COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Venezia sentenza n. 561 sez. 30  del 23 marzo 2015

ACCERTAMENTO IMPOSTE – RADDOPPIO DEI TERMINI PER REATO TRIBUTARIO – MAGGIORI REDDITI SOCIETARI ACCERTATI – IMPUTAZIONE AI SOCI PER TRASPARENZA – APPLICABILITA’ DEL RADDOPPIO DEI TERMINI AI SOCI – ILLEGITTIMITA’.

In fatto, in diritto e richiesta delle parti.

Con diversi avvisi di accertamento per l’anno di imposta 2006 emessi nei confronti della Società B.C. srl della B.C.Z. S.r.l. cancellata, e dei Soci, l’Agenzia delle Entrate – Dir. Prov. di Padova rettificava la dichiarazione dei redditi accertando l’utilizzo di costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti, l’omessa effettuazione di ritenute sugli utili presuntivamente occultati e, per i soci, l’omessa contabilizzazione di utili percepiti per maggiori redditi societari.

Tutte le controparti presentavano ricorso contro gli accertamenti chiedendo, per i motivi specificatamente indicati, la declaratoria di illegittimità e per effetto l’annullamento degli stessi.

Alle lamentele rispondeva l’Agenzia delle Entrate con controdeduzioni.

La C.T.P. di Padova, con sentenza n. 347/5/14, accoglieva tutti i ricorsi dopo averli riuniti per connessione oggettiva delle riprese, perché gli accertamenti impugnati erano stati posti in essere oltre i termini di cui agli artt. 43, co. 1, DPR n. 600/73 e 57, co. 1, DPR n. 633/72, a causa della mancata allegazione della denuncia penale che raddoppia i termini accertativi e che dovrebbe porre il Giudice nelle di condizioni di valutare se i presupposti dell’obbligo di tale denuncia siano effettivamente sussistenti. E ritenendo così assorbiti tutti gli altri motivi.

Contro questa decisione si appella l’Agenzia delle Entrate perché la stessa è “erronea stante la sua emissione in violazione dell’art. 43, c. 3 DPR 600/73, così come correttamente interpretato dotta Corte Costituzionale in sent. n. 247 depositata il 25/07/2011”. E questo per il raddoppio dei termini.

Nel merito delle ulteriori eccezioni l’Agenzia richiama quanto dimesso e chiesto nelle costituzioni di 1° grado con riferimento ai singoli avvisi di accertamento aggiungendo ulteriori commenti.

A conclusione l’Agenzia chiede la riforma della sentenza impugnata con vittoria di spese.

Le Società B.C. e B.C.Z. cancellata dal registro delle imprese in data 13/12/12 nette persone del liquidatore e degli ex soci. Ed i Soci: Sigg. F.B. anche quale liquidatore della B.C.Z., L. e M.C., F.Z. e S.B. (tutti di seguito come: Contribuenti); presentano controdeduzioni ed appello incidentale per la conferma della sentenza appellata.

Nelle controdeduzioni i Contribuenti premettono che al di là dell’accusa di presunta inesistenza oggettiva delle prestazioni rese dalla N.T. tutti gli avvisi risultano emessi “quand’era già decorso il termine per l’esercizio dell’azione accertativa” e precisano come l’indebito raddoppio dei termini si fonda sull’impossibilità di eseguire il giudizio c.d. di prognosi postuma richiesto dalla Corte Costituzionale per non rendere arbitraria l’estensione dei termini. Altra doglianza è l’assenza in giudizio delle denunce presentate presso la Procura della Repubblica che hanno impedito di fatto l’accertamento sul legittimo raddoppio dei termini nei confronti delle Società. Per i Soci la violazione accertata non prevede l’obbligo di denuncia per un reato tributario.

Gli avvisi di accertamento erano illegittimi anche perché notificati prima dei 60 gg. previsti dall’avvio della verifica fiscale alla Società B.C.Z.

Ed erano illegittimi per diversi altri motivi già presenti nei ricorsi introduttivi e richiamati nelle controdeduzioni.

L’appello incidentale è formulato in via condizionata per le violazioni protestate nel ricorso introduttivo peri diversi avvisi.

Per tutti i motivi ed i vari profili di illegittimità degli avvisi la richieste del Contribuente è di rigetto dell’atto di appello con conferma della sentenza impugnata con vittoria di spese.

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

L’appello dell’Agenzia delle Entrate deve essere respinto e la sentenza impugnata totalmente confermata per la semplice ragione della condivisibilità delle motivazioni.

Per puro tuziorismo si aggiunge quanto di seguito esposto in diritto e nel merito della fattispecie.

Il raddoppio dei temimi è stato introdotto dall’art. 37 del DL n. 233/2006 e scatta in ipotesi di violazione penale tributaria (vedi: D.Lgs. n. 74/00).

La previsione doveva consentire agli uffici l’utilizzo dell’esito delle indagini penali per completare le proprie e meglio motivare gli avvisi di accertamento.

Purtroppo nella pratica l’utilizzo del raddoppio dei termini è stato usato a prescindere dall’effettiva violazione penale commessa dal contribuente ed ancor oggi l’Agenzia ritiene praticabile questa previsione anche senza l’invio della notizia di reato al PM.

Questa interpretazione non è condivisibile, prova ne siano le modifiche previste nella legge delega (art. 8, comma 2, della Legge n. 23/2014 – di cui si scriverà in seguito).

Per intanto giova ricordare come è fatto obbligo al pubblico ufficiale di comunicare “senza ritardo” la notizia di reato al P.M. Così se il reato tributario è ritenuto presente dal verificatore incaricato, deve essere immediatamente comunicato a chi di dovere e se questo non avviene significa che non sussiste, perciò l’Amministrazione non può usufruire del raddoppio dei termini. Il tutto senza ipotizzare condotte omissive dei verificatori.

Come è anche giusto richiamare l’ordinanza della Corte Costituzionale (n. 247/11) che ha rigettato la questione di legittimità sul problema sollevato nella controversia se la denuncia dovesse essere presentata prima dello spirare del termine ordinario di accertamento, o meno. La Corte con l’occasione ha affermato che il raddoppio dei termini fonda la sua causa nell’obbligo di presentazione della denuncia penale che così fissa un nuovo termine di decadenza, quindi non un raddoppio dei termini. Questo accorgimento è stato preso allo scopo di evitare un uso distorto e strumentale della notizia di reato volto al solo scopo di raddoppiare le scadenze per l’accertamento – per fini che in questa sede non si esaminano – decisione che ha però gravato il giudice tributario del riscontro e della verifica sui presupposti dell’obbligo della denuncia penale. Così al giudice tributario viene addossata la valutazione mediante un giudizio di “prognosi postuma” sull’esistenza o meno di validi motivi (indizi) di reato. Il significato di questa decisione risiede (si ritiene) nel dover provare che l’Amministrazione ha ben agito nell’esclusiva ottica dell’interesse pubblico e non abbia invece usato tale possibilità per altri (inconfessati e inconfessabili) fini.

Per questo i giudici di merito già hanno bocciato il raddoppio in assenza della copia della denuncia penale e, dopo quanto esposto, si capisce il perché. Cosa che si vuole sottolineare: se il giudice tributario deve eseguire una “prognosi postuma” deve avere gli strumenti per farlo; l’unico strumento certo (ed opponibile a controparte) è la denuncia penale che indica per filo e per segno le ipotesi di reato.

E su questo punto – problema del raddoppio dei termini o meno – la convinzione raggiunta risulta motivata.

A completamento una citazione sulle nuove regole portate dalla bozza del decreto legislativo sopra richiamato: il raddoppio dei termini scatterà soltanto se l’amministrazione inoltrerà la comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica entro l’ordinaria decadenza prevista per quel determinato periodo di imposta.

Per gli atti di controllo già notificati l’ufficio potrebbe beneficiare del raddoppio anche senza invio della denuncia nei termini di decadenza: l’art. 8, comma 2, della legge 23/2014 – nel conferire delega al Governo – aveva previsto che la denuncia fosse effettuata entro “un termine correlato” allo scadere del termine ordinario di decadenza. La decisione sul punto deve essere ancora presa tenendo in debito conto la definizione di controlli tutta da precisare.

In seguito all’accertamento in capo alla Società B.C. srl, i cui termini sono pretesi raddoppiati per effetto della denuncia penale, è lapalissiano che la stessa sorte non può toccare anche ai soci per il fatto principale che la responsabilità penale e personale e che a carico degli stessi non si appalesa alcuna violazione che comporti obbligo di denuncia per un reato tributario. Dal reato imputabile alla società ed al suo legale rappresentante non può e non deve quindi discendere un automatico utilizzo del raddoppio dei termini per gli avvisi di accertamento a carico dei soci.

Tutte le altre questioni di diritto e di merito sollevate dalle parti rimangono assorbite.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Respinge l’appello dell’Ufficio e conferma l’impugnata sentenza.

Condanna l’Amministrazione finanziaria al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2.000,00 (duemila) oltre accessori e oneri di legge.