COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Torino – Sentenza n. 983 del 16 giugno 2017
ACCERTAMENTO – SINTETICO – PROVA LIBERATORIA DEL CONTRIBUENTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di accertamenti, l’Ufficio determinava sinteticamente il reddito complessivo netto riconducibile al sig. P.M. nell’anno d’imposta 2006 e nei due periodi d’imposta successivi, avendo rilevato uno scostamento di almeno 1/4 dal reddito imponibile ai sensi del combinato disposto dell’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973 e dei D.M. 10 settembre 1992 e 21.09.1999 e del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 05/04/2005. In dettaglio, nell’anno 2006 per cui è causa, veniva attribuito al contribuente un incremento patrimoniale di Euro 24.000,00 – 1/5 dell’incremento patrimoniale complessivo rilevato di Euro 120.000,00 – e spese collegate all’uso o al mantenimento dei beni rilevati per Euro 21.886,11. Veniva, quindi, notificato l’avviso di accertamento n. (…), tramite il quale si accertava un reddito complessivo pari ad Euro 45.886,11 e, conseguentemente, una maggiore imposta IRPEF pari ad Euro 6.120,00, oltre Addizionale regionale (Euro 348,00) e Addizionale comunale (Euro 68,00). Il procedimento di accertamento con adesione instaurato dal contribuente in merito alle contestazioni si concludeva con esito negativo. Il sig. P.M. proponeva pertanto ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino che, con sentenza n. 1926/4/2014, pronunciata in data 9/10/2014, depositata in data 10/10/2014, lo accoglieva, compensando tra le parti le spese processuali.
Avverso la predetta sentenza propone appello l’Ufficio, sostenendo sussistere un travisamento dei fatti e un’errata applicazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio, una motivazione errata e/o insufficiente. In particolare, l’Ufficio rimarca che, in sede di accertamento, ha appurato a carico del signor Polo un incremento patrimoniale complessivo di Euro 120.000, derivante dalla somma dell’importo di Euro 50.000,00 versato in occasione della stipula di un contratto preliminare di vendita avvenuto in data 29/07/2007 e dell’importo di Euro 70.000,00, calcolato quale esborso effettivo in seguito all’acquisto di un immobile per un importo dichiarato di Euro 320.000,00 (dalla medesima somma, infatti, sono state detratte 200.000,00 ottenute in seguito alla stipula di un contratto di mutuo ed Euro 50.000,00 versate in sede di contratto preliminare). Il contribuente in sede di procedimento con adesione ha sostenuto che, in epoca antecedente al periodo considerato (e, precisamente, in data 03/08/2006) avrebbe ceduto una quota della società S. 80 s.s. di sua proprietà per un corrispettivo di 392.000,00, realizzando, secondo la sua interpretazione, un decremento patrimoniale idoneo a giustificare il corrispondente incremento patrimoniale. La presenza di una cessione di quote sociali antecedente agli esborsi finanziari qualificati come indice di spesa, tuttavia, non varrebbe, di per sé, a provare che la liquidità ottenuta da quella cessione sia stata effettivamente impiegata in quegli esborsi. Secondo l’Ufficio deve infatti sussistere un nesso causale tra la liquidità di cui il ricorrente vanta di essere stato in possesso e le spese successivamente effettuate, nesso la cui esistenza, nel caso di specie, non è stata affatto dimostrata. Sostiene, inoltre una incertezza probatoria derivante da investimenti e disinvestimenti effettuati dal contribuente piuttosto frequenti che riguardano somme ingenti che transitano sul conto corrente anche solo per pochi giorni. Per tali ragioni l’Ufficio ha ritenuto che non fosse stata raggiunta una prova contraria idonea a riesaminare le conclusioni rassegnate nell’avviso di accertamento e di non avere alcun onere di procurarsi la documentazione mancante né di essere tenuto a dare prova del fatto negativo che la liquidità in discorso non è stata utilizzata per far fronte al pagamento degli esborsi contestati. Piuttosto era il contribuente che, nel suo interesse, avrebbe dovuto farsi carico di tali incombenze. Resiste il contribuente, confutando le avverse censure alla sentenza di primo grado, che ritiene sia da confermare tranne che sul punto della compensazione delle spese di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Risulta dagli atti di causa che la Direzione Provinciale I di Torino dell’Agenzia delle Entrate si sia avvalsa, nello svolgimento della propria attività di controllo del disposto dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 (disciplinante il c.d. “accertamento sintetico”).
Occorre precisare che, ai fini di effettuare la verifica che la situazione impositiva coincida con la reale capacità contributiva del ricorrente, l’applicazione dei parametri di riferimento costituisce solo presunzione semplice di maggior capacità reddituale e, per trovare efficace applicazione ai fini del recupero d’imposta, deve essere accompagnata e sostenuta da verifiche di fatto circostanziate e documentate circa l’effettiva e reale capacità reddituale del soggetto verificato.
In proposito, è noto che secondo un precedente indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto, in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non “riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)” (Cass. n. 6813/2009; Cass. 23785/2010; Cass. n. 4183/2013).
Siffatto principio è stato, tuttavia, da ultimo superato dalla Suprema Corte (Cass. 6396/2014), che ha invece ritenuto che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi.
Ancora recentemente la Corte di Cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 21142 del 19/10/2016) ha ricordato come “l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, oltre che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, anche che, più in generale, il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. sez. 5, n. 20588 del 2005)”. Peraltro, i calcoli effettuati dall’Amministrazione finanziaria negli atti impositivi non possono basare la pretesa tributaria unicamente sulle tabelle contenute nel D.M. 19 settembre 1992 e s.m.i. (sentenze n. 12346 del 2012, n. 17804 del 2012 e n. 4166 del 2013).
Nella fattispecie in scrutinio, la Commissione Tributaria Provinciale I di Torino ha applicato correttamente i predetti principi nel ricostruire il procedimento seguito dall’Ufficio e nell’individuarne gli aspetti poi censurati nella decisione di primo grado. In particolare, il procedimento è risultato carente, in punto di acquisizione e valutazione delle prove, sia in relazione all’acquisizione di elementi di verifica diretta, sia di valide motivazioni a contestazione delle ragioni e della documentazione addotta dallo stesso.
Riguardo alla compensazione delle spese di giudizio operata dai Giudici di primo grado questo Collegio rileva che il punto non ha costituito formalmente oggetto di appello incidentale da parte del contribuente.
Per quanto sopra esposto, questa Commissione ritiene che la sentenza di primo grado debba essere integralmente confermata.
Le spese seguono la soccombenza così come liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Respinge l’appello e condanna l’Ufficio al pagamento delle spese, che liquida in Euro 500,00 (cinquecento).
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