AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 14 maggio 2021, n. 344
interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – compensi percepiti dagli eredi – obblighi di regolarizzazione, ex articolo 6, c. 8, del d.lgs. n. 471 del 1997, e di fatturazione elettronica del committente
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], quale curatore fallimentare della società [BETA], di seguito anche istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
Il curatore, all’atto di assolvere il debito maturato dalla società istante nei confronti di un professionista deceduto, così come da piano di riparto approvato dal Giudice Delegato, ha chiesto agli eredi l’emissione della relativa fattura.
Gli eredi, tuttavia, si trovano nell’impossibilità di emettere la fattura necessaria ai fini del pagamento del compenso professionale, poiché la partita IVA del professionista defunto risulta cessata.
In conformità a quanto chiarito con la risposta ad interpello n. 52/E, pubblicata il 12 febbraio 2020 nell’apposita sezione del sito della scrivente ( www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agli-interpelli), il curatore ritiene sia suo obbligo emettere autofattura, ex articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, al fine di non incorrere nelle sanzioni ivi prescritte. Considerato che, a partire dal 1° gennaio 2019, vige l’obbligo di fatturazione elettronica, il curatore chiede con quale modalità assolvere l’obbligo disposto dal predetto comma 8 dell’articolo 6, dal momento che l’assenza di una partita IVA attiva del professionista preclude, a suo avviso, l’emissione dell’autofattura attraverso il Sistema di Interscambio.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante ritiene di applicare «alla lettera l’art. 6 comma 8 del D.Lgs. 471 del 1997, presentando all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente un documento in duplice copia dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’art 21 del DPR 633 del 26 ottobre 1972. Stante l’attuale emergenza Covid-19 la documentazione verrà sottoscritta digitalmente e presentata a mezzo Pec».
Parere dell’Agenzia delle entrate
Con riguardo alla rilevanza ai fini IVA dei compensi percepiti dopo la cessazione dell’attività professionale, l’Agenzia delle entrate si è già espressa con la circolare del 16 febbraio 2007, n. 11/E, paragrafo 7.1, chiarendo che «l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale». Come precisato nella risoluzione del 20 agosto 2009, n. 232/E, «la cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del Codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata».
Dette conclusioni sono state poi confermate nella più recente risoluzione dell’ 11 marzo 2019, n. 34/E, laddove si precisa che «in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella», salvo anticipare la fatturazione delle prestazioni rese dal de cuius.
In proposito, con la risposta ad interpello n. 163/E [pubblicata l’8 marzo 2021 nell’apposita sezione del sito della scrivente ( www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agli- interpelli/interpelli)], è stato chiarito come, in caso di partita IVA cessata anticipatamente, in violazione delle predette indicazioni di prassi, colui che agisce per conto del cedente/prestatore «mantenga l’obbligo di emettere la fattura […] (_…] riaprendo a posteriori una nuova partita IVA) e di porre in essere i successivi adempimenti, mentre la Debitrice avrà l’onere di ricorrere alla procedura di cui all’articolo 6 comma 8, del D. lgs. n. 471, quale forma di regolarizzazione, solo a fronte dell’omessa fatturazione […]. Detta disposizione – che prevede l’emissione dell’autofattura da parte del cessionario/committente, con conseguente versamento dell’imposta all’erario – è incardinata, infatti, nel sistema sanzionatorio ed ha natura eccezionale, presupponendo l’inadempienza del cedente/prestatore».
Nel caso di specie, stante la chiusura anticipata della partita IVA, nonché la successiva inerzia degli eredi, nonostante la richiesta del curatore di emettere la fattura, sorge l’obbligo per quest’ultimo di regolarizzare l’operazione come prescritto dal citato comma 8 dell’articolo 6, del decreto legislativo n. 471 del 1997.
Il citato comma stabilisce, infatti, che «Il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge […] è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di euro 250, sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità:
a) se non ha ricevuto la fattura, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alla fatturazione delle operazioni […]».
Ciò detto, secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 3 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, a decorrere dal 1° gennaio 2019, «Alfine di razionalizzare il procedimento di fatturazione e registrazione, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, sono emesse esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il Sistema di Interscambio».
In particolare, il cessionario/committente, nel caso di omessa fattura da parte del cedente/prestatore o di ricezione di una fattura irregolare, previo versamento dell’IVA con F24 ove richiesto, deve emettere un’autofattura con il “Tipo Documento” TD20 ( autofattura per regolarizzazione e integrazione delle fatture (ex art. 6 c.8 e 9-bis d.lgs. 471/97 o art. 46 c.5 D.L. 331/93), indicando l’imponibile, la relativa imposta, ovvero gli importi per i quali non si applica l’imposta, come cedente/prestatore l’effettivo cedente o prestatore e come cessionario/committente se stesso (cfr pagina 79 delle “Specifiche tecniche”allegate al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 20 aprile 2020, “Versione 1.6.2” del 26 novembre 2020, reperibili nel sito della scrivente nell’apposita sezione https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/specifiche-tecniche-versione-1.6.2)
Il dubbio che pone l’istante è se l’obbligo di emissione di un’autofattura tramite il sistema di interscambio (SDI) possa essere assolto anche nel caso in cui la partita IVA del cedente/prestatore risulti già cessata, posto che, come chiarito a pagina 148 delle citate “Specifiche tecniche”, su ogni fattura trasmessa tramite il Sistema di Interscambio viene effettuata automaticamente una «Verifica di validità del contenuto della fattura […] per accertare la presenza e la validità dei dati necessari al corretto inoltro del documento al destinatario e per prevenire situazioni di dati errati e/o non elaborabili; in particolare viene effettuato un controllo: […] – sulla validità dei codici fiscali e delle partite IVA relative ai soggetti trasmittente, cedente/prestatore, cessionario/committente, rappresentante fiscale, attraverso una verifica di presenza in anagrafe tributaria».
In proposito, con la FAQ n. 17, pubblicata il 27 novembre 2018 sul sito internet della scrivente (https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/schede/comunicazioni/fatture-e- corrispettivi/faq-fe), è stato precisato che «Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita IVA ovvero un codice fiscale del cessionario/committente inesistente in Anagrafe Tributaria, il SdI scarta la fattura in quanto la stessa non è conforme alle prescrizioni dell’articolo 21 del D.P.R. n. 633/1972. Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita IVA cessata ovvero un codice fiscale di un soggetto deceduto ma entrambi esistenti in Anagrafe Tributaria, il SdI non scarta la fattura e la stessa sarà correttamente emessa ai fini fiscali: in tali situazioni l’Agenzia delle entrate potrà eventualmente effettuare controlli successivi per riscontrare la veridicità dell’operazione», mentre con la successiva FAQ 136, pubblicata il 19 luglio 2019, è stato chiarito che «Attualmente se la fattura elettronica viene compilata con una partita IVA del cedente/prestatore esistente in AT ma cessata, alla data riportata in fattura, la fattura elettronica viene scartata».
I chiarimenti sopra richiamati sono validi anche quando l’emittente del documento elettronico sia il cessionario/committente. In altre parole, quanto il soggetto obbligato ad emettere l’autofattura è il cessionario/committente, mentre il cd “destinatario” cui riferire il contenuto dell’autofattura è il cedente/prestatore, è necessario che sia attiva la partita IVA dell’emittente (cessionario/committente) ma non anche quella del destinatario (cedente/prestatore). Ciò significa che se si utilizza il “tipo documento” TD20 è possibile indicare nel campo “cedente/prestatore” una partita IVA non più esistente alla data di emissione del documento, purché non sia cessata da più di 5 anni. In tale evenienza, il Sistema di Interscambio non scarta la fattura e la stessa si considera correttamente emessa ai fini fiscali.
Tale soluzione è in linea con le citate “Specifiche tecniche”, laddove, a pagina 7, con riferimento alla “Versione 1.6.2” si legge che, già dalla versione 1.5 del 1° luglio 2019 sono stati “Introdotti nuovi controlli per:… – verificare, nei casi di autofattura, che la partita IVA del cedente/prestatore non sia cessata da più di 5 anni (codice di errore 00323)”.
Nel caso di specie, dunque, se la partita IVA del cedente/prestatore non è cessata da più di cinque anni il curatore potrà emettere un’autofattura elettronica tramite SDI; diversamente dovrà ricorrere all’autofattura cartacea, con le modalità prescritte dall’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 471 del 1997.
Si ricorda, infine, che la regolarizzazione ex articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 471 del 1997, esige che, oltre all’emissione dell’autofattura, il cessionario/committente versi all’erario l’IVA relativa al compenso pagato, con la conseguenza che agli eredi andrà versato il corrispettivo al netto dell’imposta.
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