La Corte di Cassazione con la sentenza 22833 depositata l’8 ottobre 2013 ha stabilito che è sanzionabile la compensazione per importi superiori al limite stabilito, pur se nel contempo, il predetto limite sia stato elevato e pertanto, in base alla nuova norma, la precedente violazione non sarebbe più censurabile.
La vicenda ha riguardato una società che aveva proceduto a compensare, mediante modello F24, un importo complessivo nell’anno di 600.000.000 di lire ed il limite della compensazione era stabilito in 500 milioni di lire. Successivamente, e prima della contestazione, mediante avviso di irrogazione delle sanzioni, della violazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, il limite della compensazione era stato innanlzato a 700 milioni di lire. Il contribuente a tal fine, chiedeva, l’applicazione dell’articolo 3, comma 2 del Dlgs 472/1997 in base al quale, salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile.
Avverso tale atto il contribuente ricorreva inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale basando il ricorso sulla richiesta dell’applicazione del principio del cosiddetto favor rei, contenuto dall’articolo 3 del Dlgs 472/1997, poiché era intervenuto la normativa che aveva innalzato il limite oltre l’importo compensato dalla società. I cui giudici di prime cure respingevano le tesi del ricorrente. La società contribuente proponeva ricorso, avverso la sentenza di primo grado, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che in riforma della sentenza della CTP accoglieva le doglianze del ricorrente ed annullava l’avviso di irrogazione delle sanzioni.
L’Ufficio proponeva ricorso alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza dei giudici di merito basando il ricorso su un unico motivo di censura.
Per gli Ermellini, che accolgono il ricorso dell’Agenzia, nel caso di specie non può applicarsi la norma invocata dal contribuente atteso che non si era verificata la cosiddetta abolitio criminis ed in particolare rilevano, come chiarito da altre sentenze della Corte Suprema, che l'”imposta” sia stata abrogata, mentre nella specie non era stata abrogata alcuna imposta. (Cass. sez. trib. n. 21168 del 2008; Cass. sez. trib. 25053 del 2006) Gli stessi giudici, continuano nelle motivazioni, dichiarano che “deve andare altresì aggiunto, a completamento, che la ratio della richiamata giurisprudenza corrisponde all’esigenza, di cui alle disposizioni in tema di bilancio pubblico, di garantire l’entrate stabilite, ciò che impone di mantenere le imposte che non vengono immediatamente sostituite con altri flussi.” Per cui la decisione sembrerebbe motivata da ragioni erariali.
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