La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 33705 depositata il 5 settembre 2024, intervenendo in tema di responsabilità penale del committente per violazione della sicurezza sui luoghi di lavoro, ha ribadito il principio secondo cui “Si ritiene che il committente privato – in quanto tale non professionale – che affidi in appalto lavori di manutenzione domestica, non sia tenuto a conoscere, alla pari di quello professionale, le singole disposizioni tecniche previste dalla normativa prevenzionale. Gli si chiede tuttavia, se non vuole assumere su di sé tutti gli obblighi in materia di sicurezza e rispondere penalmente degli eventuali infortuni dei lavoratori, di scegliere adeguatamente l’impresa, verificando che essa sia regolarmente iscritta alla C.C.I.A., che sia dotata del documento di valutazione dei rischi e che non sia destinataria di provvedimenti di sospensione o interdittivi ai sensi dell’art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Si profilerà, inoltre, una sua responsabilità penale quando vi sia prova che si sia ingerito nell’organizzazione o nell’esecuzione del lavoro o in presenza di un’agevole ed immediata percepibilità delle situazioni di pericolo (cfr. Sez. 4, n. 26335 del 21/04/2021, L., Rv. 281497 – 02; conf. Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019, dep. 2020, Frustante, Rv. 278435 – 01.
Diversa e più pregnante è la posizione di garanzia del committente-imprenditore a carico del quale il decreto legislativo 81/2008 pone la valutazione del c.d. rischio da interferenze e, in particolare all’art. 26, prevede che egli elabori un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, comunque, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Il committente professionale, inoltre, ha l’obbligo di fornire dettagliate informazioni sui rischi esistenti nell’ambiente in cui i lavoratori dell’appaltatore sono destinati ad operare.”

La vicenda ha riguardato il committente di una impresa esercente il commercio di prodotti petroliferi che affidava ad impresa appaltatrice la realizzazione di un prefabbricato destinato ad uffici a servizio di un deposito di oli minerali per uso commerciale. Durante tale attività a causa di negligenza, imprudenza ed imperizia, il socio dell’impresa appaltatrice, il quale utilizzando e manovrando il terminale oscillante della autobetonpompa per l’erogazione del calcestruzzo, rimaneva folgorato da una scarica elettrica proveniente dai sovrastanti cavi dell’alta tensione. A seguito di tale infortunio il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice ed il committente venivano accusati del delitto di cui agli artt. 113 e 589 comma 1 e comma 2 cod. pen.. All’esito di giudizio abbreviato, il Gup dichiarava entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto. 

La Corte di Appello di Catania, pronunciando sul gravame confermava la decisione impugnata dagli imputati, rideterminato la pena agli stessi inflitta. Il committente privato avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.

I giudici di legittimità annullavano la sentenza impugnata e rinviavano per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello.

Gli Ermellini ricordano il consolidato orientamento secondo cui “… in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l’incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa) Egli ha l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza). …”

Il Supremo consesso precisa che rimane valido il consolidato principio secondo cui “… in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l’incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa) Egli ha l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza). …”

In particolare, evidenziano i giudici di piazza Cavour, che “… In materia di responsabilità colposa per infortuni sul lavoro, laddove il garante abbia preso in considerazione uno specifico rischio e abbia, al fine di gestirlo, introdotto e rese conoscibili delle adeguate prescrizioni, egli, soprattutto quando ha a che fare con soggetti qualificati ed essi stessi garanti rispetto a quel rischio (e tale è il RSPP, ausiliare del datore di lavoro e firmatario del POS, che aveva egli stesso l’obbligo di fermare il lavoratore che, manovrando l’autobetonpompa, stava palesemente violando la prescrizione di lavorare ad una distanza non inferire ai 5 metri dal visibilissimo elettrodotto …” (sul punto Sez. 4, n. 15226 del 15/02/2007, Fusilli, Rv. 236170 – 01 e Sez. 4, n. 39567 del 04/04/2007, Aimone, Rv. 237770 – 01)