteriore questione.
3) Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano ex D.M. n. 55/2014 nella misura di cui in dispositivo, ridotta ex art. 15 D.Lgs. n. 546/1992, che gli appellati dovranno rifondere all’Amministrazione appellante.
P.Q.M.
La Commissione, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie l’appello e condanna gli appellati al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore dell’Amministrazione, che liquida in complessivi € 2.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
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