La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 37350 depositata il 12 settembre 2013 intervenendo in tema reati tributari ha affermato che non è reato utilizzare in compensazione crediti non ancora “validati” dalla presentazione della dichiarazione dei redditi.
La vicenda ha origine dall’utilizzo, da parte del contribuente, in compensazione con la presentazione di modelli F24 infedeli, con conseguente utilizzazione – secondo l’accusa – di inesistenti crediti IVA per oltre 175mila euro a fini di compensazione dei debiti esistenti nei confronti di INPS e INAIL. Per cui il contribuente veniva conseguentemente indagato per il reato di truffa ex all’art.640, comma 2, cod. pen. L’imputato aveva in effetti utilizzato crediti IVA “infrannuale” .
La Corte di appello, confermando la sentenza del Tribunale, aveva condannato un contribuente per il reato di indebita compensazione riqualificando il reato come violazione del disposto normativo di cui all’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000. In base a tale norma è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine di presentazione della dichiarazione, somme dovute per un ammontare superiore a 50mila euro, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti. Nelle motivazioni della pronuncia di appello veniva puntualizzato che il contribuente non aveva adottato alcuna condotta attiva fino al 31 ottobre 2006, termine di scadenza della presentazione della dichiarazione.
Avverso la condanna della Corte di appello è stato proposto ricorso per Cassazione, rilevando, sinteticamente, che non erano state poste in essere operazioni fraudolenti o raggiri finalizzati alla creazione del credito. L’imputato comunque il 9 ottobre del 2006, quindi prima dei termini di presentazione della dichiarazione Iva 2005, si era ravveduto, versando le somme precedentemente compensate unitamente ad interessi e sanzioni.
La Suprema corte, confermando la tesi del contribuente, ha rilevato che i crediti portati in compensazione non erano né inesistenti né frutto di artificio, ma solo non ancora validamente utilizzabili. Inoltre, il versamento delle imposte, unitamente con interessi e sanzioni avvenuto il 9 ottobre, ha dimostrato “comportamenti positivi” adottati prima della citata scadenza del 31 ottobre.
Gli Ermellini premettono che in effetti le violazioni tributarie concernenti condotte ingannatorie che comportano il mancato versamento, totale o parziale, dell’imposta dovuta si pongono in rapporto di specialità sia rispetto al reato previsto dall’articolo 640, comma 2, del codice penale (SS.UU. n. 1235/10) sia rispetto ad altra ipotesi codicistiche di contenuto fraudolento, quali l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all’articolo 316 ter c. p. (Cass. Sez. III n. 7662/12).
Ne consegue che non sussistevano gli estremi del reato, in quanto l’imputato si era limitato a consegnare i modelli F24 recanti importi non corretti, con conseguente omesso versamento, senza però ricorrere ad artifici o a documentazione infedele.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità circoscrivono il delitto all’indicazione di importi fittizi o inesistenti , non sussistevano in concreto gli estremi dell’ipotesi del reato di truffa aggravata originariamente contestato, poiché l’imputato si è limitato a consegnare modelli F24 recanti importi non corretti, con conseguente omesso versamento degli importi, ma senza fare ricorso né ad artifici né a documentazione infedele. D’altro canto, non si è neppure configurato il reato tributario addebitato dal giudice del merito all’imputato, avendo quest’ultimo portato in compensazione crediti che non erano né inesistenti né frutto di artificio e avendo provveduto al versamento delle somme dovute all’Erario e dei relativi interessi mediante il ravvedimento operoso.
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