COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 9860 sez. 1 del 30 dicembre 2016
LIQUIDAZIONE E CONTROLLI – STUDI DI SETTORE – SRL – CAPAPCITA’ ECONOMICA DEI SOCI – CONTRADDITTORIO SUPERFICIALE E INCOMPLETO – ILLEGITTIMITA’ DELL’AVVISO
FATTO
La presente controversia ha come oggetto l’avviso di accertamento, emesso nei confronti della società T.G. s.r.l. per IRES 2007.
L’avviso di accertamento derivava dall’applicazione degli studi di settore da parte dell’Agenzia delle Entrate che valutava incongruente la dichiarazione della parte ricorrente.
Nel ricorso introduttivo, la ricorrente chiedeva l’annullamento del predetto avviso, eccependo l’erronea applicazione del cluster di riferimento; l’omesso controllo analitico della documentazione prodotta; i soci hanno dimostrato la loro autonoma capacità economica e finanziaria; l’Ufficio ha effettuato un controllo induttivo senza che vi fossero i presupposti giuridici essendo la documentazione societaria regolarmente tenuta.
L’ufficio controdeduceva censurando la carenza della documentazione prodotta in sede di accertamento.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 22205/52/15, accoglieva il ricorso e compensava le spese di giudizio. Il giudice di prime cure riteneva che la documentazione depositata dalla ricorrente e le controdeduzioni dell’ufficio non rivelassero una tenuta contabile inadeguata, con conseguente inapplicabilità degli studi di settore posto che la parte aveva adeguatamente provato la corretta gestione contabile dell’azienda familiare.
Avverso detta sentenza propone appello l’Agenzia delle entrate D.P. I di Roma per chiederne la riforma, sostenendo che il proprio accertamento non è basato solo sugli studi di settore, ma ha tenuto presente anche incongruenze dei ricavi e varie anomalie nei dati dichiarati.
Si costituisce in giudizio la T.G. s.r.l., per chiedere il rigetto del gravame.
La causa viene trattata in pubblica udienza, essendo stata presentata regolare istanza in tal senso.
All’udienza odierna è presente soltanto il difensore del contribuente.
DIRITTO
Questa Commissione ritiene che l’appello dell’Agenzia delle entrate sia infondato e non possa, pertanto, essere accolto.
E, invero, la sentenza pronunciata dai primi giudici appare adeguatamente motivata, del tutto aderente alle risultanze processuali e in linea con la normativa che regola la materia, di guisa che non merita alcuna critica e/o censura.
Anche per questo Collegio, al caso in esame, l’accertamento non può essere basato unicamente sugli studi di settore.
Deve, al riguardo, osservarsi che le risultanze degli gli Studi di settore hanno il valore di mere presunzione semplici e non possono da sole legittimare l’accertamento ma devono essere “corroborate e sostenute” da altri elementi (spese dei Soci, incrementi patrimoniali, mancanza di reddito, impossibilità a mantenere un tenore di vita) tali da conferire alla mera presunzione rappresentata dallo Studio la qualifica di “grave, precisa e concordante”. Nulla è avvenuto nel caso in esame, dove, al contrario, la ricorrente ha dimostrato, mediante la produzione di idonea documentazione che:
– i Soci posseggono tutti redditi propri e di ciò ne dà atto anche Agenzia;
– non hanno acquisito beni importanti ingiustificabili con i loro redditi;
– hanno, al contrario, venduto beni immobili per far fronte alle reali perdite della società.
Inoltre, l’appello dell’Agenzia delle entrate deve essere respinto anche in ordine all’eccezione, di carattere pregiudiziale, segnalata dalla contribuente, ossia l’invalidità dell’accertamento per mancata instaurazione di un valido contraddittorio.
La ricorrente aveva già esposto nell’incontro del 24.06.2011 – vedi il verbale in pari data – i motivi per cui non poteva aderire alle risultanze dello Studio (cluster errato, reddito dei Soci, ripianamento nel 2009 con alienazione di un terreno) ed ha depositato anche una relazione sull’attività redatta dal Rag. G.T.
In tale sede l’Ufficio richiedeva ulteriore documentazione che, puntualmente veniva consegnata il successivo 21 luglio (vedi verbale).
Nel verbale Agenzia dava atto di aver acquisito la documentazione e, sempre nel verbale, si legge bene e chiaro che: “l’Ufficio si riserva d’esaminare le motivazioni della Società e rinnova il contraddittorio a data da concordare”.
T.G. S.r.l. non ha più ricevuto alcuna convocazione e/o notifica da parte di Agenzia se non la notifica dell’accertamento. Appare, pertanto, strana e, comunque non documentata, l’affermazione in Appello che Agenzia in data 24.09.2012, avrebbe esaminato la documentazione prodotta “ritenendola non idonea”.
Nulla di ciò è stato comunicato alla parte che non ha più ricevuto convocazioni per il proseguo del contraddittorio.
In definitiva, il contraddittorio preventivo – elemento essenziale per l’accertamento in base agli Studi – non è stato completato con l’evidente conseguenza della nullità dell’accertamento stesso.
E, invero, l’instaurazione di un corretto contraddittorio comporta effetti favorevoli non solo per i contribuenti ma anche per la stessa Amministrazione, che potrebbe migliorare qualitativamente gli accertamenti, riducente la possibilità di contenzioso e consentendo più immediate entrate per l’erario.
Per il contribuente, poi, i vantaggi sono di tutta evidenza. Infatti, ancora in fase amministrativa, il contribuente avrebbe potuto fornire chiarimenti, documentazione idonea a condurre a una mancata iscrizione a ruolo o all’iscrizione di una somma minore; come pure avrebbe potuto riconoscere il debito e “pagare bonariamente “evitando il presente contenzioso.
Nel controllo formale della dichiarazione, il contraddittorio assume notevole rilevanza, in quanto è in questa fase che l’Ufficio può constatare la correttezza e la veridicità dei dati esposti in dichiarazione.
Pertanto non può che ritenersi fondamentale la partecipazione del contribuente, avverso l’instaurarsi di un contraddittorio con l’Ufficio, nel quale il soggetto accertato possa motivare la fondatezza delle sue affermazioni, così da consentire all’Agenzia delle Entrate di esercitare il proprio potere di autotutela. Nel caso di specie il contraddittorio è avvenuto in maniera del tutto superficiale e incompleta da parte dell’Ufficio. Tale lacuna non solo non ha consentito al contribuente di fornire spiegazioni in ordine alla propria posizione reddituale, ma lo ha altresì privato di usufruire delle particolari riduzioni sulle sanzioni, di evitare l’iscrizione a ruolo, con conseguente nullità dell’avviso impugnato.
A tal riguardo giova ricordare l’insegnamento della Corte di Cassazione che, con la sentenza delle Sezioni unite n. 19667/2014, ha ribadito l’importanza del contraddittorio preventivo, evidenziando il principio di diritto secondo cui il diritto al contraddittorio costituisce principio generale applicabile in qualsiasi procedimento amministrativo tributario.
La S.C., nella sentenza anzidetta, ha ribadito che incombe sull’Amministrazione finanziaria un generale obbligo di attivare sempre il contraddittorio preventivo rispetto all’adozione di un provvedimento che possa incidere negativamente sui diritti e sugli interessi del contribuente; in caso contrario l’atto è nullo.
Nello specifico, la sentenza della Cassazione a sezioni unite afferma che lo Statuto del contribuente – posto a presidio del corretto svolgimento dell’attività di verifica – evidenzia chiaramente che “la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa o endoprocedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili.
Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.”.
La sua mancata regolare attivazione (come verificatosi nel caso di specie) determina, dunque, l’immediata conseguenza della nullità dell’atto impugnato. Questo è l’insegnamento della Suprema Corte che questa Commissione condivide e dal quale non vi è ragione di allontanarsi.
Sulla base delle dedotte considerazioni, l’appello della Agenzia delle entrate deve essere respinto, con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
Il rigetto dell’appello, sotto il profilo della violazione dell’obbligo, da parte dell’Ufficio, di preventivo contraddittorio, rende inutile l’esame delle altre questioni sollevate dalle parti, che rimangono, pertanto, assorbite e superate, perché irrilevanti alla luce dell’esito del giudizio.
Le spese di lite, in applicazione del principio della soccombenza, vanno parte a carico dell’Ufficio appellante e vanno liquidate nella misura complessiva di euro 3.000,00 (tremila/00).
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione prima, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone:
“Respinge l’appello dell’Ufficio, che condanna alle spese di lite, liquidate in euro 3.000,00”.
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